Capaci: tre arresti per sequestro di persona

A Capaci, i Carabinieri della Stazione hanno posto agli arresti domiciliari tre palermitani – un 42enne, un 27enne e un 25enne – dando esecuzione alle misure cautelari disposte ad esito delle indagini coordinate dalla Procura di Palermo.

Ai tre viene contestato il sequestro di persona, la violenza privata e le lesioni personali in danno di un 24enne palermitano da poco trasferitosi a Capaci, condotte poste in essere nella via principale del paese, in pieno giorno davanti a decine di passanti.

Gli accertamenti sono scattati a seguito della denuncia sporta da un cittadino che aveva assistito alla scena, verso la fine di luglio, ripresa dalle telecamere: i tre hanno aggredito il giovane, caricandolo di forza in macchina per condurlo in località sconosciuta, la giovane vittima sarà successivamente liberata a Palermo.

Non emergono collegamenti con Cosa Nostra, anche se i contorni all’interno dei quali si inserisce il rapimento sono ancora da chiarire essendo tutti e quattro i protagonisti gravati da precedenti




Totò Riina, no a funerali pubblici: storia di un pubblico peccatore, di omertà e di morti ammazzati

No ai funerali di Riina. Questa la posizione netta presa dalla Chiesa in merito al sanguinario boss Salvatore (Totò) Riina, morto venerdì 17 alle ore 3.37.

“Un funerale publico non è pensabile. – Ha detto Don Ivan Maffeis, portavoce della Cei – Ricordo la scomunica del Papa ai mafiosi, – ha proseguito il portavoce Cei – la condanna della Chiesa italiana che su questo fenomeno ha una posizione inequivocabile. La Chiesa non si sostituisce al giudizio di Dio ma non possiamo confondere le coscienze”.  Don Ivan Maffeis ha puntualizzato inoltre che la Chiesa e la Chiesa Italiana hanno una posizione chiarissima di fronte a chi si è reso responsabile di questi crimini e un funerale pubblico è impensabile poiché calpesta la memoria delle vittime che sono state brutalmente uccise “penso a Falcone, Borsellino, Livatino, ma anche i tanti preti uccisi, come don Puglisi, e comunque i magistrati, le forze dell’ordine, le tante persone che sono state assassinate. Un funerale pubblico sarebbe un segno che va nella direzione opposta del compito della Chiesa, che quello di educare la coscienza e contrastare la mentalità criminale”.

 

Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale segue la stessa linea di pensiero di Maffeis precisando cheBisogna educare le coscienze alla giustizia e alla legalità e di contrastare la mentalità mafiosa. Ancora non ho informazioni se e quando la salma di Riina sarà trasferita a Corleone. Trattandosi di un pubblico peccatore non si potranno fare funerali pubblici. Ove i familiari lo chiedessero si valuterà di fare una preghiera privata al cimitero”.

 

“Non ho mai chiesto di occuparmi di mafia. Ci sono entrato per caso. E poi ci sono rimasto per un problema morale. La gente mi moriva attorno” disse il Magistrato Paolo Borsellino, ucciso il 19 luglio 1992 dalla mafia, con una carica di esplosivo di 90 chilogrammi contenuta all’interno di una Fiat 126, in quel terribile attentato morirono anche i cinque agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Una questione morale che il sanguinario Boss di Corleone Totò Riina, invece, non si è mai posto nel corso della sua lunga carriera criminale, prediligendo  senza indugi l’eco assordante della lupara, con la quale metteva  a tacere tutti coloro che osavano contrastare la sua ascesa al potere mafioso. Una carneficina che ha disseminato, lungo le strade di Palermo, corpi inermi il cui sangue ha impregnato le vie della città e delle borgate in cui nessuno aveva visto e sentito nulla. Totò “U curtù”, da gregario di Luciano Liggio, raggiunse ben presto i vertici di cosa nostra, scatenando stragi, ordinando esecuzioni, sfidando lo Stato e facendo sparire nel nulla uomini che hanno lottato in prima persona per la libertà e la democrazia. Ha vissuto per un ventennio nell’ombra, nascondendosi dal braccio armato della legge che lo condannava agli ergastoli.  Una latitanza condivisa fianco a fianco con il boss corleonese Bernardo Provenzano “Binnu”, suo amico d’infanzia con il quale ha suggellato un’alleanza consolidata negli anni per l’affermazione del potere di Corleone su Palermo. Un destino criminale e di interessi che ha messo in ginocchio la Sicilia, terra ricca finita nelle mani di meschini senza scrupoli che l’hanno macchiata di sangue e dolore.

