Boom di precari. Ora sono oltre 9,3 milioni gli italiani che non ce la fanno

Nessun segnale di ripresa. Gli squilli di tromba usati ripetutamente dai vari schieramenti politici rimangono una mera illusione, almeno per ora. Siamo nel pieno del 2018 e la crisi economica sembra non finire mai. Si parla spesso del mercato del lavoro in crescita, ma i dati parlano di un’altra realtà. Meno disoccupazione, compensata da una ‘fabbrica’ di lavoratori precari.

Ora sono oltre 9,3 milioni gli italiani che non ce la fanno e sono a rischio povertà:

è sempre più estesa l’area di disagio sociale che non accenna a restringersi. Dal 2016 al 2017 altre 128mila persone sono entrate nel bacino dei deboli in Italia:complessivamente, adesso, si tratta di 9 milioni e 293 mila soggetti in difficoltà. E’ quanto emerge da uno studio di Unimpresa nel quale si sottolinea che “crescono soprattutto gli occupati-precari: in un anno, dunque, è aumentato il lavoro non stabile per 197mila soggetti che vanno ad allargare la fascia di italiani a rischio”. Ai “semplici” disoccupati, che hanno fatto registrare una diminuzione di 69mila unità, sostiene Unimpresa, “vanno aggiunte ampie fasce di lavoratori, ma con condizioni precarie o economicamente deboli che estendono la platea degli italiani in crisi.

Si tratta di un’enorme “area di disagio”:

ai quasi 3 milioni di persone disoccupate, bisogna sommare anzitutto i contratti di lavoro a tempo determinato, sia quelli part time (900mila persone) sia quelli a orario pieno (2 milioni); vanno poi considerati i lavoratori autonomi part time (722mila), i collaboratori (251mila) e i contratti a tempo indeterminato part time (2,68 milioni)”. Questo gruppo di persone occupate, ma con prospettive incerte circa la stabilità dell’impiego o con retribuzioni contenute, “ammonta complessivamente a 6,55 milioni di unità”. Il totale del’area di disagio sociale, calcolata dal Centro studi di Unimpresa sulla base dei dati Istat, a fine 2017 comprendeva dunque 9,29 milioni di persone, in aumento rispetto fine 2016 di 197mila unità (+1,4%). Il deterioramento del mercato del lavoro non ha come conseguenza la sola espulsione degli occupati, ma anche la mancata stabilizzazione dei lavoratori precari e il crescere dei contratti atipici. Una situazione di fatto aggravata dalle agevolazioni offerte dal Jobs Act che hanno visto favorire forme di lavoro non stabili.

Di qui l’estendersi del bacino dei “deboli”

Il dato sui 9,29 milioni di persone è relativo al terzo trimestre del 2017 e complessivamente risulta in aumento dell’1,4% rispetto al terzo trimestre del 2016, quando l’asticella si era fermata a 9,16 milioni di unità: in un anno quindi 105mila persone sono entrate nell’area di disagio sociale. Nel terzo trimestre del 2016 i disoccupati erano in totale 2,80 milioni: 1,53 milioni di ex occupati, 578mila ex inattivi e 693mila in cerca di prima occupazione. A settembre 2017 i disoccupati risultano in discesa di 69mila unità (-2,5%). Incide il calo di 139mila unità degli ex occupati, mentre crescono di 41mila unità gli ex inattivi; e salgono pure coloro che sono in cerca di prima occupazione, cresciuti di 29mila unità. In salita il dato degli occupati in difficoltà: erano 6,35 milioni a settembre 2016 e sono risultati 6,55 milioni a settembre scorso. In totale 197mila soggetti in più (+3,1%). Una crescita dell’area di difficoltà che rappresenta un’ulteriore spia della grave situazione in cui versa l’economia italiana, nonostante alcuni segnali di miglioramento: soprattutto le forme meno stabili di impiego e quelle retribuite meno, favorite dalle misure inserite soprattutto nel Jobs Act, pagano il conto della recessione. I contratti a temine part time sono saliti di 146mila unità da 754mila a 900mila (+19,4%), i contratti a termine full time sono cresciuti di 196mila unità da 1,80 milioni a 2 milioni (+10,9%), i contratti a tempo indeterminato part time sono calati dell’1,0% da 2,70 milioni a 2,68 milioni (-27mila). Scendono i contratti di collaborazione (-56mila unità) da 307mila a 251mila (-18,2%) e risultano in diminuzione anche gli autonomi part time (-7,9%) da 784mila a 722mila (-62mila).

