Anguillara Sabazia, Comune condannato dal Tar Lazio: ancora atti sbagliati da parte dell’ex Ufficio Tecnico

ANGUILLARA SABAZIA – Il Comune di Anguillara Sabazia è stato condannato dal Tribunale Amministrativo del Lazio a pagare la somma di 2500 euro ad un cittadino che nel 2017 aveva comunicato la SCIA per ristrutturare un edificio di sua proprietà per poi vedersi archiviare nel 2018 la pratica dall’Ufficio Tecnico comunale, allora diretto dall’architetto Egidio Santamaria.

L’ennesimo atto sbagliato da parte della precedente amministrazione pentastellata contro il quale il cittadino è ricorso al TAR Lazio che ora gli ha dato ragione.

Il Fatto

Il ricorrente, avvalendosi della legge della Regione Lazio n. 7 del 2017, ha comunicato al Comune di Anguillara Sabazia in data 18 dicembre 2017 SCIA, al fine di ristrutturare un edificio di sua proprietà sito in via Fratelli De Santis n. 4.

I lavori, in particolare, sono consistiti nella chiusura di un portico interno alla sagoma, con incremento volumetrico di circa il 20%.

Detto incremento sarebbe consentito dall’art. 6 della legge regionale citata, secondo il quale, per finalità di rigenerazione urbana e recupero edilizio, come indicate nell’art. 1, “sono sempre consentiti interventi di ristrutturazione edilizia o interventi di demolizione e ricostruzione con incremento fino a un massimo del 20% della volumetria”.

Con atto del 22 febbraio 2018 (seguito da atto confermativo del 27 marzo 2018), il Comune ha ordinato la “archiviazione” della pratica, reputando che l’intervento fosse difforme dalla normativa vigente. L’incremento volumetrico previsto dalla legge, infatti, sarebbe da intendersi riferito alla sola attività di demolizione e ricostruzione, e non alle altre forme di ristrutturazione edilizia.

Tali atti sono stati impugnati con il ricorso principale

I motivi sono i seguenti: violazione di legge, per avere provveduto oltre il termine di 30 giorni concesso alla P.A (primo motivo); difetto di motivazione (secondo motivo); violazione di legge, perché la legge regionale permetterebbe aumenti volumetrici per ogni caso di ristrutturazione (terzo motivo); eccesso di potere, per lesione dell’affidamento (quarto motivo).

Nelle more del giudizio, con atto del 29 gennaio 2019, il Comune ha annullato in autotutela gli effetti della SCIA, sulla base del solo presupposto di contrarietà alla legge regionale.

Tale provvedimento è stato impugnato con motivi aggiunti

Essi sono i seguenti: violazione di legge, per avere esercitato il potere di autotutela in difetto dei presupposti legali, per carenze della comunicazione di avvio del procedimento, e per non avere valutato le osservazioni svolte in tale sede dal ricorrente (primo motivo); violazione di legge per difetto di motivazione (secondo motivo); violazione della legge regionale n. 7 del 2017, come già dedotta con il ricorso principale (terzo motivo);
Infine, il Comune ha ordinato la demolizione della chiusura del portico, in quanto opera priva di titolo abilitativo con un primo atto (ordinanza n. 40 del 2019), poi rettificato da un secondo (ordinanza n. 54 del 2019), quanto alla individuazione del progettista.
Tali ordinanze sono state censurate con un secondo ricorso per motivi aggiunti, che, dopo avere riproposto le censure già svolte per dedurne l’invalidità derivata delle ordinanze di demolizione, ha sviluppato autonome doglianze.
Esse sono le seguenti: violazione di legge ed eccesso di potere, per avere presupposto che l’intervento non si basasse su idoneo titolo abilitativo; per avere duplicato un unico provvedimento in due distinte ordinanze; per carenza nella motivazione; per omessa descrizione dell’illecito edilizio; per omessa individuazione dell’area da acquisire al patrimonio comunale, in caso di inottemperanza.

Diritto

I ricorsi sono fondati. Va brevemente ricordato che a fronte di SCIA in materia edilizia l’amministrazione dispone di una duplice possibilità di intervento.

Nei trenta giorni successivi alla segnalazione, può inibirne l’esecuzione.

Decorso tale termine, e maturato l’affidamento del dichiarante in ordine alla stabilità degli effetti del titolo, è consentito il solo esercizio del potere di annullamento in autotutela, che va esercitato nei termini e nelle forme indicati dall’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 (art. 19, comma 6 bis della legge n. 241 del 1990).

È pacifico che il ricorrente abbia comunicato la SCIA il 18 dicembre 2017, nè è contestato che essa fosse carente dei requisiti di efficacia previsti dalla legge.

Pertanto, il titolo abilitativo deve ritenersi formato definitivamente al trentesimo giorno successivo, con la conseguenza che, oltre tale data, il Comune non avrebbe più potuto inibire o reprimere i lavori.
Gli atti impugnati con il ricorso principale sono stati invece assunti a partire dal 22 febbraio 2018, e si espongono così alla censura di violazione di legge svolta con il primo motivo di ricorso (violazione dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 23 del T.U. dell’edilizia).