La lunga latitanza di Totò “u curtu”, però, si interrompe il 15 gennaio del 1993, quando viene catturato dal CRIMOR, squadra speciale dei ROS guidata dal Capitano Ultimo.  Da allora il sanguinario boss dei corleonesi, condannato a 26 ergastoli, sconta la sua pena nel severissimo regime carcerario 41 bis; gli inquirenti ritengono però che abbia continuato ad esercitare il suo potere anche da quel rigido sistema detentivo e infatti, nel mese di luglio, il Tribunale di Sorveglianza di Bologna respinge la richiesta di un differimento di pena per motivi di salute. Dopo il suo arresto si interrompe l’eco delle armi a Palermo, finisce l’epoca delle stragi e della sfida contro lo Stato; Bernardo Provenzano “Binnu”, diventa il nuovo capo di cosa nostra e il comandamento che impone è quello di non fare “scruscio”, ovvero “non fare rumore”; una strategia mafiosa diversa da quella di Totò “U curtu” che invece prediligeva l’azione armata. Il silenzio imposto da Provenzano faceva macinare miliardi senza sosta alla mafia, taciti accordi con i colletti bianchi che si stipulavano con una stretta di mano e un “pizzino” contenente l’ordine e le direttive da seguire, sentenze di morte o di assoluzione.

 

L’Avvocato Nicodemo Gentile, che recentemente ha pubblicato il suo ultimo libro “Laggiù tra il ferro – storie di vita, storie di reclusi” ha dedicato un intero capitolo al 41 bis e ha voluto darne un cenno per i lettori de L’Osservatore d’Italia al fine di capire meglio come funziona: “Da un punto di vista tecnico si tratta di un inasprimento che nasce proprio a seguito delle stragi anche se era stato già concepito ma non attuato per quanto riguarda la lotta alle Brigate Rosse. Si tratta di un Atto Ministeriale, quindi che prescinde dal discorso giurisdizionale e va ad attaccare tutti quei soggetti che si sono macchiati di crimini al fine di rompere ogni tipo di legame, contrastare ogni tipo di prosecuzione anche dal carcere per l’attività di ordinamento, controllo e gestione di cosa nostra. Non possono stare con altre persone, devono fare l’ora d’aria da soli o massimo con un’altra persona, hanno tutta una serie di preclusioni per quanto riguarda i colloqui che si fanno attraverso un vetro divisorio, per quanto riguarda il fatto di avere corrispondenze, i cibi, i vestiti, spesso e volentieri la luce esterna è schermata, le finestre e le sbarre sono anche schermate con un ulteriore pannello che oscura tutto”.

 

Con la morte di Totò Riina, avvenuta venerdì 17 alle ore 3.37, si chiude un capito della mafia stragista e sanguinaria, ma non è possibile però decretare la fine del fenomeno mafioso nella sua totalità poichè in questi anni ha assunto nuove forme, ramificandosi sempre di più in diversi settori.. Totò “U curtu” verrà sepolto a Corleone, dove ebbe inizio la sua carriera criminale, quando ancora era un ragazzino; nello stesso cimitero comunale è sepolto anche il suo amico di sempre e boss Bernardo Provenzano, Michele Navarra, Luciano Liggio e vi sono anche i resti del sindacalista Placido Rizzotto, ucciso da Liggio del 1948. Tante sono state le reazioni che hanno accompagnato la notizia della morte di Totò Riina e da più fronti: la figlia Maria Concetta, per esempio, ha postato sul suo profilo facebook una rosa nera e una mano con scritto “shhh…”, successivamente ha precisato che “La foto sfondo del mio profilo Fb non vuole affatto essere un messaggio mafioso dove si intima il silenzio , bensì la richiesta di rispettare questo mio personale momento di dolore”.


