SIMONETTA CESARONI, INTERVISTA AD IGOR PATRUNO AUTORE DEL LIBRO “VIA POMA. LA RAGAZZA CON L’OMBRELLINO ROSA”, STASERA OSPITE DI “CHI L’HA VISTO? STORIE”

di Cinzia Marchegiani

Igor Patruno è il giornalista che ha seguito, passo dopo passo il giallo del delitto di via Poma. Un cold case che dopo 24 anni viene rispolverato e riaperto, perché l’ultima pista che voleva l’ex fidanzato di Simonetta Cesaroni, Raniero Busco colpevole, è crollata e la sentenza della Cassazione dello scorso 26 febbraio 2014 decreta la sua assoluzione lasciando tornare a vivere a Busco finalmente una vita più normale possibile. Stasera a “Chi l’Ha visto? Storie” si riaccendono i riflettori su questo giallo, il 7 agosto 2014 è stato l'anniversario del barbaro omicidio di Simonetta, 24 anni e tutta un’indagine da rifare. La storica trasmissione ha seguito nel tempo l’evoluzione della storia, prendendo parte attiva alle stese indagini e stasera ospiterà il giornalista Igor Patruno che raggiunto da L’Osservatore d’Italia a cui ha rilasciato l’intervista e qualche anticipazione.

Con il senno del poi, oggi sembra profetica la tua riflessione, fatta nel luglio del 2010, durante la presentazione del tuo libro “Via Poma. La ragazza con l’ombrellino rosa”, alla quale intervenne Carlo Lucarelli. Aveva battuto la strada della dispersione degli indizi che si sarebbero potuti raccogliere sulla scena del crimine. Dopo solo quattro giorni il PM Pietro Catalani aveva dato il permesso di togliere i sigilli dall’appartamento, permettendo agli impiegati di rientrarci e, quindi, di inquinare tutto. Non solo… aveva spiegato che la scena del crimine non poteva ridursi ai soli corpetto e reggiseno, tra l'altro conservati sovrapposti in un'unica busta, lasciano la possibilità di contaminarsi a vicenda, ma doveva necessariamente comprendere anche il sangue rinvenuto.

Quella notte del 7 agosto del 1990 negli uffici degli Ostelli della Gioventù di via Poma, dove venne ritrovata morta Simonetta Cesaroni, accadde di tutto. Un poliziotto continuò a fumare per tutto il tempo nelle stanze, una poliziotta fece uno strano disegnino e poi ci scrisse sotto CE DEAD OK, quelli della scientifica staccarono accidentalmente l’alimentatore del computer dove aveva lavorato Simonetta e lo fecero spegnere. Quella notte entrarono una quarantina di persone nella scena del crimine. Forse, prima che il corpo venisse scoperto ufficialmente da Salvatore Volponi, insieme alla sorella Paola, alla De Luca, la portiera, al figlio della portiera, al figlio di Volponi, al fidanzato di Paola, qualcun altro era entrato là dentro, dopo l’assassino. Insomma altro che scena del crimine inquinata! Direi che la scena fu alterata irrimediabilmente. Cavallone e Calò, i due magistrati che hanno riaperto il caso hanno lavorato su quello che era rimasto. Ma hanno escluso il sangue ritrovato sul lato interno della porta e sul telefono, asserendo che era inquinato. Io ho invece sostenuto nel mio libro che quel sangue era importante per capire.

La sentenza della Cassazione del 26 febbraio 2014, ha confermato la sentenza della corte d’assise d’Appello dell’aprile 2012 che aveva assolto Raniero Busco, l’ex fidanzato di Simonetta. Lei aveva sempre sostenuto che Raniero Busco non poteva essere il colpevole. Cavallone, invece, aveva affermato che soltanto Busco poteva essere il colpevole perché sulla scena del crimine c’era solo il suo DNA. Mi ha colpito in quella presentazione del tuo libro del luglio 2010, la confutazione del ragionamento fatto dal magistrato che aveva portato Raniero Busco sul banco degli imputati. Patruno, secondo lei Cavallone è stato avventato o più semplicemente era certo delle prove raccolte?

