Debito pubblico: è record

Nuovo record del debito pubblico, che a fine giugno era a 2.530,6 miliardi, 20,5 miliardi in più rispetto a maggio a fronte di un fabbisogno del mese di 20,6 miliardi. Lo rende noto Bankitalia nella pubblicazione “Finanza pubblica: fabbisogno e debito”.

A giugno le entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono scese di 6,5 miliardi (-19,9%) rispetto a un anno prima a 26,2 miliardi, con un calo nei primi sei mesi del 2020 di 19,4 miliardi (-10,3%) a 169,9 miliardi. Pesano – spiega Bankitalia – la sospensione dei versamenti fiscali disposta dai decreti anti-Covid e il peggioramento del quadro macroeconomico. Le disponibilità liquide del Tesoro si sono leggermente ridotte (-0,8 miliardi) a 60,7 miliardi




Def, debito sale di mezzo punto. Il Governo si dice sicuro di rispettare gli impegni con Bruxelles: Lega e M5s si confrontano su Flat Tax

Nonostante la debole crescita e il debito schizzato almeno di mezzo punto rispetto alle previsioni di appena tre mesi fa, il governo si dice sicuro di rispettare ancora gli impegni presi con Bruxelles e punta tutto su cantieri e riforma del fisco per rianimare il Pil.

Ora il confronto tra Lega e M5s si concentra sulla Flat Tax e il testo, che entra con l’indicazione di due aliquote al 15 e 20 per cento, esce senza riferimenti numerici ma con la volontà che della riduzione fiscali benefici già con la prossima manovra il ceto medio.

Il Def, fa sapere Palazzo Chigi, certifica una crescita per quest’anno di +0,2%, lontanissima dall’1,5% immaginato a settembre e anche dall’1% fissato prima di Natale, e appesa alla spinta flebile (appena uno 0,1%) dei decreti Crescita e Sblocca cantieri.

Per vedere il debito scendere sotto il 130% bisognerà attendere il 2022, mentre la disoccupazione è attesa all’11% nel 2019 e all’11,1% l’anno prossimo. Il Tesoro sottolinea come il quadro tracciato rappresenti un sentiero di crescita e inclusione programmato rispettando i vincoli dell’Ue.




DEBITO PUBBLICO E QUANTITATIVE LEASING: LA GRANDE MISTIFICAZIONE

di Emanuel Galea
Come versare acqua in una cisterna crepata!  Qualcuno, per un tempo limitato, potrebbe illudersi che sia sufficiente aumentare il versamento. Una pia illusione! A lungo andare la crepa si allargherà. All’improvviso la struttura non reggerà più, cederà e l’acqua defluendo andrà tutta sprecata, lasciando tutti a bocca asciutta.
Secondo il supplemento al bollettino statistico di Banca d’Italia, nei primi otto mesi dell’anno in corso, il debito delle amministrazioni pubbliche è aumentato di 48,8 miliardi, a fronte di un fabbisogno complessivo pari a 24,9 miliardi. Per rendere più chiaro il concetto del binomio debito pubblico-quantitative leasing riporto la lettura del contatore del debito pubblico, come da Italiaora.org dell' 8 dicembre che segna euro 2.282.189.869.718. A chiusura del presente articolo, rifarò la lettura a quel momento e vedremo la crescita esponenziale. Il dato più aggiornato disponibile lo fornisce “Fabbisogno dello Stato. Aggiornato al 3 dicembre 2015”.  Le informazioni sono quelle del Ministero dell’Economia e Ragioneria generale. Secondo queste fonti, il fabbisogno cumulato al novembre 2015 era 62,3 miliardi di euro. In linea di massima rimane quasi invariato dal 2014 che a fine anno chiudeva a 76,8 miliardi.

Inaugurando l'anno accademico dell'Università Cattolica di Milano, Draghi si è detto preoccupato dei rischi per la crescita e aveva promesso: "Al nostro incontro di dicembre riesamineremo il livello della nostra politica monetaria accomodante". Fino ad ora, ci si è preoccupati di coprire il fabbisogno del settore pubblico emettendo titoli a medio e lungo termine, emissione di buoni ordinari del tesoro, ricorso all’indebitamento estero. Intanto Draghi è intenzionato ad aumentare il QE, mettendo più liquidità sul mercato. Prima o poi si dovrà trovare un modo per ritirare tutta la maggiore liquidità creata rimettendo sul mercato i titoli comprati senza creare sconquassi o sulla liquidità o sui corsi dei titoli.

La politica si rilassa e non si parla più di spendine review. Consiglieri regionali e non solo reclamano il loro vitalizio e i ministeri non rinunciano ai loro fasti. I politici interrompono il ponte dell’Immacolata, aprono la Camera per arraffare ingiustificatamente 10 milioni di euro, impropriamente chiamati rimborso spese.
Tanto ci pensa Draghi a ripianare i buchi.