Numerosi i messaggi di cordoglio che si susseguono sul suo profilo ma anche in pagine dedicate al boss di cosa nostra, con manifestazioni esplicite di dispiacere che fanno accapponare la pelle in una società democratica che contrasta la mafia in tutti i modi. “Ho dei figli minori, non ho niente da dire. Vi denuncio” ha detto Maria Concetta ai giornalisti che si sono recati nella sezione di Medicina Legale dell’ospedale di Parma, dove è stata effettuata l’autopsia. Ma è impossibile contrastare l’onda mediatica legata al caso vista l’entità e la ferocia delle mattanze compiute da Riina e soci, nessuno può dimenticare le vittime innocenti e cancellare quanto accaduto. Ad Ercolano (Napoli) è apparso un manifesto che da l’annuncio della morte di Riina e che recita: “E’ morto Salvatore Riina di anni 87, ne danno il lieto annuncio…” e seguono i nomi di 24 vittime di mafia.

 

La dottoressa Mary Petrillo, Psicologa, criminologa, Coordinatrice del Crime Analysts Team, Docente Master Univ. Niccolò Cusano ci ha dato il suo punto di vista in merito alla vicenda:
“Il giorno della morte del boss mafioso Salvatore, detto Totó, Riina, non mi son sentita di gioire per niente, forse altri avranno gioito della sua morte perché cosí non avrebbe piú potuto tenere sotto scacco qualcuno minacciando di parlare e di dire chissà quante altre cose su “cosa nostra” e su chi l’ha utilizzata; piuttosto ho ritenuto giusto commemorare tutte le persone morte a causa sua, ho ritenuto opportuno, poi, fare una riflessione sul fatto che  morto Riina la mafia però non é morta, anzi la mafia é già in trasformazione, sta già diventando “altro”. La mafia ora, a mio parere, ha un’altra prospettiva e tende a muoversi nel mondo economico e finanziario, la mafia, per usare un termine dal significato ben preciso e molto in uso oggi, direi che è”liquida”. Molti pensano che il nuovo “erede” di Riina sia il latitante Matteo Messina Denaro, ma, personalmente, a questa ipotesi poco ci credo, seppure egli si muove diversamente da Riina, piuttosto penso che molti giovani avvezzi anche al  mercato delle nuove tecnologie e qualcuno anche con buona istruzione, possano essere i ” nuovi perni” su cui gira l’affaire mafia”.

 

Chissà invece se qualcuno ha mai pensato e rispettato il dolore della mamma di Giuseppe Di Matteo, ucciso brutalmente  dalla mafia quando aveva soltanto 13 anni, nel tentativo di far tacere il padre Santino Di Matteo perché divenuto collaboratore di giustizia. Il suo rapimento avvenne ad Altofonte il 23 novembre 1993. Il piccolo venne strangolato e dissolto nell’acido l’11 gennaio del 1996, a seguito di una lunga prigionia durata 25 mesi e 779 giorni. Chissà se qualcuno ha mai rispettato la sofferenza che hanno provato i genitori di Giuseppe Letizia, giovane pastore e vittima di mafia ucciso all’età di 12 anni perché testimone scomodo dell’omicidio del sindacalista Placido Rizzotto. Il piccolo si trovava ad accudire il suo gregge nelle campagne corleonesi e il giorno seguente fu trovato dal padre in stato di shock. Fu portato all’Ospedale diretto da Michele Navarra e li, in preda a febbre alta, raccontò del delitto a cui aveva assistito. Gli fecero un’iniezione e morì, si ritiene che quella siringa contenesse del veleno. Chissà se qualcuno ha mai pensato ai genitori del piccolo Claudio Domino, ucciso dalla mafia a soli 11 anni. Suo padre era gestore del servizio di pulizia dell’aula bunker del maxiprocesso di Palermo. La sera del 7 ottobre del 1986 stava passeggiando in una via del quartiere San Lorenzo quando fu chiamato da un uomo che gli sparò in fronte un colpo di pistola che lo uccise sul colpo. Secondo il pentito Ferrante, il piccolo fu ucciso perché testimone involontario e quindi scomodo di scambi di stupefacenti tra spacciatori. Famiglie che hanno perso un proprio caro strappato brutalmente e ingiustamente alla vita, nel silenzio della notte e con il fragore di uno sparo. Nessuna di queste famiglie riceverà mai più una telefonata, un abbraccio o un sorriso da parte del proprio congiunto; ci saranno soltanto vedove che piangeranno mariti, madri che piangeranno figli morti ingiustamente e sepolti sotto metri di terra, sciolti nell’acido, uccisi con il veleno, sparati in fronte e svaniti nel nulla per mano di mafiosi senza scrupoli: chi ha rispettato il loro silenzio?