Marco Staffiero




CRISI, PASTA E CAFFE' SENZA DATA DI SCADENZA: I PRODUTTORI METTONO LE SCADENZE A DISCREZIONE

Redazione

L’Unione Europea si appresta a rivedere le norme sulle etichette di scadenza dei prodotti alimentari per far sparire le scritte .”da consumarsi preferibilmente entro” dalle confezioni di prodotti come pasta, riso, caffe e formaggi duri. E’ quanto afferma la Coldiretti sulla base dell’ordine del giorno della riunione di Consiglio agricoltura, che si svolgerà a Bruxelles lunedì 19 maggio 2014, in cui ministri affronteranno le proposte delle delegazioni di Olanda e Svezia che intendono richiamare l'attenzione del Consiglio al problema della perdite alimentari e dei rifiuti in Europa con suggerimenti che riguardano l'esenzione dell'obbligo di indicare in etichetta il termine minimo di conservazione o la data raccomandata per i prodotti a lunga conservazione, con il sostegno dell’Austria, Germania, Danimarca e Lussemburgo.

Complice la crisi economica oggi appena il 36% degli italiani dichiara di attenersi rigorosamente alla data di scadenza dei prodotti riservandosi di valutare personalmente la qualità’ dei prodotti scaduti prima di buttarli, secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Gfk Eurisko dalle quali si evidenza peraltro che solo il 54% degli italiani controlla quotidianamente il frigorifero e il 65% controlla almeno una volta al mese la dispensa. Con la crisi si registra peraltro una storica inversione di tendenza e con quasi tre italiani su quattro (73 per cento) che hanno tagliato gli sprechi a tavola nel 2013 anche per effetto della necessità di risparmiare e di ottimizzare la spesa dallo scaffale alla tavola. La tendenza al contenimento degli sprechi – sottolinea la Coldiretti – è forse l’unico aspetto positivo della crisi in una situazione in cui ogni persona in Italia ha comunque buttato nel bidone della spazzatura ben 76 chili di prodotti alimentari durante l’anno.

La tentazione di mangiare cibi scaduti per non sprecare non deve andare a scapito della qualità dell’alimentazione in una situazione in cui molti cittadini sono costretti a risparmiare sulla spesa privandosi di alimenti essenziali per la salute o rivolgendosi a prodotti low cost che non sempre offrono le stesse garanzie qualitative. Con la crisi è crollata la spesa a tavola degli italiani che nel 2014 dicono addio alla dieta mediterranea, dalla pasta (-5 per cento) all’extravergine (-4 per cento), dal pesce (-7 per cento) alla verdura fresca (-4 per cento) rispetto al 2013, secondo le elaborazioni Coldiretti relative agli acquisti nel primo bimestre dell’anno durante il quale le vendite dei cibi low cost nei discount alimentari sono le uniche a far segnare un aumento consistente nel commercio al dettaglio in Italia con un +2,9%.

Il Termine Minimo di Conservazione (TMC) – sostiene la Coldiretti – ha un suo significato ed è stato introdotto a garanzia dei consumatori anche se differisce dalla data di scadenza vera e propria. Il Termine Minimo di Conservazione (TMC) riportato con la dicitura “Da consumarsi preferibilmente entro“ indica – sottolinea la Coldiretti – la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprieta' specifiche in adeguate condizioni di conservazione. Cioè indica soltanto la finestra temporale entro la quale si conservano le caratteristiche organolettiche e gustative, o nutrizionali, di un alimento, senza con questo comportare rischi per la salute in caso di superamento seppur limitato della stessa. Si sottolinea però che tanto più ci si allontana dalla data di superamento del TMC, tanto più vengono a mancare i requisiti di qualità del prodotto , quale il sapore, odore, fragranza, ecc.

Differisce quindi dalla data di scadenza vera e propria che – precisa la Coldiretti – è la data entro cui il prodotto deve essere consumato ed anche il termine oltre il quale un alimento non può piu’ essere posto in commercio. Tale data di consumo non deve essere superata altrimenti ci si può esporre a rischi importanti per la salute. Si applica ai prodotti preconfezionati, rapidamente deperibili da un punto di vista microbiologico ed è indicata con il termine “Da consumarsi entro” seguito dal giorno, il mese ed eventualmente l’anno e vale indicativamente per tutti i prodotti con una durabilità non superiore a 30 giorni.

