FERGUSON: FOLLA INFEROCITA CON LA POLIZIA. GRANE PER BARACK OBAMA

 

di Cinzia Marchegiani

Ferguson – Un’America spaccata da uno scandalo inquietante che ancora non si placa. A Ferguson, sono stati feriti due poliziotti, il vice capo della polizia di Ferguson tenente colonnello Al Eickhoff ha confermato che l'incidente è accaduto intorno a mezzanotte di mercoledì scorso. Gli ufficiali sono stati portati in un ospedale vicino a Ferguson, Missouri. Uno degli ufficiali è stato colpito alla fronte e l'altro è stato colpito alla spalla.

Un episodio che nasce da una situazione non affrontata nel modo migliore in questa città dove le tensioni fra le forze dell’ordine e i cittadini hanno preso una piega purtroppo irreversibile. La notte del’11 marzo 2015, circa 1.500 persone sono scese in strada davanti al dipartimento stesso della polizia per protestare contro l’uccisione di Tony Robinson, un ragazzo di 19 anni afro-americano, ucciso venerdì 6 marzo 2015 nel corso di un confronto con un agente di Polizia. La manifestazione si è svolta a seguito delle dimissioni di Thomas Jackson capo della polizia di Ferguson, che diventa il sesto funzionario costretto a dimettersi dopo che un rapporto del Dipartimento di Giustizia americano ha criticato Dipartimento di Polizia di Ferguson per pregiudizi razziali e corruzione della città la scorsa settimana. Inoltre la morte avvenuta dell’adolescente disarmato Michael Brown sotto il tiro della polizia Darren Wilson nel mese di agosto 2014 e la decisione di una grande giuria di non incriminare l'ufficiale nel novembre 2014 ha di fatto suscitato proteste a livello nazionale.

L'incidente ha prodotto anche un rapporto pubblicato dal Dipartimento di Giustizia, secondo cui la polizia di Ferguson ha creato paura e risentimento tra i residenti afro-americani, con multe, biglietti e forza eccessiva.
Secondo le prime analisi della sparatoria, i colpi che hanno ferito i due agenti di polizia, sono stati sparati da una casa su una collina di fronte alla stazione di polizia. 




LA PAROLA DI OBAMA: NON INTERVERREMO MILITARMENTE IN IRAQ

di Daniele Rizzo

Di fronte al degenerare della situazione irachena il presidente americano Barack Obama sembra aver ritrovato quell’aplomb che lo aveva contraddistinto nei primi anni del suo mandato e che nel 2009 lo ha portato a ricevere il premio Nobel per la Pace: “Le forze USA non torneranno a combattere in Iraq”, ha sentenziato il presidente americano in diretta tv, mettendo difatti fine a tutta una serie di speculazioni che vedevano imminente l’invio di contingenti militari nel paese asiatico. Al momento sono 275 i marine inviati sul luogo per proteggere l’ambasciata americana di Baghdad dall’avanzata dell’ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante). Le milizie sunnite stanno infatti mettendo a ferro e fuoco il nord del paese, e tutto lascia pensare che l’offensiva si espanda presto in tutto l’Iraq, portando attentati, sangue e rappresaglie in un territorio che oramai da più di dieci anni è straziato dai conflitti.

Obama ha annunciato che oltre ai marine già sul luogo verranno inviati anche 300 consiglieri militari con il compito di consigliare politicamente il governo iracheno e mediare laddove possibile con le forze ostili. Il presidente ha chiarito che è inutile mandare sul luogo migliaia di truppe perché non avrebbero la capacità di risolvere il problema. I leader iracheni dovranno perciò cercare una soluzione politica al problema; in quest’ottica in un’intervista di sabato scorso alla Cnn Obama ha auspicato la creazione di una struttura di comando del paese che includa tutte le parti in causa, e quindi sunniti, sciiti e curdi; solo in questo modo sarà possibile un’alternativa alla soluzione militare che comunque non ci sarà.

Intanto continua la lotta per le raffinerie del paese, che non solo rappresentano il “luogo” economico più importante, ma garantiscono ai miliziani la possibilità di mettere in croce il governo e la sua economia; occupare le raffinerie significherebbe costringere il governo a mediare. E forse è per questo motivo che notizie contrastanti si inseguono a riguardo, con i miliziani che annunciano le occupazioni e il governo che garantisce di aver resistito e cacciato i membri dell’ISIS.
La situazione appare dunque confusa ed è certo che la partita si giocherà tanto sulle forze fisiche quanto sui nervi; ciò che al momento sembra chiaro è che gli USA non interverranno, sebbene l’invio dei consiglieri militari lasci qualche dubbio a chi, facendo riferimento alla storia, ricorda come questo solitamente sia il campanello d’allarme di un imminente invasione militare.