 

La dottoressa Rossana Putignano [Psicologa- Psicoterapeuta, Consulente di parte con il CRIME ANALYSTS TEAM in qualità di Responsabile della Divisione Sud e della Divisione di Diagnosi Neuropsicologica e Forense] in merito alla vicenda riferisce che: “Le interviste rilasciate in questi giorni nel paese del Capo dei Capi, Totó Riina hanno mosso in noi tanti malumori e ci si chiede come si fa a essere così omertosi, così ciechi davanti al passato criminale di quest’ uomo coinvolto in prima linea in tante stragi tra cui quelle che hanno determinato la morte di Falcone e Borsellino e tutti i ragazzi della loro scorta, padri, madri, figli e fratelli. Ci si chiede come sia possibile. Abbiamo sentito ” non lo conosco ” ” non so niente” ” era una brava persona” ” era un uomo d’onore” parole che ci fanno ribrezzo e che lasciano in noi tanta perplessità e timore che la mafia continui a esistere, alimentata proprio da questa subcultura. Perché di subcultura e tradizione si tratta, non di affiliazione o adesione al contesto criminale. C’ é però da fare un distinguo tra omertá e soggezione verso queste figure, aimé passate alla storia, perché così si sentiva Riina -stando alle intercettazioni- sentiva di essere entrato nella storia. Quello che piú dovrebbe scandalizzare, a mio avviso, non é la soggezione verso la figura del bos ma le parole vigliacche di chi dice di non conoscerlo e di non sapere niente. Personalmente, mi spaventa questa eccessiva tutela di sé, questa codardia di chi pensa di proteggersi ignorando l’ esistenza di questa gente, in una sola parola “omertá”. Ammettere invece che Totó Riina sia stato un uomo d’ onore, una brava persona non é peró racapricciante se pensiamo a quello che può rappresentare la presenza di un boss in un piccolo contesto paesano come Corleone: molte di queste persone si sentono protette e sanno a chi rivolgersi in caso di bisogno, i boss sono persone altamente religiose (anche se hanno una visione distorta della religione) pregano la Madonna e tutti i santi e sono sempre disponibili verso il prossimo. Oltretutto questa storia é vecchia come il cucco: a fine 800 inizio 900 esistevano i picciotti, oggi diventati ‘ndrangheta, che prestavano soldi in usura e si rendevano disponibili nel risolvere i problemi dei latifondisti quando questi erano in difficoltà, magari erano i diretti responsabili delle stesse, tuttavia costituivano una figura tranquillizzante per chi subiva dei furti ed erano garanzia che parte della refurtiva sarebbe stata in qualche modo recuperata. Nel tempo queste figure hanno acquisito potere, importanza e oggi sono indispensabili a certi uomini di potere per il cosiddetto voto di scambio. Finché c’é aristocrazia c’ é mafia se non una sovrapposizione delle stesse ma quello che alimenta questo sistema é sicuramente é il servilismo di chi si dimena al bar per offrire il caffè al bos- ricordando un esempio di Gratteri, Procuratore Capo di Catanzaro in una sua recente intervista- di cui si potrebbe fare a meno e la cecitá di chi “ignora” volontariamente l’ esistenza di queste realtá. Omertá e servilismo sono due facce della stessa medaglia dell’ uomo che continua ad avere paura. Forse bisognerebbe sconfiggere la nostra paura, prima che la mafia”.