Le riforme strutturali e lo smantellamento della burocrazia sono i veri due colpevoli del mastodontico debito pubblico, due argomenti demodé. Il tanto osannato QE fa perdere, anche se indirettamente, la flessibilità del cambio, disincentiva l’indirizzo alla politica e fa perdere la promozione della competitività senza nulla aggiungere al mercato del lavoro.
•      L’apparato statale è la cisterna. Il debito pubblico, ahinoi, è la crepa profonda. Il QE è l’acqua che defluisce continuamente. 

Intanto il contatore del debito pubblico continua inarrestabile a segnare la drammaticità della situazione, avvertendo, a chi vuole ascoltare, che qualsiasi futuro passerà obbligatoriamente da una drastica riduzione di questo macigno. Lo scorso10 dicembre, il contatore debito pubblico segnava 2.282.628.439.288, praticamente con una crescita esponenziale di circa 220 milioni al giorno, dato confermato anche dalla statistica della Banca d’Italia. Sempre secondo stessi dati Banca Italia, solo il fabbisogno giornaliero delle amministrazioni pubbliche ammonterebbe  a circa 113 milioni. Bisogna necessariamente fermare questa dissennata corsa verso “lidi sconosciuti”, per citare Draghi, e riformare la struttura statale in conformità alla potenzialità fiscale. Oltre i lidi sconosciuti ci starebbe anche il buio oltre quella siepe del debito pubblico.

 




A MAGGIO IL DEBITO PUBBLICO SALE A 2.218,2 MILIARDI

Redazione

A maggio, secondo i dati del Bollettino statistico della Banca d'Italia, il debito delle amministrazioni pubbliche è aumentato di 23,4 miliardi, a 2.218,2 miliardi. L’incremento del debito è stato superiore al fabbisogno del mese (4,3 miliardi) principalmente per l’aumento di 17,8 miliardi delle disponibilità liquide del Tesoro (a fine maggio pari a 100,9 miliardi; 92,3 a maggio del 2014); complessivamente la rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione, il deprezzamento dell’euro e l’emissione di titoli sopra la pari hanno accresciuto il debito per 1,3 miliardi. Con riferimento ai sottosettori, il debito delle amministrazioni centrali è aumentato di 22,9 miliardi, quello delle amministrazioni locali di 0,5 miliardi; il debito degli Enti di previdenza è rimasto sostanzialmente invariato.




DEBITO PUBBLICO, DALLE PRIME AVVISAGLIE ALL'INARRESTABILE FAGOCITAZIONE DI SPERANZE INFRANTE

Emanuel Galea

Un mostro che cresce a dismisura, autoalimentandosi, incubo di tanta gente, perennemente in crescita, ottusamente sottovalutato, da tempo, dalla classe politica.
 
Il rapporto Debito Pubblico/ PIL, fino al 1989, governo De Mita,  ( Ciriaco De Mita Segretario nazionale della Democrazia Cristiana 1982/1989 ) si assestava sotto la soglia 100 e precisamente stava a 93,7%. Ha toccato un picco di 121,8%  nel 1993 a fine mandato Ciampi, per poi riassestarsi a 126,3% al 31 dicembre 2012, fine mandato Monti.
 
L’inizio della corsa al rialzo risale al 1980. Fino ad allora le banche avevano l’obbligo di comprare i titoli del debito pubblico a tassi molto bassi finanziando così le esigenze di cassa dello Stato.  Abolendo questi vincoli, le autorità monetarie obbligarono lo Stato ad approvvigionarsi di tassi di mercato. La spiegazione fornita allora, una mera illusione, era che si voleva evitare ai democristiani e socialisti, al potere, di utilizzare gli investimenti per fini clientelari.
 
Dopo, si è scoperto che così facendo si obbligava lo Stato a finanziare il disavanzo a tassi di mercato.

Grazie a una certa classe politica miope, collusa ed irresponsabile, il sistema bancario conseguiva guadagni spropositati, acquistando titoli ad altissima remunerazione.
 
Una ulteriore spinta alla corsa al rialzo del debito pubblico avvenne nel luglio del 1981, anno in cui avvenne il ‘divorzio’ Bankitalia-Tesoro. Titolare del Ministero del Tesoro era Nino Andreatta ( Democrazia Cristiana ).

Se accanto a questi fattori aggiungiamo la menzionata eliminazione del vincolo di portafoglio, che obbligava le banche a detenere titoli di stato a tassi bassissimi, è facile capire l’impennata del debito pubblico.

Episodi di chi approfittando dell’occasione prendeva soldi in prestito per investirli poi in titoli non sono stati rari. Gli interessi bancari, ad un certo momento, risultavano inferiori allo stesso rendimento dei titoli pubblici.

