Dimagrire e non ingrassare più: 10 consigli

Centro Psicologia Castelli Romani: i suggerimenti della biologa nutrizionista Elisa De Filippi

Piccoli consigli per
dimagrire e non ingrassare più non vuole essere lo slogan di un prodotto
miracoloso per dimagrire o di una formula segreta stile “abracadabra” per
rimanere magri e snelli per sempre. Assolutamente no!

Facciamo una piccola
premessa. Molte persone arrivano nel mio studio dopo essersi sottoposti a
innumerevoli diete, rivelatesi fallimentari nel tempo. Qualche mio collega, in
modo non proprio carino, li definisce “i
turisti delle diete”.
Io credo che, semplicemente, queste persone non hanno
sviluppato un sano rapporto con il cibo e, prima di consegnare loro una dieta,
questo aspetto andrebbe curato e approfondito

Pertanto,
qual è la chiave per dimagrire senza ingrassare più?

L’ho appena accennato: è sviluppare un sano rapporto con il cibo.

Quindi, qual è l’errore
che non si dovrebbe mai commettere, se si decide di dimagrire? Sicuramente è
quello di voler dimagrire in fretta e pretendere risultati in breve tempo. Non
cercate una scorciatoia facile per tornare in forma in vista della prova
costume, o perché volete entrare in un vestito per un matrimonio. Bisognerebbe
sempre pensare alle conseguenze sul lungo periodo, o rischierete di innescare
un circolo vizioso, il cosiddetto effetto yo-yo, cioè quel continuo ingrassare
e dimagrire che alla lunga crea problemi a livello metabolico.

Veniamo ora ai miei
consigli. Non sono la chiave magica per ottenere risultati efficaci e duraturi,
ma potrebbero aiutarvi a trovare spunti per cambiare il vostro stile alimentare
e di vita.

1.
Riconosci se la tua è fame emotiva o reale

Uno dei motivi
principali per cui molte persone sono in sovrappeso è la cosiddetta fame
emotiva o “emotional eating”: riconoscere quindi cosa innesca l’appetito può
aiutare a perdere peso trovando le giuste alternative a quei momenti di noia,
di ansia o di stanchezza che inducono a mangiare di continuo. Quando siete
privi di forze, chiedetevi il perché, non buttatevi immediatamente sul cibo. Ad
esempio state lavorando troppo ed è il caso di rallentare? Quando siete nervosi
cercate dei rimedi alternativi come la meditazione o l’esercizio fisico, e
quando siete annoiati provate a svagarvi con un hobby o uscite a fare una
passeggiata.

2.
Fai quotidianamente il tuo pieno di fibre?

Mi capita spesso di
sentir dire dai pazienti “quando sono a dieta mangio verdura sia a pranzo che a
cena, mentre la frutta la inserisco negli spuntini. Quando invece non sono a
dieta mangio verdura quando capita di averla nel frigo e la frutta spesso la
dimentico”. Primo errore: intendere lo *stare a dieta* come se fosse uno stato
da postare sui social, della serie oggi *sono carica*, domani *sono triste*. Mi
dispiace dovervi dire che con l’alimentazione non funziona così: se si inizia
un percorso di cambiamento delle proprie abitudini alimentari, bisogna portare
a termine tale percorso e mantenere tutte le buone abitudini acquisite nel
tempo. Ritornando al discorso frutta e verdura, dobbiamo ricordarci che sono
alimenti poco calorici ma ricchissimi di nutrienti (minerali, vitamine,
antiossidanti) e di fibre. Dovremmo consumarne quotidianamente una porzione che
ci soddisfi: non pensate di dover mangiare quantità industriali di insalata nel
tentativo di *riempirvi* e non mangiare *nulla* dopo. Sbagliatissimo. Sapete quale
sarà l’effetto? Un addome molto gonfio subito dopo aver mangiato e dopo circa
un’oretta un buco allo stomaco (ANZI, UNA VORAGINE) che vi porterà a
mangiucchiare qualsiasi cosa vi capiterà sotto al naso!

3.
Impara a cucinare con pochi grassi

Sappiamo benissimo che
l’olio extravergine d’oliva è ricchissimo di antiossidanti e polifenoli,
tuttavia non bisogna abusarne! Dovremmo imparare a cucinare anche con odori e
spezie che aiutano ad insaporire i piatti. Inoltre, se cucinate pietanza al
forno (come ad esempio il pesce) utilizzate la carta forno ed aggiungete solo
un filo d’olio sulla superficie o a fine cottura.

4.
Barrette, barrette e ancora barrette! E la frutta fresca?

Capisco perfettamente
quanto siano comode e pratiche le *famose * barrette! Vi danno la sensazione di
aver fatto il vostro spuntino in modo *sano* (perché sopra c’è scritto
“dietetiche”) e in modo leggero (perché sopra c’è scritto “light” o “zero
zuccheri”). Come nutrizionista sconsiglio fortemente l’utilizzo di queste
barrette: il principale motivo è che non forniscono nutrienti importanti per la
nostra salute, solo una manciata di calorie che vi daranno la sensazione di
aver messo in bocca qualcosa. Personalmente consiglio sempre lo spuntino a base
di frutta fresca e/o frutta secca e/o frutta disidratata! Nella mia borsa ad
esempio non manca mai una bustina con dentro un mix di mandorle, uvetta, noci e
fichi secchi! A seconda poi delle esigenze personali, ad esempio per una donna
in gravidanza o una mamma che allatta e/o corre dietro ai propri cuccioli tutto
il giorno, bisognerebbe aggiungere qualcosa in più! Qualche idea? Una fetta di
pane a lievitazione naturale o di segale o integrale con un velo di marmellata
fatta in casa o della crema di mandorle o nocciole (adoro quest’ultima alternativa).
Per chi invece ha l’abitudine di spizzicare mentre si cucina, suggerisco sempre
di tenere vicino una ciotola con della verdura fresca: ad esempio carote,
sedano, finocchio!

5.
Imparate a non usare più lo zucchero

Ogni volta che
consumate un caffè o un tè, iniziate a ridurre in modo graduale la quantità di
zucchero, fintanto che vi sarete abituati a un sapore sempre meno dolce.
Attenzione ai dolci. Ricordate il famoso dolce della domenica della nonna?
Bene, è con questa frequenza che dovreste consumare dolci di qualsiasi tipo!

6.
Pane o sostituti del pane?

La risposta è
ovviamente: PANE! Grissini, crackers, crostini, pan bauletti, fiocchi d’acqua e
diavolerie simili non dovrebbero esser presenti sulle nostre tavole! Il motivo
è semplice: il prodotto confezionato contiene il doppio (o quasi) della calorie
del pane fresco! Se non avete la possibilità di acquistarlo sempre fresco,
tagliatelo in fette e poi congelatelo per avere sempre una porzione pronta
quando vi serve.

7.
Uno strappo alla regola ogni tanto si può fare?

Assolutamente sì! Ogni
tanto (ad esempio 1 – massimo 2 – volte a settimana) concedetevi uno sfizio!
Una pizza, un aperitivo con le amiche, un dolcetto, una cena al ristorante:
sono i piccoli strappi alla regola che ci consentiranno a lungo termine di
avere una maggiore compliance nel seguire uno stile di vita più salutare! Piccolo
consiglio? Andate alla ricerca di *posticini* particolari, agriturismi
biologici, trattorie con cucina realmente casareccia. Per quanto mi riguarda,
se il vostro sfizio consiste nell’andare una volta a settimana al fast food,
c’è decisamente qualcosa da rivedere….

8.
Mangiate più lentamente!

É sufficiente posare la
forchetta ogni 2-3 bocconi per rallentare i ritmi. In più, darai modo al tuo
stomaco di inviare prima il messaggio di sazietà al tuo cervello, fino a
mangiare meno del dovuto. Ascoltate sempre i segnali del vostro corpo, fra
tutti il senso di sazietà, che vi ricordo arriva dopo una ventina di minuti
dall’inizio del pasto. Se non siete sicuri di essere sazi o ancora affamati,
prendetevi del tempo e semmai continuate il pasto dopo un po’.

9.
Dormite la notte, almeno 7 ore!

Durante il riposo
notturno il nostro organismo deve recuperare le giuste energie ed è provato che
chi dorme poco ha più difficoltà nel controllo del peso, a causa anche della
cascata ormonale che si crea di conseguenza.

10.
Fare attività fisica aiuta a perdere peso ed a mantenere i risultati raggiunti:
abbandonate la pigrizia!

Un’alimentazione
equilibrata è determinante per dimagrire, ma è anche fondamentale inserire
l’attività fisica per mantenere uno stile di vita attivo. L’ideale è inserire
nelle vostre giornate delle passeggiate quotidiane e quando possibile anche uno
sport programmato, che sia una corsa o una lezione in palestra. L’importante è
che si abbandoni la pigrizia! Ad esempio evitando l’ascensore e facendo le
scale a piedi, o facendo i spostamenti quotidiani camminando, invece che usando
i mezzi.