 

I familiari delle vittime di mafia hanno risposto alla notizia della morte del capo dei capi; Rita Dalla Chiesa, giornalista e conduttrice tv, figlia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia il 3 settembre 1982, ha scritto sulla sua pagina facebook “La sua morte è arrivata a 87anni mentre gli uomini dello Stato che ha ucciso erano tutti uomini che nella loro vita non hanno potuto proseguire nei loro affetti, nei loro interessi, nello stare vicini a mogli, figli e nipoti”. Rosario Terranova, famoso attore e nipote del magistrato Cesare Terranova, ucciso dalla mafia il 25 settembre 1979 ha scritto sul suo profilo facebook il seguente messaggio: “Dovrei esultare che è morto? pubblicare una sua foto? cosa cambia Zio Cesare, nulla, io voglio pubblicare la tua di foto, il tuo sorriso e come sei stato ridotto. Lui va via e porta con se tutto, tutti i segreti, che tali rimarranno per sempre, nomi e mandanti. Ha vissuto, brindato alle morti, comandato e rimasto tale sino all’ultimo, come una persona normale il suo corpo è invecchiato e se n’è andato con la famiglia al capezzale. Onore a Te, Zio Cesare”.

 

Rosario Terranova ha deciso di rilasciarci un’intervista in esclusiva, raccontandoci le sue emozioni e i suoi sentimenti legati a questo momento: “finisce un’epoca, finisce un’era ma lui si porta tutto quello che sapeva e che sa. Quello che ti posso dire è che nulla toglie quello che lui è stato, che è indescrivibile, indefinibile, non si può neanche raccontare facendo un film o una fiction realmente quelle che sono state queste persone. Sicuramente non provo né pena né pietà né tantomeno esulto. Io nel mio piccolo, nel 79, quando è stato ucciso zio Cesare avevo quattro anni, ma sono delle cose che non ti togli mai dalla mente. Sono sempre cresciuto nei discorsi della famiglia, di mio nonno Rosario, mi raccontava di lui. Sono delle ferite che non rimargini mai, che poi nel tempo, negli anni si sono sempre più riaperte con Falcone, con Borsellino. Da palermitano è difficile che non conosci le persone o dei poliziotti che hanno perso la vita. Molti mi hanno criticato perché ho postato la foto del sorriso di zio Cesare e sia la foto trucidato dentro l’auto, ma è una cosa che ho voluto fare perché comunque si continua a parlare che Riina è un uomo, che Riina è morto, ma c’è chi ha pianto su un corpo. Comunque lui è invecchiato, lui è morto da uomo, c’è chi piange una bara dove all’interno c’è quello che resta di un uomo”.

 

Angelo Barraco

 

Il dottor Giuseppe Ayala parla di “Strane coincidenze”




Palermo, ricorrenza strage di Capaci: la gente grida ancora "La mafia è una montagna di merda"

 

GALLERY IN FONDO ALL'ARTICOLO

 

 

di Paolino Canzoneri – Angelo Barraco

 

PALERMO – Il primo quarto di secolo è trascorso da quel terribile 23 maggio del 1992 quando la mafia per eliminare il giudice Giovanni Falcone mise in atto un piano diabolico facendo saltare in aria un breve tratto dell'autostrada a pochi chilometri dall'aeroporto che conduceva fino a Palermo. Nella terribile deflagrazione le vetture dove viaggiavano Falcone, la moglie e la scorta furono divelte e spazzate via uccidendo tutti tranne l'autista della vettura di Falcone. 25 anni possono sembrare tanti ma in realtà, nel corso lungo del tempo, sono davvero pochi. Lo Stato italiano ha voluto organizzare una commemorazione particolare, sentita profondamente e fuori forse da retorica e dagli schemi precedenti. La figura del giudice Falcone questa volta è stata ricordata e celebrata insime a quella del suo amico e collega Paolo Borsellino il cui destino crudele e spietato avrebbe atteso poco meno di due mesi dopo a via D'amelio con una auto bomba che anche in questo caso costò la vita al giudice e alla scorta intera. Il cancro della mafia aveva mostrato il lato più becero eliminando due servitori dello Stato fra i piu importanti che rappresentavano la forza più efficace contro lo strapotere mafioso. Un sacrificio che comunque ha confermato e rafforzato la forza e lo sdegno dei cittadini palermitani che all'unisono oggi, a distanza di soli 25 anni, a gran voce urlano "la mafia è una montagna di merda".
 