Al momento del divorzio Tesoro/Bankitalia il governatore era Azeglio Ciampi e durante il suo mandato, il debito pubblico salì dal 62,40% al 118,40%.
 
La lievitazione del deficit si andava formando perché le spese dello Stato viaggiavano in misura maggiore rispetto le entrate.
 
Per rendere chiaro il corso ‘perverso’ che si era intrapreso ecco il rapporto debito pubblico/PIL, espresso in milioni:

– 2008 1665.705/1575.144

-2009 1762.724/1519.695

– 2010 saliva a 1841.912/1553.166

– 2011 ha chiuso con 1897.179/1580.220


 Emerge più che chiara la progressività del deficit tra debito e PIL.  Sarebbe interessante indagare, per meglio capire, a cosa si attribuisse la crescita della spesa. Implementazione dei servizi sociali non ne risulta nessuna. Forse i partiti sapranno spiegare meglio il fenomeno.

L’uscita della lira dallo SME ha richiamato tutti i poteri finanziari che, a sconti non indifferenti,  hanno comprato tutte le ricchezze italiane. In poche parole, un settore importante della società imprenditoriale non facente parte del mondo finanziario si è trovato emarginato e svantaggiato, costretto suo malgrado, a rallentare il processo produttivo, indebolendo quella parte dell’imprenditoria che fino ad allora formava l’ossatura dell’economia nazionale e quindi dell’occupazione e quindi della crescita.
 
Il trattato di Maastricht del 1992 segna un’altra pietra miliare nella storia del debito pubblico. Un trattato troppo generico al quale sono mancate regole precise, stabilendo obblighi e diritti. Questo evento ha dato il via ad un altro periodo di fruttuosi guadagni per il sistema bancario. Dal 1994 al 2004, per permetterci di entrare nell’euro il debito pubblico fu ridimensionato, portandolo, non è chiaro con quale artificio, dal 124,5% a 103,8%.

Qualcuno allora aveva scritto che il debito non si deve addebitare ad un bravo o cattivo presidente del Consiglio dei Ministri. Il debito è dovuto al ‘processo’ e non all’attore. Non mi sento di condividere questa tesi. Il processo non è che il ‘prodotto’, dell’attività dell’attore. 
 
Una ultima e semplice constatazione. Oggi il sistema bancario dirige, e pertanto di fatto possiede, quasi la totalità del mondo produttivo nostrano.
 
La nostra produzione, stando alle statistiche, fino al 1972 era superiore a quell’europea dell’8%. Dal 1972 fino al 31 dicembre 1981 superava del 40% quell’europea. L’anno 1982 è stato l’inizio di una infausta discesa della nostra economia e ad oggi non mostra segni di ripresa.
 
Qualsiasi persona, anche quella più a digiuno di nozioni di economia, oggi saprà fare una veloce diagnosi della situazione. Ci troviamo con un debito pubblico mastodontico in un sistema di cambi fissi, accordi europei con dei parametri capestro, come il pareggio di bilancio, il fiscal compact con la famigerata soglia del 60% e il ritmo medio di riduzione pari ad un ventesimo l’anno.

Queste considerazioni da sole basterebbero a far venire la pelle d’oca al più freddo degli statisti. La cura per abbassare la febbre al debito pubblico ci sarebbe. Praticare dei salassi e seguire una dieta rigida alla spesa pubblica, come consumi pubblici,  spesa per beni e servizi dell’apparato, trasferimenti, abolizioni dei privilegi e tutto il superfluo.
 
Se poi si considera l’analisi che ha fatto Gian Antonio Stella su Il Corriere , e cioè che i partiti nel scegliere i candidati non cercano competenze oppure professionalità, bensì persone fidate, indottrinate, obbedienti,  pronte a votare l’ordine di scuderia, ci si rende subito conto che davanti alla situazione tragica e compromessa,l’azienda Italia si presenta totalmente esposta a qualsiasi evento.

Il legislativo si presenta debole di strumenti e povero di intelligenze, quelle necessarie in casi così estremi.

La trasmissione “Le Iene” ha dimostrato il livello di Quoziente di Intelligenza e grado culturale di taluni, scelti dall’apparato dei partiti, per rappresentare il Popolo, non hanno saputo dire cosa è la Consob, la OSCE ecc. A questi signori abbiamo affidato il nostro futuro.

I partiti, persino in questo momento tragico, seguitano con il loro teatrino, una fiera di vuoto, del nulla, del già sentito, già visto, del poco credibile, del per niente promettente, per niente rassicurante.
Mai un diritto/dovere, affidato ai cittadini, fu così difficile perché caotico e scadente.

Per andare a votare i prossimi 24 e 25 febbraio ci vorranno  tanti ottura nasi, para occhi e… tirare a sorte.
 