Attualmente – spiega la Coldiretti – solo pochi alimenti hanno una scadenza prestabilita dalla legge come il latte fresco (7 giorni) e le uova (28 giorni). Per tutti gli altri prodotti la durata viene stabilita autonomamente dagli stessi produttori, in base ad una serie di fattori che vanno dal trattamento tecnologico alla qualità delle materie prime, dal tipo di lavorazione e di conservazione per finire con l’imballaggio. Per questo, non è difficile, durante un controllo commerciale, vedere due prodotti simili, ma di marchio differente con data di scadenza diversa. E’ infatti compito di ogni singola azienda effettuare prove di laboratorio sui propri prodotti, per misurare la crescita microbica e valutare dopo quanti giorni i valori organolettici e nutrizionali cominciano a modificarsi in modo sostanziale.

Il risultato è ad esempio che – continua la Coldiretti – per l’olio d’oliva extra vergine alcune aziende consigliano il consumo entro 12 mesi, altre superano i 18, con il rischio di perdere le caratteristiche nutrizionali e di gusto secondo studi del dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari e microbiologiche dell’università di Milano. Tali ricerche evidenziano come gli effetti del mancato rispetto dei tempi di scadenza variano – conclude la Coldiretti – da prodotto a prodotto: per lo yogurt, che dura 1 mese, il prolungamento di 10-20 giorni non altera l’alimento, ma riduce il numero dei microrganismi vivi, mentre al contrario per i pomodori pelati quasi tutte le confezioni riportano scadenze di 2 anni anche se la qualità sensoriale è certamente migliore se si consumano prima.

 




ITALIANI ATTANAGLIATI DALLA CRISI

di Christian Montagna

A pochi giorni dall'approvazione della nuova imposta sulla casa IUC gli italiani devono far fronte ad una pressione fiscale sempre più forte. C'è chi rinuncia abbassando le serrande delle attività e chi per fortuna continua a sperare investendo per un futuro migliore. La crisi colpisce le principali città d'Italia ma non solo della nostra penisola. I commercianti sono allarmati e in previsione dell'imminente arrivo del Natale non hanno speranze di ripresa.

Facendo un giro per le principali vie del commercio numerosi sono i negozi che hanno anticipato i saldi invernali; altri optano per offerte e promozioni convenienti e altri ancora perdono le speranze e cercano un impiego diverso. La situazione è allarmante: aumenta il costo della vita ma gli stipendi restano invariati se non diminuiti. Diventerà una Grecia-bis? Siamo sulla buona strada…La sempre più pressante imposizione di tasse ci sta distruggendo. Nessuno ottiene contratti di lavoro; le aziende preferiscono una condizione di tipo familiare all'assunzione di personale qualificato.

La manodopera di cittadini stranieri ad un costo più basso e a nero viene preferita a quella degli italiani.Non c'è crescita nè sviluppo. C'è chi non riesce ad arrivare a fine mese con lo stipendio e chi non riesce a sostenere le spese delle proprie famiglie Aumentano così i reati di furto e rapina  di chi in preda alla disperazione si abbandona a quella che può sembrare l'unica speranza di salvezza. Numerosi i furti ai generi alimentari e supermercati registrati dalle cronache negli ultimi anni.

Basta girare per le stazioni ferroviarie per vedere le numerose file di persone che attendono i pasti donati dalla caritas e da altre associazioni di volontariato. E a far parte di queste file ci sono anche molti italiani. Così continuando dove arriveremo? Torneremo prima o poi al baratto? Altro che era della globalizzazione, questa è l'era della regressione e della distruzione. Siamo ad un passo dal baratro, si salvi chi può!




FROSINONE TELECOM: NO ALLA CHIUSURA DELLA SEDE NEL FRUSINATE

Redazione

Frosinone – In tempi di crisi economica, anche Telecom taglia le proprio sedi, a rischio quella del Frusinate.  “La priorità è la tutela dei livelli occupazionali e il mantenimento della sede nel capoluogo per evitare lo smantellamento dei servizi presenti sul territorio”.

Così il Senatore Francesco Scalia interviene a sostegno dei lavoratori del 187 di Frosinone dopo la presentazione del piano di riordino aziendale Telecom che prevede la chiusura di 40 sedi provinciali, tra cui quella di Frosinone.