Senza questi
accorgimenti, qualsiasi terapia dietetica fallirà nel breve/lungo periodo…

Insomma la dieta che
funziona non è mai quella che ti fa perdere 7 kg in 7 giorni. Nemmeno quella
dell’ultima ora o la nuova dieta di moda dei Vip e delle star. L’unico modo per
dimagrire in maniera duratura e definitiva è cambiare in modo positivo il tuo
stile di vita e alimentare, imparando a mangiare “normalmente” con il giusto
equilibrio, senza eccessive restrizioni ma senza esagerare.

Dott.ssa Elisa De Filippi
Biologa Nutrizionista

Centro Psicologia Castelli
Romani, Piazza Pia 21, 00041 Albano Laziale

Tel. 3204604812
email: defilippielisa@gmail.com




Albano Laziale, quando nasce un fratellino: come comportarsi?

A cura della Dott.ssa Francesca Bertucci – Centro Psicologia Castelli Romani

Quando nasce un fratellino molti genitori si preoccupano delle reazioni emotive e comportamentali dell’altro figlio. Il primogenito, all’arrivo del secondo figlio, potrebbe vivere una fase faticosa della propria vita. Potrebbe sentire di perdere l’amore e l’affetto dei suoi genitori, può provare dolore, tristezza e risentimento. È la forma di gelosia più comune che possa manifestarsi in una famiglia. Essa è inevitabile e non si può prevenire del tutto. Tuttavia, è importante evitare le situazioni che potrebbero peggiorarla.

Penelope Leach, in un suo libro sull’argomento, scrive: “Immaginate che vostro marito un giorno venga a casa proponendovi di accettare un’altra moglie proprio come voi, immaginatelo ora mentre usa quello stesso tipo di frasi che solitamente si usano per dire ad un bambino che sta arrivando un fratellino”.
“Avremo con noi un altro bambino, tesoro, perché abbiamo pensato che per te sarebbe bello avere un fratellino o una sorellina con cui giocare. Non ti vorremmo meno bene per questo, ci ameremo tutti.”
potrebbe essere anche: “Avrò con noi una seconda moglie, tesoro, perché abbiamo pensato che per te sarebbe bello avere un po’ di compagnia e un aiuto in casa.”
La gelosia si manifesta perché il bambino può provare paura ed insicurezza, può temere di essere meno amato e meno considerato rispetto all’altro. La sua insicurezza può essere legata soprattutto alla figura
materna. Infatti, se prima la relazione con quest’ultima era caratterizzata dall’immagine di una diade, “Ci siamo io e la mamma!”, adesso l’immagine è quella di un triangolo relazionale, “Ci siamo io, la mamma ed il
fratellino!”. Inoltre, i cambiamenti sono concreti, mettono al centro la relazione tra la mamma ed il neonato. Una relazione fatta di cure e attenzioni, per soddisfare i bisogni del più piccolo.

E’ probabile che il primogenito possa diventare fastidioso perché preoccupato che i genitori possano volergli meno bene di prima e può regredire a stati infantili. Quando il bambino è geloso, non riesce a
controllare razionalmente il suo comportamento, ha bisogno dell’aiuto di un adulto.
L’entrata del fratellino è, pur sempre, l’inizio di una nuova conoscenza. Un estraneo che può creare curiosità ma anche paure e timore. Dall’altra parte aiuta il maggiore a capire che non sempre può pensarsi al centro dell’universo materno e lo aiuterà a costruire strategie e processi mentali che arricchiranno la propria vita emotiva e cognitiva. Tale fase di sviluppo sarà il primo passo per mettere le basi di quel lungo processo di separazione-individuazione che lo porterà a sviluppare, gradualmente e nel tempo, la propria identità.

Come sostenere il primogenito in questo importante momento di crescita e cambiamento?
Il ruolo del papà è fondamentale poiché diventerà la figura di sostegno e di completamento della mancanza della mamma. Inoltre, l’osservazione da parte del bambino di gesti e sentimenti affettuosi del papà nei confronti della mamma potrebbe permettergli di immedesimarsi in tali sentimenti, senza sentirsi escluso.
La figura del padre è una risorsa essenziale in questa nuova fase della vita familiare.
Inoltre, è fondamentale essere comprensivi e rassicuranti con il bambino, soprattutto osservare i suoi comportamenti, che qualche volta, possono risultare inspiegabili e definiti come capricci. Invece, è importante, mettersi nei suoi panni, per provare a capire il suo punto di vista e quello che può sembrare un capriccio, magari è una richiesta di attenzione e maggiore vicinanza dei genitori.

Sarebbe opportuno rassicurarlo rispetto a questo faticoso momento di cambiamento facendogli capire che i suoi genitori non l’abbandoneranno mai. Parlare con il bambino, ascoltarlo ed aiutarlo a tirar fuori le emozioni, positive e negative, offrendo spazi e tempo per parlare dei propri sentimenti, di ciò che lo turba, di ciò che desidera, delle sue paure.

Inoltre, i genitori potranno coinvolgerlo negli aspetti di accudimento e
cura del fratello minore, promuovendo la vicinanza tra fratelli per permettere al figlio maggiore di non sentirsi escluso.

Mantenere le abitudini precedenti è un altro aspetto importante, cercando di fare le stesse cose che si facevano prima dell’arrivo del fratellino.
Infine, sarebbe importante evitare il confronto continuo tra fratelli, ogni bambino è diverso dagli altri, quindi potrebbe essere un bene tenere a mente sia i limiti che le risorse che contraddistinguono ognuno
come essere unico e speciale.

Centro psicologia Castelli Romani- Dott.ssa Francesca Bertucci
Psicologa-Psicodiagnosta dell’età evolutiva-Mediatore familiare
Cell 3345909764-dott.francescabertucci@cpcr.it
www.psicologocastelliromani.it
piazza Pia 21 00041 ALBANO LAZIALE




Figli, la presa in carico e l’intervento riabilitativo: di cosa si tratta ?

Albano Laziale, la rubrica delle specialiste del Centro Psicologia Castelli Romani

L’intervento riabilitativo, in generale, ha alla base il prendersi cura della persona globalmente nella sua unicità e irripetibilità. Prendersi cura, in questo caso di bambini, significa impegnarsi a riaffermare e confermare alla vita il suo senso, e dunque il dovere di garantire, a chi soffre di una condizione di salute precaria, la possibilità di un progetto esistenziale.
Il processo di presa in carico che è alla base dell’intervento riabilitativo è perciò tutto l’insieme di attenzioni, degli interventi (sanitari e sociali) e delle condizioni (organizzative e giuridiche) che garantiscano alla persona la massima partecipazione possibile alla vita sociale, economica e culturale, in relazione allo sviluppo di abilità raggiunte e potenziali.
Le risorse per adempiere a questo progetto sono la famiglia, la rete dei servizi, la rete parenterale, la rete amicale e la rete del volontariato.
Spesso alle “unità di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza” (NPIA) spetta il compito di definire oltre alla diagnosi anche il percorso riabilitativo, attraverso la rete delle strutture pubbliche e/o private accreditate; in queste strutture viene definito il progetto riabilitativo individuale che è appunto lo strumento principale del processo di presa in carico clinico-riabilitativa.
La regola principale di questo processo è la tempestività, definendo subito l’equipe riabilitativa che, includendo la famiglia, definirà il progetto riabilitativo.
Il trattamento abi-riabilitativo rappresenta la fase decisiva del processo di presa in carico del bambino con patologia neuropsichica. Lo scopo è quello di favorire sia lo sviluppo di funzioni non ancora acquisite, sia il ripristino di quelle attività e capacità che per varie ragioni lesive sono state temporaneamente compromesse (Imperiali, 2012).

Care, Abilitazione e Riabilitazione

E’ molto importante in ambito riabilitativo soffermarsi sulla distinzione dei termini care, abilitazione e riabilitazione, questo perché si riferiscono a situazioni ed esigenze diverse per ogni bambino che necessita di particolari cure assistenziali.
Parlando di “Care” ci si riferisce “all’ insieme delle cure, delle sollecitudini e degli accorgimenti che offriamo al bambino per farlo stare bene, o per limitare il più possibile i suoi disagi” (Stival G.,1998).
Alla care partecipano tutti i neonati e tutti coloro che si prendono cura di loro, specialmente in ambiente sanitario. In terapia intensiva neonatale (TIN) è appunto previsto un “programma di care”