Cavallone è un magistrato con una grande esperienza e il caso di via Poma lo ha seguito con professionalità e passione. Ma la sentenza definitiva gli ha dato torto. Tra l’altro la super perizia voluta dal giudice Lucio D’Andria, presidente della corte d’Appello ha smentito l’affermazione che quello di Busco fosse l’unico DNA presente sulla scena del crimine. Corrado Cipolla D'Abruzzo, Carlo Previderè e Paolo Fattorini – i periti del processo d’Appello – hanno dimostrato che sul reggiseno e sul corpetto c’era anche il DNA di individui di sesso maschile mai identificati. Quindi il castello accusatorio ha scricchiolato. Ma Raniero Busco è stato assolto perché l’avvocato Franco Coppi ha fatto notare che si stava processando un individuo con sangue di gruppo 0, mentre sulla scena del crimine era stato repertato sangue di gruppo A.

Stasera sarà ospite a “Chi l'ha Visto? Storie”, che tornerà a puntare i riflettori sul giallo di Via Poma. Porterà nuovi elementi a questo cold case inquietante, un omicidio che ancora oggi rimane cristallizzato nell'immaginario collettivo, come il caso non risolto. Qualche anticipazione?

Lasciamo un po’ di suspense ai lettori. Dirò soltanto che si parlerà di fotografie, di un fotografo e del sangue di gruppo A….

 

Lei come giornalista ha seguito i processi, ha setacciato gli atti, ha respirato quelle stanze, ha osservato i volti dei tanti personaggi che si sono seduti sul banco dei testimoni, ha indagato i lati oscuri e misteriosi di questa storia. Sono passati 24 anni e tutto è da rifare tra l'altro con pochi elementi certi. Da cosa si può ripartire?

Si deve ripartire dal sangue di gruppo A, quello ritrovato sul lato interno della porta e sul telefono situato nella stanza dove Simonetta lavorava. Dopo che l’analisi del DNA ha fallito occorre tornare indietro e chiedersi chi, tra i tanti personaggi coinvolti nelle indagini aveva gruppo sanguigno di tipo A.

Cosa manca in questa storia?

A mio avviso manca una idea precisa del movente. Nonostante le tante indagini ancora non c’è alcuna certezza su perché Simonetta sia stata uccisa.

"Via Poma. La ragazza con l'ombrellino rosa" è diventato un libro importante che, oggi, resta essenziale per poter ricostruire cosa accadde quel giorno maledetto del 7 agosto 1990. La sua è stata una inchiesta giornalistica “alla vecchia maniera”. Ha ricostruito un ipotesi di cronologia a partire dagli atti dell’inchiesta, dagli atti dei processi, da fonti testimoniali dirette, da tabella di giornali, da interviste rilasciate dagli stessi interessati nel corso di interviste televisive. Un lavoro certosino dove con logica ha messo a confronto tra loro tutte le dichiarazioni di cui è venuto in possesso ed ha scritto un libro a metà tra saggistica e letteratura. Nella presentazione del suo libro stimola il lettore consigliando una lettura attenta perché dalla comparazione dei diversi eventi che girarono attorno agli ultimi giorni di vita di Simonetta, emergono domande e considerazioni che lasciano aperte svariate ricostruzioni possibili. Ci sono elementi in questo libro che potrebbero dare un nuovo input alla verità? Cosa non si è cercato? Cosa non si è chiesto? Qual'è l'errore più grande, oltre alla smantellamento della scena del crimine, che è stato fatto?

Inizio dalla fine. L’errore investigativo più grande è stato quello di “innamorarsi” di certe piste, di perseguirle con accanimento, ma di tralasciarne altre. Vado avanti. Troppe cose non si sono chieste. Io posso affermare con certezza che non tutti i condomini presenti nel comprensorio di via Poma sono stati interrogati la notte del 7 agosto 1990, o nei giorni successivi. Anzi alcuni non sono mai stati ascoltati. Non si è cercato nei cassonetti intorno a via Poma dove l’assassino potrebbe aver abbandonato il fagotto sporco di sangue contenente gli abiti di Simonetta; non si è cercato nelle esili tracce di ripulitura se oltre al sangue di Simonetta vi fosse anche quello dell’assassino. Io sono certo che l’assassino si sia ferito, sia stato ferito dalla vittima (forse con il tagliacarte) o abbia avuto un episodio di epistassi (di perdita di sangue dal naso); non si sono cercate con il luminol tracce di sangue sul famoso tagliacarte… Io spero che il libro possa servire a mantenere accesa l’attenzione sul caso.