I preparativi per l'evento hanno visto coinvolgere un gran numero di forze dell'ordine e la commemorazione di Falcone e Borsellino è stata trasmessa dalla TV di Stato con collegamentI da tutti i punti cruciali divenuti storici per questo paese. Dal Palazzo di Giustizia di Palermo si è mosso un imponente corteo costituito da gente comune e da tante associazioni, delegazioni provenienti dalla capitale e ragazzi di tanti Istituti scolastici che hanno raggiunto l'albero Falcone accanto l'entrata del portone dove abitava il giudice. In un palchetto adibito per l'evento gruppi di delegazioni di bambini hanno intrattenuto il flusso di gente che man mano si addensava con canti e giochi. Una mezzora prima del minuto di raccoglimento delle 17:58, orario preciso della deflagrazione del tratto autostradale. Artisti come Ermal Meta e Giuliano Sangiorgi hanno cantato un paio di brani. La presenza forte dello Stato è stata confermata dalla importante e illustre presenza del Presidente del Senato Piero Grasso che prima di assumere la carica istituzionale è stato fra i principali protagonisti in trincea contro la mafia accanto ai giudici Falcone e Borsellino e a tutto il pool antimafia ed essere uno dei principali giudici protagonsti del Maxi Processo che il 30 gennaio decretò 19 ergastoli e 2265 di anni di reclusione per poco meno di 500 imputati tra capimafia e affiliati. Il Presidente Grasso nel minuto di silenzio ha letto i nomi delle vittime con gli occhi umidi di commozione. Palermo è scesa in strada per gridare a gran voce "NO" alla Mafia e oggi, quel silenzio omertoso che vent'anni fa disseminava  morti in ogni angolo di strada, sembra lontano poichè la città ha alzato la testa, trovando  nuova luce che si riflette negli occhi di una generazione che ha raccolto i semi piantati da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tutti quegli Uomini che attraverso il sacrificio concreto per la lotta alla mafia hanno cercato di estirpare da questa terra delle radici che avrebbero potuto violare l'integrità di un popolo che ha sempre portato in auge i propri valori etici e morali. In serata è continuata la manifestazione con un collegamento in diretta di Fabio Fazio e Pif in Via D'Amelio, con un palco allestito per l'occasione. Un messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarela, inoltre vi era il Presidente del Senato Piero Grasso. Altre presenze illustri che hanno voluto rendere omaggio a Giovanni Falcone e ai caduti di Capaci: Roberto Saviano, Don Luigi Ciotti, Beppe Fiorello, Nicola Piovani, Carmen Consoli, Pierfrancesco Favino, Michele Placido, Fiorella Mannoia, Luca Zingaretti, Isabella Ragonese.  
 
"La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine" disse Giovanni Falcone. Una frase che risuona continuamente nella mente degli italiani, un eco senza interruzione che all'indomani di quelle stragi che hanno spaccato in due l'ormai tristemente famosa autostrada situata all'altezza di Capaci o all'indomani della strage di Via D'Amelio. Un pensiero di speranza e di crescita culturale innestato nella mente di un popolo che ha sempre rifiutato ogni forma di principio attacco alla costituzione. Oggi più che mai vi è la necessità di concretezza dinanzi al sacrificio e ad eventuali barlumi che lascerebbero presagire eventuali nuove guerre di mafia. Palermo è cambiata, certamente, i cittadini hanno preso coscienza del sacrificio dei suoi eroi, morti per difendere una terra martoriata da usurpatori senza scrupoli, ma quanto accaduto alla vigilia dell'anniversario dei 25 anni della strage di Capaci ha fatto catapultare indietro di venti o trent'anni la memoria storica di chi ha vissuto la terribile guerra di mafia. Stiamo parlando dell'omicidio di Giuseppe Dainotti, un uomo di 67 anni ucciso alla vigilia dei festeggiamenti per il 25esimo anno dell'anniversario della Strage di Capaci. L'uomo ha trascorso 25 anni in carcere per omicidio, traffico di droga e rapina  e sarebbe stato ucciso nel quartiere Zisa da due killer in moto che gli avrebbero sparato in testa.