finalizzato alla promozione dello sviluppo neuro-comportamentale e alla protezione dagli stimoli invasi per facilitare lo sviluppo adattivo.
Con il termine “Abilitazione” ci riferiamo alla peculiarità del percorso riabilitativo del bambino che non deve recuperare una funzione persa ma deve acquisire ex novo una competenza, partendo da una condizione di base. L’abilitazione, dunque, può essere intesa come un processo teso a rendere il bambino abile a svolgere una determinata attività.
Per quanto concerne la definizione di riabilitazione, espressa dalle linee guida per la riabilitazione dei bambini affetti da paralisi cerebrale infantile (SIMFER; SINPIA; 2006):
“La riabilitazione è un processo complesso teso a promuovere nel bambino e nella sua famiglia la migliore qualità di vita possibile. Con azioni dirette ed indirette essa si interessa dell’individuo nella sua globalità fisica, mentale, affettiva, comunicativa e relazionale (carattere olistico), coinvolgendo il suo contesto familiare, sociale ed ambientale (carattere ecologico). Si concretizza con la formulazione del progetto riabilitativo e dei vari programmi terapeutici attivi nei tre ambiti della rieducazione, dell’assistenza e dell’educazione”.
Per garantire la sua efficacia, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, l’intervento oltre ad essere individualizzato deve essere tempestivo (iniziato precocemente), intensivo e continuativo, almeno per i primi anni di vita del bambino.
Tutto ciò’ naturalmente deve essere compatibile con la tolleranza del bambino e le sue capacità di apprendimento.
Nel momento in cui il rischio di patologia cerebrale è conclamato, la care diventa a tutti gli effetti un trattamento riabilitativo. Il trattamento “abilitativo” individualizzato con la presenza di personale specializzato è possibile considerarlo un trattamento riabilitativo, anche se principalmente a valenza preventiva.
Concludendo, l’importante fattore, che accomuna i tre termini riferiti al trattamento è l’efficacia.
Perché la terapia possa essere definita efficace deve essere basata su evidenze scientifiche. Spesso vi viene associata anche la parola “globale” che è tuttavia maggiormente pertinente al progetto terapeutico, che non deve tralasciare alcuna area funzionale del bambino e che si pregiudica l’obiettivo di poter sostenere uno sviluppo il più possibile armonico di tutte le sue competenze.
Dottoressa Cristina Monaco, neuropsicomotricista

Centro Psicologia Castelli Romani

BIBLIOGRAFIA
 Allemand F. (2003), “Neuropsichiatria del neonato e del lattante”, Roma, Aracne
 Als H. et al (2012), “NIDCAP improves brain function and structure in preterm infants with severe intrauterine growth restriction.”, Journal of Perinatology, 32, 797–803

 Als H et al (2004), “Early experience alters brain function and structure.” Pediatrics,2004, 113:846-57
 Ananth C, Vintzileos A. (2006), “Epidemiology of preterm bith and its clinical subtypes”, J. Maternal Fetal Neonatal Med, 19:773-82
 Artese C. (2008), “La Riabilitazione Integrata in Neonatologia”, Firenze, IMR Europe
 Battaglia C. et al. (2005) , “Fattori di rischio e diagnosi clinica del parto pretermine”, Riv. It. Ost. Gin., Vol 8
 Ferrari A.(1997), “Proposte riabilitative nelle Paralisi Cerebrali Infantili: storia naturale e orientamenti riabilitativi”, Pisa, Edizioni del Cerro.
 Fondazione Pierfranco e Luisa Mariani (2009), “La Riabilitazione precoce nel bambino con danno cerebrale”, Milano, FrancoAngeli
 Le Metayer M. (1998), “Rieducazione cerebro-motoria del bambino”, Milano, Editrice Speciale Riabilitazione
 Manuel A. Castello (2007), “Manuale di pediatria”, Milano, Piccin
 Martinetti M.G., Stefanini M.C. (2012), “Approccio evolutivo alla neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza”, Firenze, Seid Editore
 Valente D. (2009), “Fondamenti di riabilitazione in età evolutiva”, Roma, Carrocci Faber




Albano Laziale, Centro Psicologia Castelli Romani: consigli e indicazioni per prevenire i problemi di voce

A cura della Logopedista Chiara Marianecci

ALBANO LAZIALE (RM) – Per molte persone, dall’età evolutiva a quella adulta, abbassamenti e problematicità legate alla voce sono molto frequenti.
Estremamente comuni sono le disfonie che si sviluppano per ragioni professionali: insegnanti primi fra tutti, istruttori sportivi, cantanti, attori e tutti coloro che per ragioni di lavoro si trovano ad usare e spesso “abusare” della loro voce, per molte ore al giorno.

Se questo utilizzo non viene fatto nel modo corretto, con una buona coordinazione pneumofonica, (quindi di respirazione durante la fonazione), con posture corporee adeguate, con una corretta articolazione etc, si rischia di riscontrare il “sintomo”: quindi abbassamenti di
voce, casi di afonia, sensazione di “corpo estraneo” in gola, variazioni di voce che diviene più “rauca”, velata, “sporca”, affaticamento durante performance vocali prolungate.

In alcuni casi tutto ciò sfocia anche in un disagio emotivo perché impatta sulla comunicazione con l’altro, sia in ambito professionale che
personale.
Quando si presentano questi aspetti e per molto tempo è opportuno effettuare una valutazione otorinolaringoiatrica e foniatrica, che con ulteriori esami aggiuntivi può verificare l’effettiva presenza di disfonia, definirne le caratteristiche e prescrivere se necessario terapia logopedica. Il trattamento logopedico, dopo un’attenta valutazione, mira alla riabilitazione della corretta fonazione.
Quando si effettua un percorso di terapia logopedica o anche solo a scopo preventivo, è possibile seguire dei comportamenti corretti, delle norme di igiene vocale:

Idratare

– bere frequentemente sorsi d’acqua a temperatura ambiente (ogni 30/40
minuti)
– mantenere un adeguato livello di umidificazione dell’aria

– è possibile la sera mettere delle garze inumidite con camomilla romana
davanti al naso ed inspirare

Evitare sbalzi di temperatura

Quando si parla al telefono o in qualsiasi frangente cercare di parlare mantenendo una postura dritta e non troppo alterata
evitare di fare “vocine”, di bisbigliare, urlare o parlare a distanza o per molto tempo al telefono

Evitare di mangiare, soprattutto di sera, cibi con elevato livello di acidità o eccessivamente abbondanti o difficili da digerire, evitare alcolici o bibite gassate: ciò potrebbe accrescere il rischio di reflusso, che risulta essere un aggravante deleterio.

Evitare performance vocali troppo prolungate e sfruttare eventualmente strumenti compensativi come, ad esempio, il microfono. Trovare dei
momenti di pausa fonatoria.

Logopedista Chiara Marianecci
3497296063




Albano Laziale, Centro Psicologia Castelli Romani: che cos’è la dislessia

Per Dislessia evolutiva ci si riferisce ad una difficoltà specifica nella lettura, tale difficoltà può manifestarsi rispetto al parametro della velocità ovvero una lettura stentata e lenta, oppure per correttezza, quindi il bambino leggendo compie numerosi errori che possono essere di varia natura e precocemente identificabili: scambio di lettere (d/b, p/q, v/f etc), salto della parola, della riga, inversioni di lettere, autocorrezioni frequenti, lettura corretta della prima parte di parola per poi però dirne una simile ma con parte finale differente; questi sono solo alcuni esempi degli errori
più comuni. Le difficoltà di velocità e correttezza si possono presentare contemporaneamente. Inoltre, in molti casi la dislessia non si manifesta isolatamente bensì associata ad ulteriori difficoltà di comprensione del testo scritto, di scrittura (disortografia e disgrafia), nell’ambito logico matematico (discalculia) ed altri.
Questo disturbo specifico dell’apprendimento si manifesta in assenza di deprivazioni ambientali, difficoltà cognitive, sensoriali (ad esempio della vista) o patologie specifiche che possano giustificarne la causa. Degli indici da non sottovalutare sono: l’eventuale familiarità, quindi se vi sono altri casi in famiglia l’indice di rischio può essere maggiore, stesso discorso vale se il bambino ha manifestato un disturbo di linguaggio in precedenza, avrà maggiore probabilità di sviluppare un DSA.
La diagnosi viene fatta a metà/fine seconda elementare, anche se importanti indici predittivi e di rischio possono essere più precocemente individuati. E’ indispensabile somministrare test standardizzati cognitivi, degli apprendimenti, delle funzioni esecutive. Per la diagnosi e per il trattamento è necessario un intervento in equipe: neuropsichiatra/ psicologo, logopedista, ortottista/optometrista, tutor specializzato ed altri.
La diagnosi deve essere certificata presso la propria ASL per attivare misure compensative e dispensative nel contesto scolastico previste dalla Legge 170/2010 e che verranno concordate e scritte dal corpo docente all’interno di un PDP (piano didattico personalizzato) e condiviso con genitori e specialisti.

Logopedista Chiara Marianecci
chiara.marianecci@hotmail.it
3497296063




Albano Laziale, Centro Psicologia Castelli Romani: il menù di primavera consigliato dalla nutrizionista

ALBANO LAZIALE (RM) – Siamo alle solite. Arriva Marzo e inizia a risuonare quella vocina “l’estate si sta avvicinando”. Tolti i cappotti ed i maglioni, le forme del nostro corpo iniziano a catturare la nostra attenzione: la primavera e i primi caldi ci portano inesorabilmente la voglia di rimetterci in forma, di prenderci cura di noi stessi (che viene prima di qualsiasi tipo di dieta!). Come nutrizionista sono concorde sul fatto che Marzo è il mese ideale per rivedere le nostre consuetudini alimentari e il nostro menù!

