ALBANO LAZIALE, ALIMENTAZIONE E GRAVIDANZA: ECCO QUELLO CHE BISOGNA SAPERE

A cura della Dott.ssa Elisa De Filippi, Biologa Nutrizionista

Sono ormai numerose le ricerche scientifiche che dimostrano quanto siano realmente importanti le scelte alimentari della mamma in attesa per la vita futura del suo bambino. La dieta della mamma infatti può condizionare la regolazione dei geni nel nascituro, influenzandone la salute, attraverso meccanismi che gli scienziati chiamano modificazioni epigenetiche.
La gravidanza è un evento fisiologico unico nella vita di una donna: solo in questa speciale circostanza la salute di un individuo dipende così strettamente dalla salute di un altro. Un buono stato nutrizionale prima del concepimento e una corretta alimentazione durante la gravidanza sono condizioni essenziali per garantire anche la buona salute del bambino che nascerà e permettere alla neo-mamma di affrontare serenamente il periodo dell’allattamento al seno. Eccedere nell’alimentazione, credendo che i fabbisogni nutrizionali siano raddoppiati, in poche parole “mangiare per due”, rappresenta un errore: secondo tutti gli esperti, “una donna in gravidanza non deve mangiare per due, ma due volte meglio”.

Lo stato di gravidanza, naturalmente, richiede opportune modifiche qualitative e quantitative alla normale alimentazione. Innanzitutto anche il corpo della donna deve prepararsi a crescere una nuova vita, per questo motivo cambiano le funzioni gastro-intestinali: questi apparati subiscono profondi cambiamenti per fare spazio al bambino che cresce. La digestione è più difficile perché, settimana dopo settimana, l’utero si allarga e comprime il diaframma; le funzioni intestinali sono rallentate dall’azione del progesterone, l’ormone caratteristico della gravidanza, che ha la funzione di rilassare la muscolatura liscia. La sua azione, benefica per l’utero che non deve contrarsi prima del tempo, può essere causa di stitichezza, che colpisce una percentuale molto elevata di future mamme.

La domanda di tutte le mamme: quanti chili è giusto aumentare in gravidanza?
Solitamente pochi, dai 7 chili concessi a una futura mamma che ha iniziato la gravidanza in stato di obesità o forte sovrappeso, ad un massimo di 14 chili per una donna normopeso. L’aumento di peso, in genere, non è costante: i primi mesi è contenuto, poi cresce più rapidamente, soprattutto negli ultimi 2 mesi.

Come alimentarsi in pratica
Una donna in gravidanza, se non vi sono indicazioni particolari da parte del medico, è bene che consumi ad ogni pasto:
• Alimenti che contengono carboidrati complessi: primi piatti a base di pasta, riso, cereali oppure pane, meglio se integrali;
• Una porzione di proteine a scelta tra: pesce, legumi, tofu, tempeh, seitan, formaggio, uova, carne preferibilmente bianca;
• Almeno una porzione di verdure di qualsiasi tipo.
Invece è bene moderare sempre il consumo di:
• Frutta, non superando possibilmente i 300-400 g al giorno (l’equivalente più o meno di 2 grossi frutti);
• Zuccheri semplici, riducendo gli alimenti a elevato contenuto zuccherino (zucchero da tavola, miele, marmellata, gelatine di frutta, dolci, gelati, ghiaccioli, caramelle, bibite, succhi di frutta);
• Caffè e tè, a causa del loro contenuto di caffeina e teina.
Si raccomanda di preferire l’olio extravergine di oliva nei condimenti e di bere almeno 2 litri di acqua durante la giornata. In gravidanza è bene evitare di consumare vino, birra, aperitivi, liquori e superalcolici.

