L’ombra della Banda della Magliana nell’operazione “Gerione”: sgominata organizzazione criminale a nord della Capitale

Uno degli arrestati, rapinatore seriale, attualmente detenuto, forniva dal carcere disposizioni operative al fratello, per cui tramite “pizzini” e conversazioni intrattenute con cellulari illegalmente detenuti, continuava a gestire l’attività di traffico di stupefacenti tra Roma, Castelnuovo e Morlupo

Questa mattina, i Carabinieri di Bracciano, con il supporto del Nucleo Elicotteri di Pratica di Mare, del Nucleo Cinofili di Santa Maria di Galeria, della Compagnia di Ronciglione, della Compagnia Roma Casilina e delle Compagnie del Gruppo di Ostia, hanno eseguito un’ordinanza emessa dal G.I.P. del Tribunale di Tivoli, su richiesta della locale Procura della Repubblica, nei confronti di 12 soggetti, tra cui 2 donne, destinatari di misure cautelari (4 in carcere, 2 agli arresti domiciliari, 4 all’obbligo di dimora e 2 all’obbligo di presentazione in caserma), residenti nell’area nord della provincia romana e, in particolare, tra i comuni di Castelnuovo di Porto e Morlupo. Ai 12 indagati, tutti italiani, sono contestati, a vario titolo, i reati di “concorso in detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione, incendio, porto e detenzione illegale di armi da fuoco”.

L’attività d’indagine, convenzionalmente denominata “Gerione”, ha avuto inizio a maggio 2019, a seguito di un arresto in flagranza di reato per detenzione di 6 kg di hashish e delle munizioni, operato da personale del Comando Stazione Carabinieri di Castelnuovo di Porto nel comune di Morlupo. È emerso infatti che quanto rinvenuto era riconducibile a un altro soggetto del posto, già noto alle forze dell’ordine, il quale avrebbe costretto con minacce e violenza l’arrestato a detenere per suo conto la droga.

Le indagini hanno permesso di acquisire importanti elementi di reità a carico dei componenti di una famiglia di Morlupo, nota alle cronache locali poiché collegata, in passato, alla famigerata Banda della Magliana.

È stato acclarato addirittura che uno degli arrestati, rapinatore seriale, attualmente detenuto, forniva dal carcere disposizioni operative al fratello, per cui tramite “pizzini” e conversazioni intrattenute con cellulari illegalmente detenuti, continuava a gestire l’attività di traffico di stupefacenti tra Roma, Castelnuovo e Morlupo. Durante queste conversazioni, il detenuto è arrivato ad organizzare una spedizione di droga e sim card diretta alla casa circondariale, mentre in alcune occasioni si è limitato a piazzare delle scommesse sugli eventi calcistici del momento.

Nel corso dell’indagine, gli investigatori sono riusciti ad individuare il canale di approvvigionamento del mercato locale di stupefacenti, rifornito con spedizioni periodiche di ingenti quantitativi provenienti dal quartiere Casal Bruciato di Roma. Il gruppo era talmente ben organizzato che uno dei corrieri utilizzati, dipendente di una tipografia, per non destare sospetti effettuava il trasporto dello stupefacente mediante l’utilizzo di un mezzo della propria ditta.

Dall’attività investigativa è emersa anche una rete di contatti e connivenze tra svariati soggetti locali che, in maniera non sempre consenziente, forniva appoggio all’attività di spaccio condotta dalla compagine criminale. Tra questi figura una donna di Morlupo la quale sarebbe stata costretta a detenere e spacciare lo stupefacente. Un’altra donna, invece, colpita dalla misura cautelare poiché organicamente inserita nel gruppo criminale, si occupava della riscossione dei pagamenti relativi alle vendite al dettaglio di stupefacenti.