Qualche piccola premessa è doverosa. Proprio in questo periodo sentiamo parlare spesso di diete “disintossicanti”, prodotti “detox”, programmi dietetici “rigeneranti”. I social sono purtroppo un veicolo attraverso i quali questi messaggi arrivano a qualsiasi tipo di pubblico: nella maggior parte dei casi si tratta di programmi a base di digiuni, infusi e prodotti che di naturale hanno ben poco! Non abbiamo bisogno di questi “programmi” e vi spiego anche il perché! Nel nostro corpo abbiamo due meravigliosi organi, il “fegato” e i “reni”, chiamati organi “emuntori”, ovvero strutture organiche capaci di eliminare le tossine dal nostro corpo. Il sistema linfatico sostiene tutto questo processo in quanto rappresenta la “via” attraverso la quale i prodotti di scarto delle cellule vengono veicolati verso il sangue, per poi essere eliminati dagli altri organi tra i quali il fegato e i reni!

Come possiamo allora sostenere il lavoro di depurazione dei nostri organi con l’arrivo della bella stagione? Innanzitutto rendiamo equilibrata la nostra alimentazione, riducendo quelli che sono zuccheri aggiunti (quanti dolci? Quanto zucchero aggiunto?) e carboidrati raffinati (perché non sostituire la pasta bianca con pasta e riso integrale, farro e orzo?). Oltre a ciò è sempre buona abitudine consumare cibi freschi e di stagione preferibilmente preparati a casa: integriamo la nostra dieta con verdure a foglia verde, ma anche con mele, carote, sedano e cerchiamo di utilizzare alcune preziose spezie come zenzero, curcuma, il cumino e la cannella! Teniamo lontano dal nostro menù di primavera i cibi fritti, i formaggi stagionati, insaccati vari, l’alcool, lo zucchero e le bibite gassate.

Vediamo allora come poter costruire insieme il menù di Primavera!

Innanzitutto partiamo dalle verdure, le vere “regine” di Marzo!

Sulla nostra tavola non possono mancare i carciofi, verdure “detossificanti” per eccellenza che stimolano le funzioni del fegato, aiutano a regolare i livelli di colesterolo nel sangue e, grazie al loro contenuto di inulina, favoriscono la regolarità intestinale. Alla lista della spesa di Marzo dovremmo aggiungere altre verdure “verdi”: erba cipollina per le sue proprietà diuretiche; radicchio verde per il suo contenuto di ferro, magnesio, calcio, acido folico e vitamina K; valeriana, per il suo quantitativo di vitamine A e C; la rucola, ricca non solo di vitamina A e C, ma anche di sulforafano, un potente antitumorale; la cicoria, erba spontanea molto amara, stimolante della secrezione biliare, azione connessa anche ad un miglioramento della digestione; ultimi, ma non per importanza, gli asparagi, verdure “diuretiche” per eccellenza, ricchissime di vitamine, sali minerali e fibre.

Non dimentichiamoci che marzo è il mese di passaggio dall’inverno alla primavera: il nostro corpo è come se sentisse il bisogno di uscire dal “letargo” invernale, adottando uno stile alimentare più leggero! Ecco perché, oltre a preferire le verdure elencate in precedenza, dovremmo iniziare a mescolare a ogni pasto ingredienti sia cotti (e caldi) che crudi! Ad esempio proviamo a sostituire la zuppa di cereali e legumi che tanto ci confortava quest’inverno, con un’insalata di fagioli, carote e rucola, abbinata ad una fetta di pane integrale tostato.

L’acqua è un ingrediente indispensabile. Se quest’inverno l’unico modo per raggiungere il famoso apporto idrico di almeno 1,5 litri al giorno era bere tè o infusi caldi, adesso a Primavera saremo maggiormente invogliati a bere di più! Quanto dovremmo bere? Senza esagerare, cercate di assumere 1,5-2 litri di acqua al giorno (dipende molto anche dal fatto se fate o meno attività fisica). Quale tipo di acqua? Possibilmente un’acqua a basso residuo fisso la mattina, mentre durante la giornata un’acqua che sia minerale naturale.

Un alimento simbolo sia della Primavera che della Pasqua ormai imminente è sicuramente l’uovo che, proprio in questo periodo, è nel pieno della sua stagionalità! Così come la frutta e la verdura, anche le uova hanno la loro stagionalità: le galline, dopo il lungo inverno, riprendono finalmente la loro attività grazie alle ore di luce solare in più (parlo sempre di galline allevate a terra, seguendo i loro bioritmi naturali; questo non vale per le galline allevate in gabbia a suon di mangimi). Pertanto, assicuriamoci di mettere in tavola un numero adeguato di uova a settimana. Ormai moltissimi studi scientifici hanno dimostrato che non c’è alcuna correlazione tra colesterolo ematico (quello che leggete quando vi fate le analisi del sangue) e il colesterolo presente nelle uova: quindi via libera alle uova (anche a colazione volendo!).

Fatte le giuste premesse, proviamo a costruire insieme il nostro menù di Primavera!

COLAZIONE. Iniziamo con uno Yogurt intero bianco (o di soia se per vari motivi non potete assumere latticini) o un bicchiere di latte di mandorla senza zuccheri aggiunti, preferibilmente biologico, arricchito con qualche cucchiaio di fiocchi d’avena (se li mettete in ammollo la sera prima saranno molto più morbidi e gustosi), un cucchiaino di miele o di sciroppo d’agave e d’acero per addolcire (oppure dell’uvetta sultanina se amate un dolcificante “più naturale”). Aggiungete come guarnizione delle fragole fresche oppure una piccola macedonia composta da kiwi, fragole e succo di limone. Per gli sportivi o per chi deve affrontare una mattinata lavorativa intensa, aggiungete una fetta di pane tostato con un velo di marmellata senza zuccheri aggiunti oppure del tahin o della crema di mandorle.

SPUNTINI. A metà mattina via libera a frutta di stagione: al momento troviamo ancora mele, arance, kiwi e le primissime fragole! Utilizzando alcune delle verdure di cui vi ho parlato prima, potremmo preparare anche degli estratti o dei centrifugati, ottimi spezza-fame e/o per prendersi una pausa dall’ufficio (al posto della classica “pausa caffè” voi farete la “pausa centrifuga”). Continuate, come consigliavo anche nel menù autunnale, ad introdurre qualche noce o mandorla!

PRANZO. Nota dolente di chi deve mangiare fuori casa, tranquilli però, basta solo un pochino di organizzazione! Se avete la possibilità di mangiare a casa, un classico è sicuramente il risotto ai carciofi oppure degli spaghetti integrali con rucola e limone. Volete la ricetta? Eccola qui: rosolate uno spicchio d’aglio tritato per pochissimo tempo. Nel frattempo scolate la pasta al dente e mettetela nella padella, unite la scorza grattugiata e un pochino di succo di limone, la rucola tritata finemente. Saltate brevemente e salate (con moderazione mi raccomando) a piacere. Se al posto degli spaghetti utilizzate una pasta corta o del farro, avrete un pasto da portare tranquillamente in ufficio. Potete abbinare un piccolo secondo composto da carne/pesce/uova cotti in modo semplice con un’insalata di valeriana e radicchio verde. Se non volete appesantirvi troppo con dei carboidrati a pranzo, potete optare per un secondo veloce, ad esempio: uova sode accompagnate da cicoria e crostini integrali (fateli voi tostando una fetta di pane integrale e tagliandola poi a quadratini) oppure una sogliola al forno con patate aromatizzate al rosmarino e zenzero, accompagnata da asparagi saltati in padella.

CENA. Facciamo spazio a pesce, carni bianche e uova. Potreste preparare delle cosce di pollo al forno lasciate marinate qualche ora con succo di limone, zenzero, salvia e rosmarino oppure dello sgombro al cartoccio insaporito da aromi ed erbette aromatiche di stagione. Un classico di questo periodo è la frittata con asparagi che potete cucinare sia al forno che in padella (ottima da portare anche il giorno successivo a lavoro). Oggi vi lascio una ricetta davvero speciale per fare un piatto unico: la frittata di patate, carciofi e cipollotti. Affettate sottilmente un paio di cipollotti e fateli rosolare con olio extravergine d’oliva in una padella. Mondate i carciofi e pelate una patata, poi affettate finemente tutti gli ortaggi. Uniteli ai cipollotti insieme a qualche cucchiaio d’acqua, salate, pepate, coprite con un coperchio e fate cuocere per circa una decina di minuti. Nel frattempo sbattete le uova (mi raccomando di galline ruspanti o biologiche), conditele con della maggiorana o del prezzemolo tritato. A questo punto potete decidere se preparare la frittata in padella o al forno. Quindi unite gli ortaggi saltati in padella con le uova, in padella fate cuocere per qualche minuto su ogni lato, mentre al forno vi serviranno una ventina di minuti a 180 gradi. Accompagnate la frittata con un’insalata mista. Perché è un piatto unico? Perché ci sono i carboidrati delle patate, i grassi dell’olio, le proteine delle uova e le fibre delle verdure!

Accompagnate sempre i vostri secondi piatti con una porzione di verdure e ricordate che carboidrati non solo la classica fetta di pane o la pasta, ma anche patate cotte al forno, patate dolci bollite, riso basmati o integrale, del cous cous o altri cereali in chicchi tipo farro e orzo.