“Non possiamo accettare – continua Scalia – questa logica di tagli indiscriminati che, con la chiusura della sede di via Valle Fioretta, provocherà la perdita di 40 posti di lavoro. A Frosinone le operatrici sono per la maggior parte donne e non si può proporre loro un trasferimento nella capitale o il telelavoro in quanto tale ipotesi non tiene conto delle loro esigenze di gestione familiare.

Trovo molto più condivisibile la proposta delle organizzazioni sindacali su un trasferimento del servizio in uno stabile diverso che comporterebbe una effettiva riduzione dei costi d’affitto”.

“E’ necessario – conclude Scalia – ricercare ogni possibile soluzione che possa evitare l’ennesima chiusura nel nostro territorio. Bene l’impegno del Prefetto ma è indispensabile che anche la Provincia e la Regione si attivino  presso i vertici aziendali convocando con urgenza un tavolo di confronto con le organizzazioni sindacali per mediare in questa difficile vertenza”.




CISI ECONOMICA, LE FAMIGLIE POSSONO ACQUISTARE SEMPRE DI MENO

Redazione

A rilevare questi dati è l'Istat. Nel secondo trimestre del 2012 la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici, misurata al netto della stagionalità, è stata pari all'8,1%, con una diminuzione di 0,6 punti percentuali rispetto al trimestre precedente e di 0,5 punti percentuali rispetto al corrisponde trimestre del 2011.

Il reddito disponibile delle famiglie consumatrici in valori correnti è diminuito dell'1% rispetto al trimestre precedente, e dell'1,5% rispetto al corrispondente periodo del 2011.

Tenuto conto dell'inflazione, il potere di acquisto delle famiglie consumatrici nel secondo trimestre del 2012 si è ridotto dell'1,6% rispetto al trimestre precedente e del 4,1% rispetto al secondo trimestre del 2011. Nei primi sei mesi del 2012, nei confronti dello stesso periodo del 2011, il potere d'acquisto ha registrato una flessione del 3,5%.

Il tasso di investimento delle famiglie è stato pari all'6,8%, risultando invariato rispetto al trimestre precedente e in diminuzione di 0,2 punti percentuali rispetto al secondo trimestre del 2011.

La quota di profitto delle società non finanziarie è scesa al 38,5%, con una riduzione di 0,4 punti percentuali rispetto al trimestre precedente e di 2,1 punti rispetto al corrispondente trimestre del 2011.

Il tasso di investimento delle società non finanziarie, pari al 21%, è risultato inferiore di 0,4 punti percentuali rispetto al trimestre precedente e di 1,3 punti percentuali rispetto al corrispondente trimestre del 2011.




VITERBO, UN ALTRO MORTO SUICIDA PER COLPA DELLA CRISI

Redazione

Un'altra vittima della crisi economica. Un quarantacinquenne, venditore in un'azienda ceramica, si e' tolto la vita impiccandosi nel garage della sua casa.  L'uomo, sposato con due figli – uno giocatore degli allievi regionali dell'As Roma – ha lasciato una lettera di 4 pagine, in cui spiega i supi problemi economici e critica i provvedimenti del Governo che avrebbero aggravato pesantemente la crisi dell'azienda di cui era dipendente, mettendo a rischio il suo posto di lavoro.




FEDERLAZIO FA DUE CONTI: "SIAMO IN RECESSIONE"

Redazione

L’indagine congiunturale sulle pmi riferita al secondo semestre del 2011 e condotta su un campione di 350 aziende associate segnala un calo sia di ordini, si di fatturato che di produzione e le previsioni per il 2012 non sono più rosee. L’indagine fotografa un saldo di ordini ricevuti che cala complessivamente di 16 punti: dal mercato nazionale (da -8 a -15); da quello europeo (da -7 a -20) ed extra-europeo (una contrazione di 20 punti, che mantiene però valori positivi). Il trend del fatturato è in parte simile a quello degli ordinativi: il saldo peggiora da -1 a -5 contraendosi di 4 punti. Sul mercato europeo passa da -2 a -10. Su quello nazionale da -15 a -11. Mentre sul mercato extra europeo cresce lievemente da +11 a +12. Anche il saldo di opinioni sull’andamento della produzione scende a -9 dal precedente -6. Sul versante degli investimenti, il 32,6% delle imprese, rispetto al precedente 33,1%, dichiara di averne effettuati. Per le previsioni sull’ampliamento dell’organico, nel primo semestre 2012, il saldo crolla di 30 punti e diventa negativo. Tuttavia, circa il 70% delle imprese manifesta l’intenzione di mantenere inalterato l’organico nel prossimo semestre.