Esistono inoltre dei microelementi la cui assunzione è di fondamentale importanza durante l’intero periodo della gestazione. Ad esempio il calcio perché, insieme alla vitamina D, garantisce un corretto sviluppo osseo del nascituro e ormai sembra influenzare anche il successivo sviluppo osseo dopo la nascita. Le donne che non assumono un’adeguata quantità di calcio giornaliero (meno di 500 mg/al giorno anziché 1.000 mg/al giorno necessari in gravidanza) sono esposte a un maggior rischio di parto prematuro o di preeclampsia, chiamata comunemente gestosi: una patologia che si manifesta con un aumento repentino della pressione sanguigna associata a una concentrazione anomala di proteine nelle urine. Nei casi più gravi può provocare distacco della placenta, insufficienza renale acuta, edemi diffusi, emorragie e convulsioni. Non tutti sanno che il calcio è presente non solo nei latticini, ma anche in molti vegetali: è possibile scegliere ottime fonti alternative di questo minerale come la soia, che ne è particolarmente ricca, i ceci, i fagioli, le verdure a foglia verde e quelle della famiglia del cavolo, il pane ai cereali, la crusca di frumento, le mandorle, le noci, i pistacchi, i fichi secchi e le nocciole.
Anche lo iodio è fondamentale per il corretto sviluppo del feto: per questo si raccomanda una razione maggiore alle donne in gravidanza (dai 150 normali ai 220 microgrammi/al giorno). L’assunzione di iodio dipende dall’alimentazione: ne sono ricchi i pesci e i prodotti della pesca, la verdura e i cereali.
Come per il calcio e lo iodio, ugualmente nel caso del ferro è bene aumentarne il consumo per aiutare il feto a crescere sano e aumentare la produzione di globuli rossi nel sangue materno. Oltre ad essere presente negli alimenti proteici di origine animale, ne sono ricchi molti alimenti di origine vegetale, tra cui i legumi secchi (ceci, fave, fagioli, lenticchie), la frutta secca in guscio (mandorle, noci, pistacchi, etc.) e il cioccolato fondente. In più in letteratura è ormai dimostrato che la vitamina C aumenta di circa il 30% l’assorbimento del ferro: un piatto di spinaci condito con qualche goccia di limone è l’abbinamento perfetto per assimilarlo al meglio.
Una vitamina fondamentale in gravidanza è l’acido folico, cioè la forma sintetica della vitamina B9, il quale viene utilizzato dall'organismo per la riproduzione e la divisione cellulare. Per questa motivazione, viene consigliata un’integrazione di acido folico a partire almeno da un mese prima del concepimento. Una carenza di questo nutriente, infatti, aumenta il rischio di malformazioni neonatali, come ad esempio la formazione della spina bifida. L'acido folico è presente negli ortaggi a foglia verde, nei carciofi, nelle rape, nel lievito di birra, nei cereali (soprattutto integrali) nei legumi, nel tuorlo d'uovo, nel fegato, nei kiwi e nelle fragole: per assumerlo in maniera corretta è però necessario adottare alcune precauzioni. In generale i folati (si chiamano così tutti i composti che contengono vitamina B9 tra cui lo stesso acido folico) sono facilmente deperibili, perdendo in poco tempo il loro potere salutare: temono il calore, la luce, la cottura e la conservazione. Le verdure che li contengono, quindi, vanno consumate fresche e possibilmente crude o poco cotte.

Oltre ad assumere in modo adeguato sia macronutrienti che micronutrienti, la futura mamma deve adottare alcuni semplici accorgimenti per evitare di contrarre malattie trasmissibili con gli alimenti (toxoplasmosi, listeriosi, salmonellosi):
1. Lavarsi sempre le mani prima e dopo aver maneggiato il cibo; pulire gli utensili da cucina venuti a contatto con cibi crudi; cuocere bene carne e pesce e riscaldare bene gli avanzi del pasto prima di consumarli.
2. Conservare sempre gli alimenti in frigorifero dopo l’apertura, avendo cura di separare i cibi cotti da quelli crudi.
3. Evitare di consumare uova crude o poco cotte.
4. Non consumare salumi affettati crudi e salami freschi (salciccia).
5. Bere solo latte fresco pastorizzato o a lunga conservazione (UHT) e non consumare latte crudo o latticini prodotti con latte non pastorizzato. Evitare formaggi erborinati e a crosta fiorita (tipo gorgonzola, brie, etc.)

In conclusione, è bene ricordare che un aumento di peso eccessivo costituisce un fattore di rischio, non solo per la salute della madre, ma anche per quella del piccolo in arrivo. Inoltre l'incremento eccessivo di peso in gravidanza è difficilmente reversibile dopo il parto; non solo, quando si accumulano troppi chili nei canonici nove mesi aumenta il rischio di sviluppare obesità in un arco anche di venti anni. Si raccomanda un controllo regolare settimanale del peso durante la gravidanza e si sconsigliano assolutamente le diete fai-da-te, le quali possono esporre la mamma e il feto a carenze nutrizionali con il rischio di gravi e irreversibili danni.