 

Dott.ssa Elisa De Filippi Biologa Nutrizionista

Centro Psicologia Castelli Romani, Piazza Pia 21, 00041 Albano Laziale

Tel. 3204604812 – email: defilippielisa@gmail.com




Centro Psicologia Castelli Romani: quando i genitori si separano, come comportarsi con i figli?

A cura della dott.ssa Francesca Bertucci

La separazione in Italia è in aumento, lo confermano anche i dati istat, ciò avviene in media dopo 16/17 anni di convivenza o matrimonio. Sebbene sia un evento che riguarda la coppia, ciò ha ripercussioni importanti su tutto il sistema familiare, in particolar modo sui bambini.
Per fortuna non tutte le separazioni sono uguali. In una separazione con figli è, però, sempre importante mettersi in gioco, la coppia coniugale viene meno ma va tutelata e rafforzata la coppia genitoriale, la quale deve avere l’obiettivo della coesione educativa. Ed è anche per questo che nei casi di alta conflittualità è importante rivolgersi ad un mediatore familiare, che possa, insieme alla coppia, trovare degli accordi reciproci per il bene dei figli.

La separazione è una decisione difficile se vista come fallimento, ma cambiando punto di vista essa è a protezione del futuro dei figli.
Il vero fallimento non è chiudere una relazione è il permanere in essa per non sentirsi persi, erranti dentro un futuro non conosciuto. Rimanere insieme per il bene dei figli non è mai una buona idea. Alcune coppie fanno uno sforzo di stare insieme per il bene dei figli, ma così si rischia di sottoporli a conflitti ininterrotti e investire i bambini di responsabilità nei panni di mediatori. Il vero disagio dei figli non si manifesta tanto perché i genitori si separano, ma per l’intensità del conflitto e per la presenza di problemi nella relazione tra genitori e figli.

Infatti, quando le separazioni riguardano famiglie con almeno un minore, la situazione, già di per sé difficile, aumenta di complessità. Le emozioni e i sentimenti in gioco, coinvolgono anche i bambini e, dunque, è molto importante muoversi per preservare il loro benessere e serenità. E’ quindi molto importante che i genitori, nell’interesse dei figli, cerchino di instaurare tra loro una buona relazione per essere uniti nella separazione, a partire dal trovare insieme un accordo su come e quando comunicare la notizia ai figli.
Il primo grande scoglio in cui si trovano i genitori che stanno per separarsi è quello di comunicare la decisione presa ai figli. Questo momento cruciale, infatti, suscita naturalmente molta ansia e preoccupazione, anche perché simbolicamente significa esplicitare concretamente la scelta intrapresa.
Quando e come comunicare la separazione Il primo passo dev’essere l’organizzazione genitoriale che deve precedere il momento della comunicazione ai figli della separazione. La separazione, infatti, va comunicata ai figli soltanto quando è stato tutto stabilito. I figli hanno bisogno di punti fermi soprattutto in questo momento. Si deve stabilire quale sarà la casa in cui staranno prevalentemente e si deve garantire uno spazio ( per il gioco, per il sonno , per lo studio…)anche nella casa dell’altro genitore.

Devono avere chiaro in quali giorni della settimana staranno con la mamma o con il papà. Questa organizzazione deve essere il più possibile precisa (giorni e orari stabiliti prima), per non disorientare i figli e per lasciar loro impiegare le energie nella già complessa gestione del trauma che stanno vivendo. Vanno garantiti un tempo e uno spazio in cui entrambi i genitori esercitino il proprio ruolo educativo. I genitori diventano responsabili di questo principio organizzativo e lo devono definire tenendo conto dei bisogni del figlio, preservando il più possibile routine e rituali adottati prima della separazione.
Il secondo passo è concordare insieme una strategia sui modi e i tempi per farlo. Trovare un momento in cui sono presenti entrambi i genitori, non è il caso che sia solo uno ad assumersi tutta la responsabilità. Scegliere un luogo tranquillo e protetto da interferenze e interruzioni, mostrandosi affettuosi. Se la coppia ha più di un figlio è consigliabile dare la notizia a tutti insieme ma poi dare la possibilità ad ognuno di avere un colloquio separato con igenitori per chiarire eventuali dubbi o preoccupazioni personali.
Inoltre, è importante evitare di spiegare nel dettaglio le motivazioni di tale scelta. La spiegazione delle cause della separazione non deve essere condivisa con il bambino e la decisione della separazione deve essere comunicata in modo chiaro, in termini comprensibili relativamente alla loro età. Per i figli si rivela più dannoso permanere in uno stato di incertezza, confusione o ambiguità ed essere in balia degli eventi. Infine, non bisogna dimenticare che i figli sono degli attenti osservatori, sono sempre particolarmente vigili e sensibili a cogliere gli stati emotivi degli adulti di riferimento.

Tenute in considerazione certe premesse, I genitori spiegheranno al bambino che entrambi, mamma e papà, hanno necessità di vivere separatamente per andare più d’accordo e capirsi. E’ tra loro genitori che non vanno più d’accordo e per questo vivranno in due case separate ma cercheranno di andare d’accordo come genitori per continuare a dare amore ai loro figli come prima.
Dopo tale comunicazione, è importante prepararsi a gestire le reazioni spesso brusche e violente dei figli. Bisogna tener presente che probabilmente cercheranno di opporsi alla notizia e tenteranno di cambiare le cose. Lo faranno con pianti, manifestazioni di rabbia. E’ importante che i genitori consolino il figlio ma allo stesso tempo non lo illudano che lui abbia il potere di cambiare le cose. Infatti tale responsabilità non lo riguarda e questo deve essere ben chiaro per evitare che il figlio sviluppi un senso di colpa rispetto al fatto di non aver fatto abbastanza o la cosa giusta per tenere insieme i genitori e che quindi la colpa della separazione sia sua. Il sapere che è possibile parlare liberamente è il primo passo che consente al bambino di esprimere le proprie emozioni e all’adulto di riconoscerle e farle riconoscere. Il bambino deve sapere che la propria mamma e papà saranno sempre i suoi genitori, anche se il matrimonio finisce e non vivranno più tutti insieme. È importante evitare che i figli diventino i custodi dei segreti di mamma o papà, sentendosi presi in mezzo dal conflitto dei genitori.
Tenendo conto di ciò, i messaggi fondamentali da trasmettere ai figli sono:
L’amore dei genitori verso di loro non cambierà mai. L’amore per il figlio è incondizionato e, non può né cambiare né diminuire. Mentre quello tra marito e moglie si può deteriorare nel tempo. I genitori anche se non vivranno più sotto lo stesso tetto si impegneranno ad essere uniti per tutto ciò che riguarda l’educazione e le esigenze del figlio.
Il figlio è frutto dell’amore dei suoi genitori. Valorizzare gli elementi positivi della vita in comune, raccontando al bambino episodi positivi che riguardano la coppia, che cosa ognuno dei genitori ha amato nell’altro e soprattutto raccontare con quanto amore si è presa la decisione di avere un figlio e poi di crescerlo. Questi racconti dovrebbero sostituire quelli più frequentemente adottati dai genitori che spesso in fase di separazione elencano tutti i motivi e gli episodi negativi che hanno portato alla decisione attuale. In questo modo restituiscono al figlio un’immagine di due
genitori che non l’hanno voluto e quindi amato. Questo può avere notevoli effetti negativi sull’autostima e la sentimento di amabilità personale del bambino.
La separazione non è colpa sua. Fin dalla più tenera età infatti, già intorno ai 3 anni il bambino sviluppa il senso di colpa e, nel caso di una separazione riterrà il suo comportamento direttamente responsabile di tale evento. A quel punto il bambino chiederà delle spiegazioni, delle ragioni alla separazione. I genitori dovranno spiegarle al bambino in base alla sua età, che l’amore tra due adulti non sempre dura per sempre, ribadendo che al di là del futuro della coppia, il figlio è stato desiderato e amato in passato come lo sarà nel futuro.
Potrà continuare ad amare entrambi i suoi genitori. Così come l’amore dei genitori non cambierà nei confronti del figlio, deve essere chiarito che anche l’amore del figlio verso entrambi i genitori non deve modificarsi a causa della separazione. Questo aiuterà il bambino a mantenere un’idea salda di continuità del legame d’amore sia con il papà
che con la mamma.
Il divorzio è sicuramente un momento molto critico e generalmente comporta un dolore all’intero nucleo familiare, ma dopo le difficoltà iniziali è possibile che ci siano degli sviluppi positivi, i rapporti e la vita quotidiana possono migliorare, perché la fine della convivenza può attenuare i conflitti legati alla condivisione della quotidianità. Inoltre, ciascun genitore ha la possibilità di costruire una relazione sana con i propri figli, con momenti di condivisione, secondo le proprie capacità e risorse, senza necessariamente avere il filtro dell’altro genitore.
Non è impossibile rendere la separazione un evento non solo traumatico e doloroso per il nucleo familiare, l’importante è che gli adulti siano in grado di mettere da parte la propria conflittualità e i propri rancori per il benessere dei figli. Soprattutto, quando ci si rende conto di non essere in grado da soli di superare certe difficoltà per i figli, con il rischio di farli soffrire più del dovuto, sarebbe opportuno ed importante chiedere l’aiuto di un professionista, uno psicologo o mediatore familiare.