Un’ultima domanda. Sta scrivendo un altro libro?

Sì ed è la prima volta in assoluto che ne parlo pubblicamente. Il libro uscirà nel 2015. Sono tre anni che ci sto lavorando. È un romanzo. Racconta la storia vera di due ragazzi di ventuno anni morti in circostanze mai completamente chiarite nel 1975. Per scriverlo ho chiesto l’accesso agli atti delle indagini e dei processi alla Procura di Roma. Si tratta di una vicenda ambientata nei terribili “anni di piombo”.

Grazie Igor Patruno, stasera alle 21:05 saremo in tanti ad essere incollati al televisore, d’altronde “Chi l’ha visto?” rimane uno dei pochi programmi che ha analizzato e sviscerato questo delitto che nonostante tanti anni e tanti processi, rimane avvolto nel mistero… E ovviamente attendiamo di conoscere i nuovi elementi che presto ci rivelerà.




VELLETRI CASO SEQUESTRO DAVIDE CERVIA, SLITTA AD APRILE LA CAUSA CONTRO I MINISTERI DELLA MARINA E DI GIUSTIZIA

Redazione

Velletri (RM) – Per una improvvisa indisponibilità del giudice Eugenio Curatola, della seconda sezione civile del tribunale di Roma, è slittata al 30 aprile 2013 l'inizio della causa intentata contro i ministeri della Marina Militare e della Giustizia dai familiari di Davide Cervia. Un sit-in, cui hanno preso parte familiari, amici e conoscenti di Cervia, si e' tenuto davanti l'ingresso di viale Giulio Cesare per "chiedere verità" sulla sorte di Cervia. "Ho paura che la gente dimentichi – ha detto la moglie Marisa Gentile – quanto avvenuto a mio marito deve avere una risposta". Alla base della citazione a giudizio dei due dicasteri i "ritardi – sottolineano i familiari – i depistaggi e le omissioni'' che hanno impedito di accertare la sorte del loro congiunto soprattutto alla luce del decreto di archiviazione del 5 aprile 2000 nella quale si parla di sequestro dell'esperto elettronico.

Davide Cervia è stato sequestrato. Non ci sono dubbi: era un esperto di armi elettroniche, talmente bravo che faceva gola a quanti hanno bisogno di addestratori. Il giorno della sua scomparsa il vicino di casa vide alcuni uomini caricare Davide a bordo di un’auto, ma non fu creduto: aveva problemi di vista ed era un anziano. La moglie e la figlia di Cervia hanno lanciato  un appello al pubblico di “Chi l’ha visto?”. E si è fatto avanti un altro testimone. Dopo 23 anni si riaprirà il caso di Davide Cervia?

Davide Cervia, nato a Sanremo (Imperia) nel 1959, sposato con Marisa, dalla quale ha avuto due figli, viveva con la famiglia a Velletri (Roma). La mattina del 12 settembre del 1990 è uscito di casa presto per recarsi alla Enertecnel Sud di Ariccia, l’azienda dove lavora come perito elettronico, a circa un quarto d'ora di auto. Alle 17, finito il turno, ha salutato i colleghi ed è salito sulla sua Volkswagen Golf bianca per tornare a casa, dove non è mai arrivato. Gli inquirenti hanno parlato subito di allontanamento volontario, anche quando, circa due mesi dopo, un vicino di casa ha dichiarato di aver visto alcuni uomini caricare a forza Davide Cervia su un’auto di colore verde scuro. Posizione mantenuta anche dopo la testimonianza dell’autista di un autobus, che il giorno della scomparsa fu costretto a effettuare una brusca frenata a causa di una Golf bianca e di un’auto verde che non avevano rispettato lo stop e gli avevano tagliato la strada a forte velocità, provenendo da via Colle dei Marmi, dove si trova casa Cervia. L’1 marzo 1991, una lettera anonima recapitata a “Chi l’ha visto?” ha permesso di ritrovare l’auto di Cervia, parcheggiata a Roma nei pressi della stazione Termini. Un ex commilitone del periodo in cui Cervia era arruolato nella Marina Militare, contattato dalla moglie, ha ipotizzato che la scomparsa sia da mettere in relazione con le conoscenze sulle armi elettroniche che lui aveva acquisito. Dopo il diploma di perito elettronico, nel 1978, all'età di 19 anni, si era arruolato come volontario entrando a far parte come sottufficiale degli addetti agli armamenti tecnologici della nave Maestrale. Nel 1980, inoltre, aveva frequentato il corso di specializzazione che lo aveva qualificato esperto in guerra elettronica con la sigla ETE/GE. Un precedente, ignoto fino a quel momento alla famiglia, sul quale è stata basata l’ipotesi del possibile movente di un rapimento alla vigilia della prima Guerra del Golfo, la prima guerra elettronica. Le lettere anonime che la famiglia di Davide Cervia ha ricevuto nei messi successivi alla sua scomparsa, sembrano portare in quella direzione. In una chi scrive indica Davide Cervia come vittima di un bombardamento a Baghdad. In un’altra si dice invece che è vivo, prigioniero in Libia o in Arabia Saudita. Il 5 aprile 2000 il caso è stato archiviato dalla magistratura come “sequestro di persona a opera di ignoti” per l’impossibilità di rintracciare i responsabili. I figli Erika e Daniele insieme alla madre Marisa la settembre del 2102 hanno citato a giudizio i ministeri della Difesa e della Giustizia davanti al Tribunale civile di Roma, chiedendo il risarcimento dei danni subìti “per la violazione di ciò che può definirsi il diritto alla verità”.

