E SE DOPO LA TURCHIA L’ISIS COLPISSE IN ITALIA?

di Roberto Ragone
L’attentato terroristico dell’Isis a Istanbul, all’aeroporto Attaturk, un hub fondamentale per qualsiasi itinerario in Europa e nel mondo, ha scioccato tutto il mondo civile, con i suoi 36 morti, o più, e centinaia di feriti. Abbiamo anche potuto seguire in diretta la neutralizzazione di uno dei kamikaze, il quale si è fatto saltare davanti ad una telecamera di sorveglianza. In Italia guardiamo questi avvenimenti come se appartenessero ad un altro pianeta, ma purtroppo non è così. Il nostro aeroporto principale è a Roma, e si chiama Leonardo Da Vinci, a Fiumicino. Tante volte abbiamo sentito profferire minacce nei nostri confronti; tante volte abbiamo sentito terroristi che promettevano attentati sanguinari da mettere in atto nella sede della cristianità cattolica. Finora non è successo ancora nulla, e i nostri Servizi sono sempre riusciti a bloccare eventuali malintenzionati prima che potessero mettere in atto ciò che avevano progettato. Così non è successo ad Istanbul. Ricordiamo i tempi in cui il nemico erano i terroristi palestinesi, e ricordiamo la strage che venne effettuata al banco della El Al, fronteggiata da agenti israeliani oltre che dai nostri. Purtroppo, nonostante l’uccisione dei terroristi, anche lì i morti furono numerosi. Oggi ci troviamo ad affrontare un nemico diverso, ma molto più pericoloso. Questi nuovi fanatici sono pronti al martirio, anzi, del martirio fanno il loro scopo, purchè accada uccidendo il maggior numero di ‘infedeli’. Cioè di tutti coloro che non sono islamici integralisti, in pratica tutto l’Occidente e non solo.

Ma se succedesse da noi, per esempio proprio nel nostro aeroporto più importante, come reagirebbero le nostre forze dell’ordine? Sarebbero adeguati e preparati ad affrontare la minaccia di uno o più ‘lupi solitari’ carichi di esplosivo? In particolare, la Polizia di Stato come è stata addestrata per questa eventualità? E’ stato messo in atto un addestramento specifico, o le cose stanno ancora come due anni fa, quando Gianni Tonelli ed altri intrapresero uno sciopero della fame interminabile al fine di ottenere un giusto adeguamento della Polizia di Stato? Lo abbiamo voluto chiedere proprio a lui, a Gianni Tonelli, Segretario Generale del Sindacato Autonomo di Polizia, una persona che dell’efficienza della Polizia ha fatto la sua ragione di vita.

Dottor Tonelli, secondo lei, se a Fiumicino fosse avvenuto ciò che si è verificato ad Istanbul, saremmo stati pronti a fronteggiare un attacco come quello?
Purtroppo la carenza delle forze dell’ordine ha creato un problema. In questo momento gli aeroporti sono punti sensibili, ma io penso che avremmo fatto abbastanza bene anche noi. Il problema è il controllo del territorio, non soltanto l’aeroporto. Lo abbiamo visto in Francia e in Belgio, la strategia dell’Isis è quella di colpire dove ci sono grandi concentrazioni di persone, e molte volte non sono punti strategici sotto il profilo logistico, e neanche  simbolici, possono essere locali, teatri o altro. E’ quello che ci deve preoccupare. Io penso che a Fiumicino saremmo stati senz’altro adeguati, ma il problema non è Fiumicino.

Visto che l’Isis parla sempre anche di Roma, lei pensa che possano colpire anche da noi?
La possibilità c’è,  lo hanno riconosciuto non solo tutti gli analisti, ma anche gli organismi competenti , e non bisogna assolutamente abbassare la guardia, perchè, anzi, in un momento in cui  l’Isis comincia a sentirsi alle corde sui campi di battaglia, questo potrebbe modificare la sua strategia e spingerlo ad una maggiore attività terroristica, anche perché molte volte questi sono quei cani sciolti, quei foreign fighters che partono, rientrano, vanno e vengono; persone che agiscono autonomamente, perché il messaggio che viene lanciato è sempre quello di colpire, e quindi è chiaro che soggetti autonomi,  non organizzati, raccolgono messaggi contenuti nei  proclami che sono veri e propri  inviti ad agire. Quindi il pericolo c’è.

Lei pensa che i nostri Servizi Segreti siano abbastanza efficienti, visto che fino ad oggi sono riusciti a prevenire ogni azione?
I Servizi, certamente io confido che siano efficienti. Il problema però non riguarda i Servizi. Come abbiamo visto in Francia e in tutti gli altri Paesi, dalla Spagna, all’Inghilterra, al Belgio, non è un problema solo di Intelligence. Una parte può essere coperta dall’Intelligence, ma almeno un altro cinquanta per cento dev’essere coperta da un apparato che dev’essere in grado di affrontare ciò che sfugge all’Intelligence, perché è impossibile che l’Intelligence possa coprire tutto. Lo vediamo tranquillamente con gli sbarchi. Quando qualche anno fa noi lanciavamo questo allarme venivamo additati come coloro che strumentalmente avanzavano delle ipotesi surreali, ossia il fatto che gli sbarchi potessero essere un canale per l’ingresso dei terroristi. Poi alla fine l’hanno dovuto riconoscere tutti, dalle agenzie internazionali, dalla CIA in giù, anche le nostre autorità, come è normale e naturale che sia, non si tratta di essere strumentali. Bisogna stare molto attenti e quel 50% dev’essere affidato alla capacità di reazione degli apparati. Se gli apparati non sono all’altezza perché non sono armati, non sono addestrati, non sono equipaggiati in maniera adeguata e si continua a tagliare sulla sicurezza, diventa un problema. Il problema c’è, eccome se c’è! Il problema c’è nella stessa misura di quando sei mesi fa facevamo tutte le nostre denunce. Oramai è scritto nella roccia. Speriamo che di quelle denunce nessuno si debba assumere la responsabilità.

Quindi esiste sempre la necessità di un Corso Anti Terrorismo, come lei ha scritto nel 2014 al Presidente del Consiglio?
Sì, c’è la necessità di fare questo corso antiterrorismo, cosa che ancora non è stata fatta, lo ribadisco. Nessuno ancora ha mai sparato su bersagli in movimento,  i corsi, invece di durare un anno,  durano tre mesi o meno addirittura, e quindi la formazione è carente, si taglia su tutto, sulle risorse, e quindi il problema c’è. A tutt’oggi a maggior ragione, come ho detto prima, perché  prima l’Isis era soddisfatta dai successi sui campi di battaglia, e lo Stato Islamico si affermava anche territorialmente;  ma nel momento in cui incomincia ad essere in difficoltà, a perdere terreno militarmente, allora quello è il momento in cui la sfida terroristica diventa molto più concreta e pericolosa per tutti noi.