Centro psicologia Castelli Romani-Dott.ssa Francesca Bertucci
Psicologa-Psicodiagnosta dell’età evolutiva-Mediatore familiare
Cell 3345909764-dott.francescabertucci@cpcr.it
www.psicologafrancescabertucci.com
piazza Pia 21 00041 ALBANO LAZIALE




Albano Laziale, Centro Psicologia Castelli Romani: il bambino è pronto per la prima elementare?

ALBANO LAZIALE (RM) – I primi mesi dell’anno sono da sempre un periodo intenso e pieno di preoccupazioni per quei genitori che stanno per iscrivere i bambini alla prima elementare. Le ansie riguardano certamente la scelta del giusto istituto ma soprattutto l’incertezza sul fatto che il proprio bambino sia realmente pronto per “la scuola dei grandi”.

A tale proposito,in molte scuole materne vengono effettuati degli screening finalizzati proprio all’analisi di eventuali indici predittivi rispetto a difficoltà di apprendimento: ci sono infatti degli aspetti che possono essere precocemente individuati e, se carenti, correggibili con dei training di potenziamento che vadano a rafforzare quelle abilità di base, indispensabili per l’approccio all’apprendimento della lettura scrittura e per le prime forme di calcolo. Oltre a richiedere un approfondimento specialistico, anche logopedico, il genitore tuttavia può già in piena autonomia far caso ad aspetti ben visibili, anche per un occhio meno esperto: all’età di cinque/sei anni, infatti, il bambino non deve presentare alterazione di linguaggio per il versante fonologico; motivo per il quale, se non ha ancora sviluppato dei suoni, o se tende a semplificare molte delle parole prodotte, potrebbe non essere adeguato e bisogna intervenire dunque con un approccio appropriato, prima che venga esposto all’apprendimento di lettura e scrittura.

Lo stesso discorso vale per l’aspetto morfosintattico: a quell’età, il bambino deve essere in grado di esprimersi mediante costruzioni frasali complete e ricche, correttamente formulate. Anche il lessico presenta la stessa importanza: se vostro figlio tende ad avere infatti un vocabolario molto ristretto e ripetitivo è opportuno consultarsi con uno specialista che sia in grado di fornire una visione obiettiva.
Altro aspetto cruciale da verificare infine è il livello di ascolto e narrazione delle storie: il bimbo della fascia d’età citata sa già ascoltare un racconto (adeguato per lui) e raccontare a sua volta una storia o degli avvenimenti del quotidiano.
Riassumendo, l’inventario degli aspetti da osservare è come abbiamo visto sicuramente molto vasto, motivo per il quale sintetizzare il tutto in poche righe risulta assai complicato: importante però è sempre monitorare il comportamento di vostro figlio, cercando di coglierne i tempi di attenzione in attività più strutturate, come ad esempio l’ ascolto di storie o “classiche” attività di pregrafismo.

Oltre agli aspetti linguistici, è bene osservare inoltre anche le indicazioni che emergono dalla capacità grafo-motoria del proprio bambino: sempre nelle attività preparatorie alla prima elementare, si possono notare infatti elementi come il tratteggio e la rappresentazione della figura umana, la quale già in questa fase dovrebbe essere completa e rappresentata secondo buone proporzioni e una buona gestione dello spazio.

Fondamentale è poi il confronto con le insegnanti dei bambini, che hanno modo di vedere i piccoli in un contesto più ampio, specifico e con più distrattori.

Ma cosa può fare una logopedista in questa fase così delicata della crescita evolutiva di un bambino?La sua figura, spesso in equipe, diviene cruciale per la valutazione obiettiva degli aspetti sopracitati, in quanto specializzata nella somministrazione di test standardizzati.

A questo si aggiungono poi anche prove più specifiche e specialistiche, mirate ad esempio all’indagine di capacità linguistiche primarie come quelle meta fonologiche (basiche per l’apprendimento della letto scrittura) e all’apprendimento matematico.

Logopedista Chiara Marianecci
3497296063
chiara.marianecci@hotmail.it




Albano, Centro Psicologia Castelli Romani: a che gioco giochiamo?

Albano Laziale (RM) – L’importanza dello sviluppo del gioco nei bambini : Il gioco simbolico “Il gioco comincia quando il comportamento del bambino non è più guidato dalla necessità di apprendere o di ricercare una soluzione, ma soltanto dal piacere funzionale , cioè dal piacere di esercitare abilità già acquisite.”

(Piaget)

Perché è importante giocare? Ma soprattutto, con cosa devo far giocare il mio bambino? Queste sono domande comuni che tanti si pongono quando entrano in relazione con un bambino, in particolare se molto piccolo.
Nel precedente articolo abbiamo iniziato un viaggio nello sviluppo del gioco del fino ai 18 mesi, analizzando le fasi evolutive e le necessità che lo caratterizzano, ma soprattutto focalizzando l’attenzione su quanto il gioco sia collegato e come sostenga il maturarsi delle altre competenze del bambino, come le capacità motorie e il linguaggio. Sostenendo una capacità infatti stiamo garantendo il corretto sviluppo delle altre, e quindi uno sviluppo armonico di tutte le competenze.
Continueremo dunque questo interessante viaggio nel gioco del bambino arrivando successivamente fino all’apice della sua maturazione intorno ai 5 anni di età.
In questo articolo però sottolineeremo l’esordio di una delle fasi evolutive più importanti del gioco: IL GIOCO SIMBOLICO.

Cosa è il Gioco?
Il gioco è parte centrale dello sviluppo psicomotorio del bambino ed assume un diverso significato nel corso della maturazione del senso di Sé, dell’indipendenza, delle abilità sociali e della creatività individuale.
Mediante il gioco il bambino sperimenta il rapporto con le persone, arricchisce la memoria, allena la concentrazione, studia cause ed effetti, riflette sui problemi, impara a controllare le emozioni, conosce la realtà circostante e arricchisce il vocabolario (Sheridan M,1984).
Tutto ciò si traduce nello sviluppo della personalità e nella realizzazione del bambino stesso.
Grazie al gioco il bambino potrà sviluppare una corretta coordinazione motoria e amplierà, grazie all’imitazione e alla sperimentazione, le possibilità di comunicare (giocare con l’altro) ed inserirsi in contesti sociali. Cercherà di creare Relazioni (con l’altro, con se stessi, con gli oggetti) ed esplorare il proprio corpo e le proprie capacità di agire.
Ricapitolando dal precedente articolo, nel primo anno di vita l’attività di gioco del bambino è di tipo prevalentemente motorio, concentrata sulla ricerca di sensazioni piacevoli e sulla conoscenza del mondo che lo circonda (Esplorazione).

In particolare in questo periodo attraverso tale attività, il bambino sperimenta un gioco finalizzato alla ricerca di sensazioni che arricchiscano il «SE» che si sta strutturando anche grazie al gioco di interazione con i caregivers.
Successivamente, superando i 18 mesi e avvicinandoci ai 24 mesi il gioco cambia forma, e la centralità d’interesse passa totalmente dalle persone all’utilizzo dell’oggetto.
Precedentemente il bambino utilizzava un oggetto assegnandogli una funzione simbolica, ma l’oggetto doveva essere realisticamente simile alle sembianze dell’oggetto da rappresentare (sostituti simili nella forma o nella funzione, ad esempio un bastoncino può essere usato come un cucchiaio).
Avvicinandosi ai 24 mesi gli oggetti non hanno più bisogno di una connotazione per forma o per funzione al fine di simboleggiare l’oggetto da rappresentare (una chiave può rappresentare ed essere utilizzata come un telefono).
I genitori possono partecipare al gioco sia dando suggerimenti sia agendo in prima persona attraverso il gioco di finzione, che il bambino può osservare e imitare.
Vengono così poste le fondamenta di un gioco più maturo basato sull’astrazione:

Il gioco simbolico
A partire dai 18 mesi possiamo quindi osservare l’esordio del gioco simbolico che è segnato dalla comparsa di azioni che rivelano la natura sociale e convenzionale degli
oggetti.
Gli oggetti vengono utilizzati in modo appropriato ma al di fuori del contesto normale e pertanto si può parlare di schemi pre-simbolici.

L’atteggiamento verso di questi è ancora realistico perché caratterizzato da una conoscenza funzionale dell’oggetto nelle situazioni reali (es. un bicchiere viene usato per bere anche “per
finta” e in assenza di acqua all’interno).
Intorno ai 24 mesi gli oggetti non hanno una connotazione per forma o per funzione ed è in questa fase che il bambino può stravolgerne l’utilizzo usando l’immaginazione, per esempio: una cucchiaio può rappresentare ed essere utilizzato come un telefono.