 




CASO ELISA CLAPS, MUOVIAMOCI PER SCRIVERE AL SINDACO DI POTENZA: LA MAMMA DI ELISA CHIEDE PARTECIPAZIONE

Redazione

Potenza – Ricordando la triste e tragica vicenda di Elisa Claps, per volere di sua madre, la signora Filomena, il gruppo Fb Chi l'ha visto, e nello specifico Tiziana Muselli e Anna Giordano hanno dato vita all'iniziativa "Una firma per Elisa Claps" al fine di inviare una lettera al Sindaco di Potenza (persona che ha dimostrato molta sensibilità nei riguardi di Elisa e della sua famiglia, anche nell’omaggiare la memoria della giovane con l’inaugurazione di un parco sito in Potenza), nel chiedere la chiusura definitiva al culto presso la chiesa potentina della Santissima Trinità ove la ragazza fu uccisa, al fine di costruire nello stesso sito, un centro di accoglienza per giovani donne che hanno subito violenza. Il suddetto centro, oltre ad omaggiare la memoria di Elisa, rappresenterebbe un profondo simbolo di educazione civile, teso, inoltre, a non dimenticare una vicenda così terribilmente dolorosa che poteva essere evitata non giungendo, inoltre, ad epiloghi così profondamente amari.
Per l’adesione alla lettera si chiede una firma – nome e cognome – da scrivere nell’apposito spazio per i commenti, nel gruppo Fb Chi l'ha visto, noi de L'osservatore Laziale, faremo circolare il post anche sul nostro profilo del gruppo, in maniera da raggiungere ancora più adesioni.

