L’USO DELLE ARMI E… I PERSONAGGI “SINISTRI”

di Roberto Ragone

Quando l’uso delle armi si configura in “legittima difesa?” L’art. 52 del C.P. lo dice chiaramente; peccato poi che parli di "proporzionalità" della difesa nei confronti dell’offesa. Un testo più consono ai tempi in cui – senza nostra responsabilità, aggrediti da una delinquenza nuova e più spietata del solito  –  stiamo vivendo  è allo studio dal 2002, affidato alle cure del giudice Nordio, ma le resistenze di una certa parte politica non lo hanno mai consentito.

Come sempre da una certa parte politica provengono tutte le iniziative volte a disarmare il privato cittadino, anche se semplice appassionato oplofilo, o cacciatore, o tiratore sportivo, o anche ricercatore, studioso, come il prof. Andrea Bonzani, persona degnissima e autore di numerosi libri sulla ricarica. Insomma, alla sinistra le armi proprio non vanno giù, tanto che negli anni ’50 cercarono addirittura di far approvare una legge che disarmasse coloro che per istituzione sono preposti al porto e all’uso di esse per la nostra sicurezza, cioè la Polizia. 

Esiste un’iniziativa firmata EU che prevede la confisca di tutte le armi lunghe classificate B7, cioè in pratica le versioni civili delle armi d’assalto militari, compreso il nostro Beretta AR70/90/223 con funzionamento semiautomatico, cioè senza selettore per il tiro a raffica; il pretesto per queste confische –  illegittime in quanto toccano un oggetto di proprietà privata – si configura nella favoletta che di esse armi lunghe fruirebbero i terroristi islamici – e non solo loro. Senza calcolare che ogni buon collezionista che tiene ai suoi "pezzi" dispone di una cassaforte o armadio blindato – per legge – e quindi il furto è quanto meno difficile da portare a compimento. Sappiamo invece, ed è sotto gli occhi di tutti, che l’approvvigionamento di armi clandestine avviene attraverso ben altri canali, conosciuti e intoccabili, perché riguardano stati membri e servizi segreti; oltre che grossi mercanti d’armi ben noti a chi devono esserlo. Un collezionista non disporrà mai di un AK47 con decine di caricatori e migliaia di cartucce, né di altro materiale bellico prettamente militare. La verità è che le armi – dalla fionda in su – fanno venire l’orticaria ad alcuni personaggi "sinistri", e non si sa per quale motivo.

È imminente un ritocco all’autorizzazione per la  collezione di armi comuni da sparo, con una drastica riduzione del numero di esse, sia corte che lunghe. In questo quadro si configura l’idiosincrasia di alcuni giudici nei confronti di chi, come Franco Birolo, il tabaccaio di Civè di Correzzola (PD), viene tirato per i capelli all’uso della sua pistola per difendere la propria incolumità e il futuro della sua famiglia. A freddo, dietro uno scranno di tribunale, può sembrare tutto illecito: il possesso di un’arma, il porto – Birolo aveva subito altre rapine – l’uso, la morte di un ladro ventenne – o poco più. Peccato che chi giudica non ha un’esperienza specifica, in pratica non ha mai subito un’aggressione, una rapina, una minaccia alla vita sua e dei suoi cari. Ma l’Italia, si sa, è un Paese speciale, come sbandiera a destra e a manca il nostro Presidente del Consiglio, e queste cose rien
trano nella nostra "creatività". 

Due anni e otto mesi passano presto: ciò che rimane è l’amarezza di aver spento una vita – comunque – e la macchia sociale, oltre che penale. Bisogna poi riparare il danno fatto al negozio, e sono fior di quattrini, oltre a risarcire i parenti della vittima – duecentomila euro alla madre, centoventicinquemila alla sorella, e meno male che non aveva moglie, figli e nipoti…  Subire un reato, passare dalla ragione al torto, subire oltretutto tutte le conseguenze di quei momenti, non è piacevole. C’è chi c’è morto, Ermes Mattielli, il robivecchi condannato in sede penale e civile per aver sparato ad uno di quei ladri rom che da tempo lo depredavano, portandogli via quelk po’che gli serviva – lui, vecchio, solo e invalido – alla sopravvivenza, e che raccoglieva certamente con fatica. Ermes è morto d’infarto, dopo aver saputo che per pagare i ladri avrebbe dovuto vendere la sua proprietà. Siamo una nazione civile? Non mi sembra. Il giudizio è stato emesso con senso comune? Non pare. Guardandola in prospettiva, questa sentenza vi sembra  equa? A me no. E di Ermes Mattielli ce ne sono tanti, come anche di Franco Birolo; di persone per bene aggredite di notte nelle proprie ville solo perché mostravano di possedere qualcosa; con i banditi che chiedevano "la cassaforte", oggetto notoriamente diffuso in tutte le case italiane perché siamo tutti ricchi; con sevizie e violenze di ogni tipo, cose che le donne hanno avuto vergogna a denunciare, tanto… 

Ricordo che tanti anni fa, quando abitavo ancora a Bari, il Tribunale mandò assolto un piccolo delinquente che aveva ucciso una persona con la sua piccola 6,35 che aveva in tasca, mentre l’altro, più prestante, lo aveva cinturato e lo stringeva. Gli fu riconosciuta la legittima difesa, nonostante l’altro fosse disarmato. Nel caso di Birolo, la difesa  di un singolo contro più persone, come si dovrebbe configurare, specialmente quando si viene aggrediti con il lancio di un pesante
registratore di cassa?

E poi, diciamo anche questo: tutti i bersagli dei rapinatori sono imprenditori, grandi o piccoli. Dai tabaccai ai farmacisti, ai tassisti, ai commercianti in preziosi, ai capi di piccole industrie. Cioè il tessuto sociale più delicato, quello che porta avanti l’economia della nazione, quello che può far crescere il tanto decantato PIL, che non cresce certo per decreto, né per decreto nascono posti di lavoro. E lo Stato cosa fa? Li mette in condizioni di non potersi difendere, di dover subire qualunque angheria, perché la vita di un ladro che ha scambiato – come tanti suoi colleghi – l’Italia per terra di saccheggio, ha deciso di togliergli la linfa vitale, quel capitale che è indispensabile per l’attività, per la famiglia, per la vita sua e dei suoi dipendenti – ove ce ne siano.

Chi difende, come Birolo, le stecche di sigarette nel suo negozio, non sta difendendo soltanto qualche centinaio di pacchetti, ma la possibilità di andare avanti, di realizzare un – piccolo – guadagno che gli servirà per la famiglia e per la continuazione dell’attività. In quest’ottica va vista la reazione di chiunque si armi per difendere ciò che è legittimamente suo, la parte sana della nostra società; quella che paga le tasse ad uno Stato che lo tartassa fiscalmente, che magari per un cavillo gli fa arrivare una cartella di Equitalia, e dal quale non ottiene neanche una giusta tutela; uno Stato forte con i deboli e debole con i forti; uno Stato moroso quando deve pagare e perentorio quando deve ricevere. Il risarcimento di 325 mila euro, poi, è la ciliegina sulla torta.  In attesa della tanto decantata modifica all’art. 52, auguriamoci che le cose cambino, che le sentenze siano più aderenti allo spirito delle leggi e meno alla lettera, e che la discrezionalità dei giudici sia esercitata non sempre pro reo, ma che tenga conto di fattori umani e di senso comune – o di buon senso. E che i giudici non stabiliscano risarcimenti per i ladri e le loro famiglie, ciò che suona proprio come un insulto alle persone oneste.