Disponendo, in verità con atipica formula, la “archiviazione” della SCIA, il Comune infatti ha evidentemente dichiarato privo di efficacia un titolo che si era già consolidato per decorso del termine, e che avrebbe potuto rimuovere soltanto in autotutela.

Tali atti vanno perciò annullati

Con il provvedimento del 29-31 gennaio 2019, infatti, il Comune ha proceduto ad esercitare il potere di annullamento in autotutela, rimuovendo gli effetti della SCIA.

Tale atto è motivato esclusivamente sulla base della contrarietà alla legge regionale n. 7 del 2017 dell’intervento eseguito, a causa di un aumento volumetrico che sarebbe consentito solo in caso di demolizione e ricostruzione, come confermato in sede di circolare interpretativa dalla stessa Regione Lazio.

È perciò fondato il primo motivo aggiunto ad esso dedicato (violazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990), nella parte in cui si lamenta che l’amministrazione non abbia operato alcuna valutazione dell’interesse pubblico alla rimozione degli effetti dell’atto, né abbia assunto in considerazione il grado di affidamento maturato in capo al ricorrente, tanto più a fronte di una questione in diritto così controversa da richiedere una circolare esplicativa.

Come è noto, “il potere di autotutela deve essere esercitato dall’Amministrazione competente entro un termine ragionevole e supportato dall’esternazione di un interesse pubblico, attuale e concreto, alla rimozione del titolo edilizio tanto più quando il privato, in ragione del tempo trascorso, ha riposto, con la realizzazione del progetto, un ragionevole affidamento sulla regolarità dell’autorizzazione edilizia; di conseguenza, nell’esternazione dell’interesse pubblico l’Amministrazione deve indicare non solo gli eventuali profili di illegittimità ma anche le concrete ragioni di pubblico interesse, diverse dal mero ripristino della legalità in ipotesi violata, che inducono a porre nel nulla provvedimenti che, pur se illegittimi, abbiano prodotto i loro effetti” (ex plurimis, CDS n. 6975 del 2019, in tema di SCIA).
Nel caso di specie, è stato rispettato il termine di 18 mesi ora stabilito dall’art. 21 nonies, ma è del tutto mancato un apprezzamento comparativo dell’interesse pubblico e privato, quanto alla rimozione o alla conservazione del titolo.

Ciò comporta l’annullamento dell’atto di autotutela impugnato con i primi motivi aggiunti.
Infine, sono viziate per invalidità derivata anche le ordinanze di demolizione censurate con i secondi motivi aggiunti, il cui presupposto è la carenza del titolo abilitativo ad eseguire l’intervento (non potendo più la SCIA, una volta annullata, valere come tale e sostituirsi al permesso di costruire).
È chiaro che una volta annullato il provvedimento di autotutela e accertata la formazione della SCIA, l’intervento risulta assentito.

Pertanto, anche le due ordinanze di demolizione vanno annullate.
Sono assorbiti tutti gli ulteriori motivi di ricorso, alla cui trattazione il ricorrente non ha più interesse, una volta consolidatosi definitivamente il titolo.

Le spese seguono la soccombenza, e si liquidano in euro 2500,00, oltre accessori di legge, a carico del Comune non costituito.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto.

Accoglie il ricorso principale ed entrambi i ricorsi per motivi aggiunti, ed annulla gli atti impugnati.
Condanna il Comune a rifondere le spese di lite, che liquida in euro 2500,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.




Anguillara Sabazia, incompetenze a 5 stelle: ex Responsabile area Tecnica condannato

L’architetto Santamaria è attualmente il responsabile dell’area Ambiente del Comune di Guidonia

ANGUILLARA SABAZIA (RM) – Condannato a pagare 8 mila euro di sanzione l’ex responsabile dell’area Tecnica del Comune di Anguillara Sabazia Egidio Santamaria.

La vicenda, che ha visto il Tribunale di Civitavecchia emettere il decreto penale di condanna nei confronti di Santamaria, riguarda l’installazione dei giochi sull’arenile di viale Reginaldo Belloni avvenuta nel 2018 durante l’amministrazione guidata dalla ex sindaca Sabrina Anselmo.

Una installazione autorizzata dall’area tecnica del Comune senza che l’Ente sovracomunale – Parco naturale regionale di Bracciano-Martignano – avesse mai ricevuto alcuna richiesta di autorizzazione.

Il decreto penale, convertito in multa, contesta dunque la posa in opera senza autorizzazione paesaggistica di scivolo, altalene altri giochi sull’arenile lungo viale Reginaldo Belloni, il lungolago vicino piazza del Molo.

Se fosse stata richiesta l’autorizzazione, prima di posizionarli, i residenti di Anguillara Sabazia non avrebbero subito i disagi durati oltre due anni.

Ora l’architetto Santamaria, che è attualmente il responsabile dell’area Ambiente del Comune di Guidonia, ha proposto opposizione verso il decreto penale. La vicenda andrà quindi dibattuta con l’iter processuale.