La storia
Elisa esce di casa la mattina del 12 settembre 1993 per recarsi presso la Chiesa della Santissima Trinità, situata nel centro di Potenza, per incontrare un amico che doveva consegnarle un regalo al fine di festeggiare la promozione della ragazza. Da allora, di Elisa Claps non si hanno più tracce fino al 2010. Il suddetto “amico” risulta essere Danilo Restivo, ultima persona ad aver visto Elisa, presentandosi agli inquirenti con un’alibi molto sospetta, per la sua incongruenza. Egli, infatti, riferisce di essersi fatto male in seguito ad una caduta accidentale, ma gli abiti insanguinati e la ferita che presenta (il cui referto medico afferma provocata da un’arma da taglio), non hanno alcuna compatibilità con il sua versione dei fatti. I vestiti che il giovane indossava quella domenica appaiono vistosamente insanguinati, ma (stranamente), non vengono sequestrati. La madre di Elisa chiede ripetutamente agli inquirenti di indagare a fondo su Restivo ma senza esito, fino a quando – diciassette anni dopo – il 17 marzo 2010, i resti di Elisa Claps vengono ritrovati occultati in fondo al sottotetto della succitata chiesa potentina, molto probabilmente, scoperti per caso da alcuni operai durante lavori di ristrutturazione. Chiesa, che i familiari di Elisa chiedevano, appunto, da diciassette anni di perquisire! Si scoprirà, in seguito, che negli anni precedenti alla scoperta del corpo di Elisa, erano stati praticati dei fori nel soffitto per facilitare la dispersione dei miasmi del cadavere. Pertanto, è importante sottolineare quanto i prelati, responsabili della chiesa potentina, abbiano volutamente tenuto occultata la verità, poiché dati anche alcuni lavori a cui era stata sottoposta la chiesa, era assolutamente impossibile non aver visionato la povera salma. Il 25 ottobre 2010 vengono resi noti altri elementi: i sassolini provenienti dal sottotetto e presenti nel solco del tacco di Elisa Claps, dimostrano che Elisa arrivò viva, camminando, nel sottotetto e che poi vi fu uccisa: la giovane sarebbe stata colpita ripetutamente da una lama tagliente. Il 9 marzo 2011 la trasmissione “Chi l’ha visto?”, condotta da Federica Sciarelli, rivela che sono state evidenziate tracce del DNA di Danilo Restivo sulla maglia che Elisa indossava quando fu uccisa. Inoltre, l'avvocato della famiglia Claps precisa che sulla maglia è stato ritrovato sia sangue che saliva di Restivo. Il 2 luglio 2011 viene officiato il funerale di Elisa da don Marcello Cozzi e da don Luigi Ciotti. Per l’intera giornata viene proclamato il lutto cittadino. L'8 novembre 2011, presso il Tribunale di Salerno, ha inizio il processo a Danilo Restivo, con rito abbreviato. Nel corso della prima udienza i PM, facendo notare che i reati più gravi a carico di Restivo – che avrebbero potuto far scattare l'ergastolo – sono tutti prescritti, avanzano la richiesta di 30 anni di reclusione, ossia il massimo possibile, unitamente all'interdizione perpetua dai pubblici uffici e tre anni di libertà vigilata al termine dell'espiazione della pena. L'11 novembre 2011 viene condannato in primo grado a 30 anni di carcere, l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e la libertà vigilata per tre anni a fine pena, oltre al versamento di € 700.000 alla famiglia Claps a titolo di risarcimento. Ancora adesso, resta aperta l'indagine della Procura di Salerno sulla scomparsa di Elisa Claps, sulle modalità del ritrovamento del cadavere e su eventuali complicità di cui avrebbe beneficiato Restivo. L'11 novembre 2011 l'avvocato della famiglia Claps, prima della lettura della sentenza, ha sottolineato come, per l'omicidio di Elisa, Danilo Restivo non avrà l'ergastolo "per colpa della Chiesa che, in questi 18 anni, ha permesso che siano stati prescritti i reati concorrenti".

 