Gli arrestati, che godevano di un tenore di vita particolarmente alto grazie ai proventi dello spaccio, non si facevano scrupolo a risolvere dissidi privati e controversie nate in seno al traffico di stupefacenti mediante atti di violenza efferata. In un caso, avrebbero danneggiato una concessionaria auto con una molotov, poiché un’autovettura di grossa cilindrata acquistata presso quella rivendita aveva presentato dei problemi meccanici.

La Compagnia Carabinieri di Bracciano ha eseguito le misure cautelari e il sequestro preventivo, disposto dal Gip, di beni mobili, immobili e conti correnti, per un valore di oltre seicentomila euro (tra cui una villetta ubicata a Morlupo e due autovetture), oltre a numerose perquisizioni a carico di soggetti vicini al gruppo criminale di Morlupo.

Nel corso delle fasi operative dell’esecuzione dell’ordinanza, questa mattina, i Carabinieri hanno arrestato, in flagranza di reato, un’altra persona, vicina al gruppo criminale, per reati inerenti gli stupefacenti, e sequestrato una pistola a salve completa di cartucce, 65 g di hashish, 10 g di marijuana e 4.150 euro in contanti.




BANDA DELLA MAGLIANA VI: L'IMPERO ECONOMICO DI DE PEDIS

di Angelo Barraco

23 giugno 1986, a quasi 3 anni dalla prima deposizione di Lucioli, la Corte D’Assise condanna in primo grado 37 imputati su 60. La sentenza riconosce principalmente il traffico di stupefacenti, la metà di loro tornano liberi, compreso Enrico De Pedis. La condanna più pedante va ad Edoardo Toscano, dovrà scontare 20 anni di carcere per omicidio. La battaglia con la giustizia è stata vinta ma una nuova minaccia arriva da un affiliato che fino a quel momento aveva agito nell’ombra, si chiama Claudio Sicilia detto “il vesuviano”. Claudio Sicilia è tra i pochissimi scampati all’arresto del 1983, con i compagni in carcere ha preso le redini dell’organizzazione. La sua reggenza finisce nell’autunno del 1986, anno in cui viene arrestato. Temendo per la sua incolumità, Sicilia decide di parlare e conferma i racconti degli altri pentiti e aggrava le posizioni degli altri compagni. Lui parla delle finte malattie di Abbatino. Abbatino vuole riprendere il controllo dell’organizzazione cercando l’appoggio negli amici di sempre, ma viene ignorato. Ha capito che ha Roma non ha più alleati ma nemici. Il 23 dicembre del 1986 Abbatino, che era ricoverato a Villa Gina da molti mesi, evade dalla villa tramite il supporto di lenzuola. Si da alla latitanza e fa perdere le sue tracce, a regnare sulla capitale adesso c’è soltanto De Pedis. 17 marzo 1987, pochi mesi dopo l’evasione di Abbatino, la procura di Roma emette 91 ordini di cattura contro le persone chiamate in causa da Claudio Sicilia. Sembrerebbe la svolta, ma De Pedis e compagni hanno preso le dovute precauzioni.

Secondo Sicilia la Banda è riuscita a corrompere persino i tribunali, ma le sue parole cadono nel vuoto. Quello stesso tribunale che ha accusato respinge le sue dichiarazioni, Sicilia rimane un uomo solo e i suoi compagni, che verranno scarcerati poco dopo, lo metteranno a tacere il 18 novembre 1991 all’Eur, ucciso in un negozio. Il 14 giugno 1988, gli uomini della Banda della Magliana attendono l’ultimo grado di giudizio di un processo che li vede imputati per reati gravi. Come sempre trovano la strada per uscire liberi. La Corte di Cassazione, presieduta dal Giudice Corrado Carnevale soprannominato “Il giudice ammazza sentenze”, demolisce l’intero impianto accusatorio del processo, le condanne saltano. I ragazzi finalmente sono liberi, Enrico De Pedis si mette a caccia dei suoi nemici. Il suo primo obiettivo è la persona che durante gli anni del carcere ha provato a mettersi contro di lui, ovvero Edoardo Toscano “l’operaietto”.  Mancini racconta che Toscano era andato da un fornaio usuraio per investire cinquanta milioni, De Pedis ha chiesto all’usuraio di avvisarlo non appena fosse arrivato Toscano e in cambio avrebbe dato i cinquanta milioni di Toscano più altri cinquanta milioni di tasca sua, e il fornaio ha accettato. La mattina in cui Toscano si recò presso questo fornaio-usuraio, è arrivata questa moto con a bordo due persone: Angelo Cassani detto “Ciletto” e Angelici, e gli hanno sparato in testa il 16 marzo 1989 ad Ostia.