I genitori o le figure di riferimento del bambino possono e devono partecipare al gioco sia dando suggerimenti, sia agendo in prima persona per finta mentre il bambino osserva e imita il loro comportamento. Al fine dello sviluppo delle capacità ludiche pre-simboliche del bambino è importante anche fargli osservare quello che è il vissuto quotidiano della famiglia in modo tale che lui lo possa riproporre nei suoi giochi di finzione permettendo il passaggio ad un gioco simbolico correttamente strutturato.
Per gioco simbolico, quindi, intendiamo tutte le azioni decentrate dal contesto in cui si svolgono normalmente e che il bambino compie per puro piacere.

Dopo che il bambino ci ha osservato mentre apparecchiavamo o anche semplicemente nelle fasi del suo accudimento ( es. durante il pasto o durante il cambio del pannolino)
vedremo che queste le riproporrà anche nel suo gioco dando lui stesso da mangiare o accudendo un bambolotto, riproponendo e decentrando le stesse azioni che lui vede compiere su se stesso.
Le azioni “per finta” sono vere simulazioni di azioni di vita quotidiana.
Le principali caratteristiche che ci possono far capire se il nostro bambino si sta organizzando un gioco di tipo simbolico sono:
 La presenza della capacità di agire “come se”, al di fuori del contesto normale e reale (es. Fuori dal bagnetto far finta di lavare la bambola, mettere a dormire la bambola in una scatola) e comprende qualsiasi contesto di vita quotidiana che il b. riproduce al di fuori della realtà;
 La presenza della capacità di utilizzare oggetti sostitutivi rispetto a oggetti reali (es. Una penna può diventare un cucchiaio o un pettine):
 Abilità di compiere azioni solitamente svolte da altri, ciò che abbiamo visto fare dai nostri genitori sappiamo riprodurlo in contesti ambientali differenti.
 La presenza della capacità di collegare schemi di azione differenti in sequenze tematiche coerenti, partendo dall’elaborazione di singole azioni (episodiche) (es :Dare da bere, Dare da mangiare,Pettinare), per poi passare a combinazioni di 2,3,4, azioni (es. Fa finta di mescolare nel piatto e poi mangia), fino ad arrivare a compiere azioni diverse in sequenze coerenti
(es.Dà da mangiare al bambolotto e poi lo mette a dormire)

Superati i due anni di età compaiono le prime vere sostituzioni simboliche : il bambino può evocare la funzione dell’oggetto in sua totale assenza, per esempio la sua mano può assumere il gesto a fare finta che tale oggetto sia in mano (oggetto invisibile).

In questa fase le azioni sono rivolte quasi esclusivamente al bambino stesso e non includono altri partecipanti al gioco. Gli altri (principalmente oggetti es. bambolotti o orsetti) sono destinatari passivi dell’azione del bambino. Principalmente nella sequenza ludica di questo momento viene messa in atto una singola azione alla volta e non si è ancora in grado di combinare azioni simboliche diverse.
Nei contesti strutturati e scolarizzati come gli asili nido, o semplicemente in presenza di suoi coetanei potremmo osservare che il bambino di due anni non condivide il gioco con i suoi pari, ma gioca vicino e parallelamente ad essi senza creare punti di incontro. Questo è quello che viene definito Gioco parallelo.
In questa tipologia di gioco i bambini mettono in atto un’imitazione reciproca senza coordinazione: si osservano e si imitano compiendo le stesse azioni di gioco uno vicino all’altro ma senza parlarsi e condividere il gioco stesso.

Questa imitazione gli permette di osservare i propri pari e prendere spunto dal gioco dell’altro per ampliare le proprie conoscenze. Successivamente verso i 3 anni il bambino comincia ad esser autonomo ed è in grado di strutturare l’azione di gioco senza il supporto degli adulti.

Inizia ad esservi una scelta autonoma della situazione ludica e della realizzazione del copione in cui i ruoli diventano complementari, anche se il livello di integrazione tra bambini è minimo.
Questo che è l’inizio del gioco combinatorio simbolico lo affronteremo successivamente nel dettaglio.

CONCLUSIONI
Concludendo possiamo perciò dire che nella fase che intercorre tra i 18 e i 24 mesi di vita, il bambino mette le basi per la costruzione del suo gioco simbolico, importante strumento che gli permetterà di conoscere, esplorare e manipolare il mondo che lo circonda riportando il suo vissuto quotidiano in sequenze ludiche.
Inoltre comincia il decentramento dal suo gioco e inizia l’interazione, l’integrazione e l’ampliamento dei propri schemi ludici osservando quelli dei bambini intorno a lui, che fungono da punti di partenza e riferimento per quelle che saranno le future tappe dello sviluppo e dell’apprendimento.
I bambini sono sempre i migliori insegnanti in materia di gioco.

Dott.ssa Cristina Monaco, Centro Psicologia Castelli Romani

Piazza Pia 21, 00041 Albano Laziale

www.centropscicologiacastelliromani.it

 

BIBLIOGRAFIA
 Baumgartener E., «il gioco dei bambini», ed. Carocci, Roma,2004
 Brazelton T.B., «Il bambino da 0 a 3 anni», Ed. Fabbri, Milano,2003
 Sheridan M., «il gioco del bambino, Ed. Raffaello Cortina, Milano, 1984
 Sheridan M., «Dalla nascita ai 5 anni», Ed. Raffaello Cortina, Milano, 2009
 Dépliant, « A che gioco giochiamo», Ospedale Pediatrico A. Meyer, centro
Brazelton.
 Dépliant, «Giocando si impara», fondazione Pierfranco e Luisa Mariani,
Neurologia Infantile, Milano, 2008.




Centro Psicologia Castelli Romani: l’autunno in tavola. Consigli nutrizionali

ALBANO LAZIALE (RM) – L’autunno è una stagione meravigliosa: le temperature sono ideali per permetterci di fare qualsiasi attività (passeggiate, attività sportive, escursioni), i paesaggi autunnali offrono scorci e colori mozzafiato mentre madre natura ci offre i suoi frutti migliori proprio in questo periodo dell’anno! Sarebbe un peccato non approfittarne!

Le nostre abitudini alimentari non dovrebbero essere sempre le stesse durante tutto l’anno: dobbiamo necessariamente cambiarle in base alle primizie di stagione. Vorrei pertanto aiutarvi a costruire un menù equilibrato *a portata di autunno*!

Partiamo con la prima colazione, un pasto importantissimo che nessuno dovrebbe permettersi di saltare. La maggior parte di noi consuma la propria colazione in modo molto veloce, senza considerarlo un vero pasto. Questo è un errore che spesso rimprovero ai miei pazienti: la colazione ha un’importanza paragonabile a quella del pranzo e della cena, pertanto non saltiamola!

Qualche suggerimento utile? La colazione autunnale per me deve iniziare con qualcosa di caldo: una tazza di tè rosso o un buon tè verde oppure una tisana ai frutti rossi. Si potrebbe proseguire con una fetta di pane integrale o pane di segale o di farro con un velo di ricotta di pecora. A questo tipo di colazione aggiungerei solo un piccolo frutto, tipicamente autunnale, ad esempio un grappolo d’uva. Se non gradite la ricotta potrei proporvi in alternativa qualche fettina di prosciutto crudo Dop (che per legge è senza conservanti come nitriti o nitrati) oppure un paio di fette di Salmone selvaggio affumicato. Abbinando una manciata di frutta secca come nocciole o mandorle avrete la vostra colazione completa, bilanciata e saziante.

Siete invece degli amanti della colazione dolce? Vi propongo il porridge (in inglese) o zuppa d’avena, ricetta quasi sconosciuta in Italia ma che sta spopolando in giro per il mondo. Il porridge è una ricetta tipicamente anglosassone a base di fiocchi di avena cotti nel latte (preferibilmente vegetale). Per prepararlo basta mescolare in un pentolino qualche cucchiaio di fiocchi d’avena con una tazza di latte e cuocere tutto finché il composto non diventa cremoso. Si possono aggiungere poi frutti di bosco o mele cotte con la cannella, o anche gocce di cioccolato, cacao, uvetta e frutta secca. Il porridge può essere dolcificato a piacere con miele o sciroppo d’acero, anche se non vi consiglio di farlo. Un porridge tipicamente autunnale? Porridge con mela e cannella, arricchito con scaglie di cioccolato fondente all’85% e una granella di mandorle! Un vero carico di energia e gusto per affrontare l’intera mattinata lavorativa!

Se dovessimo aver voglia di un dolce?  Una fetta di torta alla zucca o di castagnaccio toscano sono l’ideale!

Proseguiamo con la programmazione della nostro menù autunnale, senza dimenticarci degli spuntini!

In questa stagione dobbiamo fare il pieno di Vitamina C, la quale rafforza il sistema immunitario, proteggendo dai malanni stagionali. La vitamina C è ampiamente presente in frutta e verdura; classicamente la si identifica con gli agrumi, ma in realtà non sono questi i frutti che ne contengono il maggior quantitativo, bensì i kiwi! La vitamina C degli agrumi si concentra nella scorza (130 mg), mentre è significativamente di meno nel succo spremuto: 24-50 mg. Un kiwi contiene invece 85 mg di vitamina, che di per sé sarebbe sufficiente a coprire la razione raccomandata (per l’adulto è di 60 mg, 35-50 mg per il bambino). Pertanto facciamo gli spuntini a base di frutta fresca, principalmente kiwi e agrumi. Non dimentichiamoci del melograno, ricchissimo di antiossidanti e dalle comprovate proprietà antitumorali.