COME AGGREDIRE IL DEBITO PUBBLICO, SPRIGIONARE NUOVE RISORSE, DARE FIDUCIA AI MERCATI. UNA PROPOSTA CHE AL PARLAMENTO NON PASSERA’ MAI.

Emanuel Galea

Mi sembra che la migliore sintesi della situazione caotica del momento l’abbia fatta l’ambasciatore Sergio Romano. Nessuno dei partiti vuole veramente affrontare le elezioni anticipate. Il Capo dello Stato, come un disco rotto, continua a raccomandare all’aula di lanciare le riforme. In Camera e Senato si susseguono dibattiti e discussioni interminabili. L’oggetto da contendersi è la legge elettorale. Ogni fazione partitica propone il proprio sistema per guadagnare più voti. Risulta quindi ovvio che un accordo non si raggiungerà mai. Napolitano reitera le raccomandazioni. Il Parlamento, in ossequio al Presidente sì re-immerge nelle inutili discussioni, mentre le riforme continuano a non essere fatte. E tutti continuano a dichiarare che invece le vogliono fare. La colpa, ovviamente,  è sempre della controparte. Napolitano rimane scontento. Il Popolo Italiano più di lui. E’ proprio il caso di urlare: fatela finita! Il Popolo Italiano non regge più l’impatto quotidiano con la Torre di Babele da dove si sente in tutte le lingue con dialetto politichese  “abbatti-debito pubblico”. Si sta consumando una sceneggiata della peggior specie. Patroni Griffi, l’attuale Ministro  della Pubblica Amministrazione, dice basta ai campanili. Renato Balduzzi, Ministro della Salute, avverte che è stato raggiunto il limite e secondo lui si deve dire basta con i sacrifici. Gli statali di Fp-Cgil, Flc-Cgil, Uil-fpl, Uil-Rua hanno in programma un sit-in per chiarire le loro ragioni. Bersani, l’eterno indeciso, dichiara che con Monti c’è "Indignazione che nasconde imbarazzo". Bergamini, segretario provinciale della Lega Nord critica i tagli. Non si capisce se favorisce quelli orizzontali oppure quelli verticali.  Il sottosegretario Gianfranco Polillo promette che per il futuro, la spending review dovrà essere “l’inizio di un processo che durerà nel tempo”. Un ventaglio di scelte che fanno andare in tilt la mente più sana. Nel gran bazar delle proposte non potevano mancare, tra fumi ed odori nauseabondi d’aria fritta, le bancarelle dei partiti. Il Pdl, ha votato l’IMU ed il blocco dell’indicizzazione delle pensioni ma non ha condiviso del tutto e adesso, con un consenso ridotto al lume di candela, cerca di riemergere, facendo chiasso  con una proposta Alfano-Brunetta per una drastica  riduzione del debito pubblico. Il Pd, dicendo che avrebbe preferito una propria manovra non ha fatto mancare il suo SI,  è presente alla fiera con la proposta Alesina-Ichino. Chi si aspettava la proposta Amato-Bassanini, non rimarrà deluso.  Mister Sottile è ricordato ancora per il famigerato prelievo forzoso del 6 per mille dai conti correnti bancari. Ci stanno anche loro! Poi ci sono anche gli outsiders. Troviamo la proposta Giavazzi e quella di Grilli. Sempre il Ministro Giarda a mediare. Spicca su tutti quanti la versione Monti. A queste aggiungo anche la mia personale  proposta che spiegherò fra poco. Importante sottolineare le cause che hanno formato il presente debito pubblico. Ufficialmente è servito a coprire il fabbisogno finanziario statale, ovvero a colmare il deficit pubblico. E’ giusto specificare però che, tale deficit è stato formato, in gran parte, per aggraziarsi nuovi bacini di consensi elettorali. Sono stati i partiti che hanno fatto lievitare a tali livelli il debito, che poi è la causa preponderante della nostra crisi.

Convinto come sono che i partiti ci hanno portato sull’orlo del baratro, è giusto fare la proposta senza pretesa di abbattere completamente la montagna dello scoperto. Può solo servire da inizio alle altre proposte in discussione questi giorni.

La mia proposta si riduce in poche righe ed è questa:
Prelievo forzoso di tutto il patrimonio investito, tutti i beni mobili et immobili di tutti i partiti in essere, di quelli dormienti e di quelli dismessi e  che ancora detengono qualche sorta di patrimonio, beni mobili et immobili. Questa proposta integra le altre, presenti sul tavolo delle discussioni. Con la mia iniziativa intendo restituire fiducia e dignità ai partiti e ridare decoro alla figura del “ politico”. L’Italia supererà la crisi e riacquisterà la fiducia dei mercati il giorno che i partiti cesseranno di mettersi di traverso, di occuparsi più del paese piuttosto che del loro partito.
Auguri al Bel Paese.