Agli inizi degli anni 90 De Pedis gestisce un impero economico, a Roma è diventato un intoccabile. A Roma nessuno osa colpirlo, tranne chi voleva vendicare la morte di Toscano. Colafisci all’interno dei manicomi conosce due Toscani, Colafigli voleva uccidere De Pedis e queste persone si adoperano per compiere l’omicidio. Per completare l’opera però ci vuole l’esca giusta, Colafigli come esca per De Pedis convince a collaborare, sotto minaccia, un piccolo criminale amico di del boss di Testaccio. Questa persona prende appuntamento con De Pedis a Campo dei Fiori, usando come pretesto un affare di quadri poiché De Pedis ormai si interessava anche di arte. 2 febbraio 1990, Via del Pellegrino, è il giorno dell’appuntamento di De Pedis per l’affare, De Pedis arrivato in quel luogo ha capito che non era una questione di quadri ma era una vendetta, allora salì in moto e tentò la fuga, una moto gli si è avvicinata e ha iniziato a sparare ed è morto Enrico De Pedis.
Con la sua morte la Banda della Magliana non esiste più. La polizia da anni, da la caccia ad Abbatino, ultimo cane sciolto e pericoloso boss. Abbatino è cercato sia dai suoi ex compagni che dalla polizia, gli ex compagni lo vogliono trovare prima della polizia e potrebbe rivelarsi pericoloso poiché nasconde molti segreti. Per gli ex compagni della Banda, per stanare Abbatino c’è un solo modo, far parlare i familiari. Roberto Abbatino, fratello del boss, è la vittima prescelta. 18 marzo 1990, il corpo di Roberto Abbatino emerge dal tevere, colpito da 30 coltellate. Lo hanno ucciso per sapere da lui dove si trovasse il fratello, ma non ha parlato e ha parlato con la morte.

31 dicembre 1991, la polizia intercetta Abbatino che chiama la madre presso il quartiere Magliana. E’ una svolta! In mezz’ora la polizia ha l’indirizzo di Abbatino. Abbatino è a Caracas, in Venezuela. In tutti questi anni si è rifatto una vita Abbatino, stringendo contatti con la piccola criminalità locale e lo spaccio di droga. Quando Abbatino vede la polizia italiana non oppone resistenza, ma sorride. 4 ottobre 1992, Abbatino arriva in Italia, in manette. Torna in Italia con l’intento di vendicarsi, ma a modo suo per la vendetta del fratello. 16 aprile 1993, scatta l’operazione Colosseo, 500 agenti della squadra mobile si sparpagliano per Roma, vengono effettuati 56 arresti e vengono sequestrati alla Banda della Magliana ottanta miliardi di lire in beni mobili e immobili. L’accusa è associazione a delinquere. Per anni, Abbatino, Mancini e Moretti diventano testimoni in aule di tribunali dei più oscuri misteri d’Italia. Il processo alla Banda della Magliana si conclude con pesanti condanne, questa volta i boss non godono di nessuna protezione.
I protagonisti di questa vicenda, ancora superstiti, hanno quasi saldato il conto con la giustizia e anche Roma è cambiata e la storia della Banda della Magliana rimane uno dei capitoli più neri della storia italiana densa e impregnata di mistero.