Estratto dal libro Per Elisa il caso Claps

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mia cara sorellina, stavolta un rimprovero devo proprio fartelo: ma come ti è venuto in mente di farti ammazzare proprio in chiesa e in quella chiesa per giunta? E come se non bastasse te ne sei stata lì per diciassette anni invece di prendere le tue poche cose e allontanarti con garbo ed in silenzio fino a farti inghiottire per sempre dalle nebbie del tempo. Ti rendi conto che così facendo hai messo in imbarazzo tutti? Capisco che ti hanno toccato il cuore le lacrime di mamma e di papà, posso comprendere che hai voluto dare a me e Luciano un segno tangibile che questi anni non sono trascorsi invano, ma potevi farlo in modo diverso e soprattutto evitando di mettere tante persone che contano nelle condizioni di dover spiegare i loro comportamenti davanti ad un paese intero. Pensa adesso a quel povero magistrato e ai poliziotti che hanno indagato, pensa poverini quante cose dovranno spiegare; come faranno a far capire alla gente che non sono mai entrati in quella chiesa a cercarti se non dopo tanti anni e peraltro senza trovarti? Hai messo in difficoltà anche noi che dobbiamo chiarire come mai a poche ore dalla tua scomparsa ci precipitammo in chiesa ma non riuscimmo a salire fin sopra perché le chiavi di quella porta le aveva solo il parroco che in quel momento non era presente. Capisci, adesso dovremo spiegare come mai due ragazzi e pochi amici avevano avuto l'intuizione di andare a guardare lì e gli investigatori di provata esperienza se ne sono semplicemente dimenticati, e poi sorellina mia, dovevi incontrarti proprio con Danilo quel giorno? Hai messo di nuovo in difficoltà quel bravo magistrato e ancora una volta noi stessi. Ti rendi conto che abbiamo dovuto scavare nel passato di quel povero ragazzo, far venir fuori tutta una serie di episodi spiacevoli che lo riguardavano? Ci hai costretto ad accusarlo fin dal primo giorno ma con l'intuizione dei grandi investigatori che ci diedero dei pazzi, NOI. E poi era pur sempre il figlio del direttore della Biblioteca Nazionale, un notabile amico di notabili, dico io, non potevi incontrarti con il figlio di un operaio in cassa integrazione? Sarebbe stato tutto più semplice. Ti rendi conto sorellina che ora dovranno spiegare il motivo per cui non andarono ad interrogarlo quel giorno stesso, non sequestrarono i suoi vestiti, non acquisirono i tabulati telefonici? Quale imbarazzo per persone che negli anni hanno continuato a fare il loro dovere mentre noi ci si consumava piano nel vuoto della tua assenza. Ricordi quando mamma fu messa alla porta dal questore poco prima di quel Natale del 1993, il primo senza di te? ricordi le sue parole esatte: «Signora basta, non può venire ogni giorno qui con i suoi figli a disturbare, sua figlia è scappata di casa lo vuole capire o no?»? Tornò a casa piangendo, persa nel suo dolore dove spesso nemmeno noi riuscivamo a raggiungerla. E quando gli avvocati di uno degli indagati, attingendo a fonti confidenziali, ci dissero che eri in Albania? Noi pensammo subito ad un ennesimo depistaggio, ma da lassù sono certo che avrai visto per un attimo una scintilla negli occhi di mamma, era il riflesso sepolto della segreta speranza di saperti ancora in vita. Pensa adesso se a qualcuno venisse in mente di andare a chiedere loro quali erano queste fonti confidenziali, capisci sorellina quale imbarazzo sarebbe per due stimati professionisti dover dare spiegazioni su questa vicenda? E infine, ripeto, far ritrovare i tuoi miseri resti in una chiesa, questo proprio dovevi evitarlo. Il vescovo, il parroco, il vice e giù fino all'ultimo anello della catena sono ora costretti a spiegare come, quando, chi? E già, sarebbe stato tutto così semplice, lineare, se fosse stato vero che un'impresa edile nell'effettuare lavori di riparazione, avesse casualmente scoperto il tuo corpo. Invece no, tutto complicato in questa maledetta faccenda e ancora una volta tutto così imbarazzante. Forse sono state prima le donne delle pulizie, no scusa, il viceparroco, no lui non ne sapeva niente, era gennaio, no febbraio, sì, ma di quale anno? Il vescovo dice di non sapere, non ammette di aver saputo ma non pensava che fossi tu (come se ciò facesse la differenza), però il giorno dopo il ritrovamento, con il suo avvocato si affretta a rassicurare i fedeli che la chiesa riaprirà presto al culto (era sicuramente questa la cosa che la città sconvolta voleva sapere per prima); il parroco sfida chiunque a dimostrare che lui sapesse, il vice sapeva ma se n'era dimenticato. Da ultimo proprio ieri ho saputo sorellina, che qualcuno circa un anno fa, nei bagni del Gran Caffè, aveva scritto più volte con un pennarello “ Elisa Claps è nella Trinità”, un matto certamente. Sai sorellina, sembra quasi che nessuno volesse trovarti ma che tanti sapessero dov'eri, molti hanno pensato: anno in più, anno in meno cosa cambia? Oggi sorellina rischi di mettere in imbarazzo la parte perbene di questa città, quella che non si è mai arresa, quella che è stretta intorno a te e ha pianto con noi, quella che vuole verità e giustizia, quella che ripudia i compromessi, il quieto vivere, le consorterie e gli intrallazzi. Ti lascio ma solo per il momento, e stai tranquilla, i tuoi cari non mollano, non temono la verità e se ne fregano di quanti imbarazzi possano ancora creare, la vergogna è solo la conferma che noi siamo gente perbene.