Il pranzo merita la giusta attenzione in quanto è il pasto centrale della giornata. Cerchiamo di privilegiare condimenti leggeri, mettiamo da parte i sughi di carne e concentriamoci invece sui condimenti a base di verdure! Qualche esempio? Non può mancare sulla tavola autunnale il risotto con la zucca oppure con i funghi porcini. Tra qualche settimana entreranno nel pieno della loro stagione cavolo cappuccio, broccolo, cavolfiore, cavolini di Bruxelles, cavolo nero, Verza: appartengono alla famiglia delle Crucifere e sono ricchi di Vitamina C. Utilizziamo queste meravigliose verdure per condire i nostri pranzi in ufficio. Un abbinamento che consiglio spesso: farro con broccoli e una manciata di pinoli oppure orzo con cavolfiore e uvetta.

La cena è il pasto conclusivo della giornata, per questo motivo non dovrebbe appesantirci troppo, soprattutto se andiamo a metterci a letto subito dopo. Innanzitutto, dato che le giornate tenderanno ad essere sempre più corte, il mio consiglio è quello di consumare la cena per tempo, ovvero tra le 19.30 e le 20.30. Questo ci permetterà una digestione ottimale ed eviterà risvegli notturni causati da una cattiva digestione.

La sera posso darvi il via libera su zuppe di cereali (farro, orzo, riso, avena) e legumi (ceci, fagioli, lenticchie, cicerchie), da consumare almeno un paio di volte a settimana. Il pesce non dovrebbe mai mancare sulle nostre tavole, almeno un paio di volte a settimana. Vi consiglio di preferire pesce mediterraneo, di taglia piccola e preferibilmente pescato: questa tipologia di pesce, a differenza di quello allevato, ha delle proprietà nutrizionali di gran lunga superiori. Per quanto riguarda la carne, è da preferire la carne bianca di pollame: pollo, tacchino, faraona, gallina, coniglio. La carne rossa è da limitare a una/due volte a settimana. È consigliabile acquistare carne allevata all’aperto per i valori nutrizionali di gran lunga superiori rispetto alla carne di allevamento intensivo e per l’assenza di residui di fitofarmaci nella parte muscolare e lipidica. Per ovviare ai costi maggiori della carne biologica, si consiglia di acquistare tagli minori, ad esempio le ali di pollo, le cosce e sovracosce di pollo e tacchino. Anche per la carne rossa non intestarditevi a cucinare solo bistecchine e filetto: esistono tagli minori molto buoni e poco costosi: l’ossobuco e il biancostato, la spalla, il fiocco e lo scalfo. Necessitano di tempi di cottura maggiori rispetto alla bistecca, ma risulteranno ugualmente gustosi e molto saporiti.

Ricordiamoci inoltre di idratarci a sufficienza: un adulto dovrebbe bere minimo 1,5 litri di acqua al giorno. Siete sicuri di farlo? Tè e tisane possono venire in nostro soccorso in questo caso, l’importante è che non siano zuccherate (altrimenti è meglio non berle)! Concediamoci pertanto una tazza di tè verde (preferibilmente sotto forma di foglioline piuttosto che filtri) a metà mattinata o una tisana ai frutti di bosco nel pomeriggio. Inoltre, cosa c’è di meglio che concludere la giornata con una bella tazza di camomilla fumante?

Dott.ssa Elisa De Filippi

Piazza Pia 21, 00041 Albano Laziale

Tel. 3204604812 – Email: defilippielisa@gmail.com

www.centropscicologiacastelliromani.it

 

 




Albano Laziale, Centro psicologia Castelli Romani: la sessualità nei bambini

ALBANO LAZIALE (RM) – Imparare la sessualità è importante nella crescita di un bambino tanto quanto lo è imparare qualsiasi altro aspetto della vita. Se i genitori parlano con i figli del loro corpo, dei sentimenti e dei comportamenti che riguardano il sesso, i bambini imparano che parlare di sesso con i genitori non è sbagliato. Far capire ai propri figli che possono rivolgersi a loro e parlare liberamente è uno dei modi migliori che i genitori hanno per aiutarli a costruire la loro scala di valori.
In età prescolare, intorno ai 2-3 anni, i bambini riescono a riconoscere la propria appartenenza al genere sessuale (maschio, femmina) e verso i 3-5 anni si manifesta la curiosità sessuale. Capita infatti che rivolgano domande sul “pisellino” o sulla “patatina” o sul perché esistano i maschi e le femmine e “da dove escono i bambini”. Ai bambini di questa età piace spesso guardare sia il loro che il corpo di altri bambini, non si vergognano del loro corpo e amano stare nudi. Possono fare il gioco del dottore e dell’infermiera che consiste sia nel guardare che nel toccare. Verso i 5-7 anni è il periodo in cui cominciano a manipolare e ad esplorare i propri genitali. La masturbazione può avvenire per diversi motivi: per scoprire il proprio corpo, perché è piacevole, perché il bambino ha bisogno di andare in bagno, infine, perché prova una sensazione di consolazione quando è preoccupato.

Tra i 7/8 anni e i 12/13 i bambini rafforzano la propria identità di genere e giocano quasi esclusivamente con i coetanei dello stesso sesso. L’adolescenza diviene invece un periodo di nuova percezione della propria sessualità col raggiungimento della maturità fisiologica ed in tale contesto le esperienze assumono un significato differente dalle precedenti anche se è sempre la curiosità a spingere i ragazzi a nuove sperimentazioni.

Che cosa influenza il comportamento sessuale dei bambini?
I bambini imparano dai genitori, quello che pensiamo rispetto alla sessualità influenza il modo di affrontare il comportamento sessuale dei nostri bambini. Il modo in cui ci comportiamo, ci trattiamo, ci rispettiamo, il nostro bagaglio culturale ed il nostro credo religioso, influenzano il pensiero del nostro bambino sul sesso.
A volte i bambini possono vedere i loro genitori o altri adulti criticare o deridere persone dell’altro sesso, e alcune volte i bambini stessi vengono presi in giro dagli adulti. Questo tipo di comportamento può portare i bambini a sentirsi scontenti di essere maschio o femmina. Può insegnare loro ad aver paura delle persone dell’altro sesso o a considerarli inferiori.
Inoltre, hanno occasione di vedere una gran quantità di sesso presentato in un modo o nell’altro dalla televisione, i video, i giornali, i manifesti pubblicitari. Attraverso ciò che leggono, vedono e sentono imparano che cosa significa essere uomo o donna e come si comportano uomini e donne. A volte assistono ad immagini di violenza sessuale o di attività sessuali che, a causa della loro età, non sono ancora in grado di capire e questo li può turbare.
Infine, un peso importante ce l’hanno le scuole, nel modo in cui insegnano ai bambini a conoscere il loro corpo.

Cosa possono fare i genitori?
Di fronte alle domande dei bambini è importante rispondere con tranquillità e spontaneità, utilizzando un linguaggio che possano capire. Per esempio, rispetto alla curiosità di sapere da dove vengono, potete spiegare che sono stati generati da uno spermatozoo del loro papà e da un ovulo della loro mamma e che questi due elementi sono cresciuti in un cantuccio particolare nel corpo della loro mamma fino al momento in cui sono nati per essere quella persona speciale che oggi sono. Man mano che crescono si possono aggiungere informazioni, può essere utile utilizzare dei libri illustrati, che il bambino può seguire
mentre noi forniamo le spiegazioni.

Quando serve un aiuto?
Ci sono alcuni comportamenti del bambino che potrebbero indicare che qualcuno li ha molestati. È importante contattare uno psicologo quando il bambino: dimostra di sapere, riguardo al sesso, molto più di quanto vi aspettereste da un bambino della sua età; presenta arrossamenti, ematomi o dolore nella zona dei genitali; cerca di obbligare qualcuno a fare giochi sessuali, spesso bambini più piccoli, parla di sesso molto più degli altri bambini; si masturba così sovente da interferire con il gioco, o in pubblico anche oltre l’età dell’asilo, disegna sempre parti sessuali del corpo; dimostra paura o si innervosisce se qualcuno parla del suo corpo o di sesso. Tutti questi segnali possono indicare un abuso sessuale, ma potrebbero anche essere causati da altri problemi. Sono comunque segnali che indicano che vostro figlio ha bisogno di aiuto.
È importante non fare troppe domande per non angosciare il bambino ma rivolgersi a professionisti che possano capire cosa sta accadendo.

Dott.ssa Francesca Bertucci
Psicologa-Psicodiagnosta dell’età evolutiva-Mediatore familiare
Cell 3345909764-dott.francescabertucci@cpcr.it
www.psicologafrancescabertucci.com

Centro psicologia Castelli Romani- piazza Pia 21 00041 ALBANO LAZIALE