Dott.ssa Elisa De Filippi
Biologa Nutrizionista

Tel 3204604812
Centro psicologia castelli romani, Albano laziale
www.centropsicologiacastelliromani.it
 




ALIMENTAZIONE: ECCO I PRODOTTI CHE NON BISOGNA MAI METTERE IN FRIGO

Redazione

E' convinzione, un po' di tutti', che il frigorifero sia il luogo dove il cibo duri più a lungo. In realtà – si legge sull''Indipendent'- ci sono degli alimenti che, a basse temperature, deperiscono prima, perdono sapore e consistenza, o semplicemente diventano neri.

Pomodori – Il frigorifero blocca la maturazione e 'uccide' il sapore. Secondo Mercola.com, popolare sito che si occupa di salute e benessere, la struttura chimica dei pomodori cambia se messi in frigo e si riduce la quantità di composti volatili, andando a colpire il sapore. Anche la consistenza e il colore di questo frutto sono sensibili alle basse temperature, rendendolo troppo morbido.

Banane – Se metti questo frutto in frigo quando è già maturo, lo aiuterai a 'resistere' due giorni in più. Ma se lo metti quando è ancora un po' verde e duro, non maturerà mai del tutto, neanche una volta tirato fuori. Le banane sono un frutto tropicale e non hanno alcuna difesa naturale contro il freddo nelle loro pareti cellulari, che vengono distrutte dalle temperature fredde, facendo sì che si perdano gli specifici enzimi digestivi e la buccia diventi completamente nera.

Pane – Il frigorifero per il pane è 'il male'. Mentre il congelamento blocca il processo che lo rende raffermo, in frigo questo processo si accelera. In pratica, con le temperature basse l'amido si cristallizza più rapidamente rispetto alla temperatura ambiente e il pane diventa stantio prima.

Patate – Devono essere riposte in un luogo fresco e asciutto, in un sacchetto di carta o in una retina, ma non in frigo dove il freddo può trasformare la fecola di patate in zucchero: ciò provocherà una perdita di colore e, una volta cotte, risulteranno più dolci.

Aglio e cipolla – Anche in questo caso è meglio conservarli in un luogo fresco e asciutto. Secondo la National Onion Association, solo in un caso la cipolla deve essere messa in frigo: se viene acquistata già sbucciata e tagliata o quando si cerca di prolungare la durata di una determinata varietà, quella dolce, ad alto contenuto di acqua. In frigorifero, come in un sacchetto di plastica, l'aglio rischia di ammuffire. Il modo migliore per conservarlo è tenerlo a temperatura ambiente in un luogo asciutto, buio, con una buona areazione per evitare che germogli.




ALIMENTAZIONE, VIBRIONI NEI CROSTACEI: QUELLA BRUTTA ABITUDINE DI MANGIARLI CRUDI

 

Una ricerca dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, in collaborazione con l’Università di Padova e l’Azienda ULSS 12 Veneziana avverte dei rischi per il consumatore, mangiarli crudi espone al rischio di contrarre i vibrioni (Vibrio cholerae, Vibrio parahaemolyticus e Vibrio vulnificus), agenti patogeni che possono causare nell’uomo acute gastroenteriti

 

di Cinzia Marchegiani

I prodotti della pesca sono un’importante fonte di approvvigionamento proteico per le popolazioni di tutto il mondo, ma spesso risultano essere responsabili di tossinfezioni alimentari per la presenza di tossine o microrganismi patogeni per l’uomo.Tra questi, alcuni vibrioni (Vibrio cholerae, Vibrio parahaemolyticus e Vibrio vulnificus) sono responsabili di episodi anche gravi che si verificano quando si consumano i prodotti ittici poco cotti o crudi, causando generalmente acute gastroenteriti.
Negli ultimi anni, anche lungo le coste italiane e, nello specifico, lungo le coste del Nord Adriatico, si è diffusa l’abitudine di consumare i crostacei crudi, soprattutto scampi e gamberetti.
Nonostante ci siano diverse segnalazioni che Vibrio spp. possa essere causa di malattia nei crostacei allevati, attualmente non esistono dati sulla loro diffusione nel prodotto finale, né tantomeno informazioni dettagliate sulla loro potenziale patogenicità per il consumatore.

Lo studio. Un gruppo di ricercatori Centro specialistico di ittiopatologia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, in collaborazione con l’Università di Padova e l’Azienda ULSS 12 Veneziana, ha indagato quali specie di Vibrio enteropatogene siano presenti nei crostacei maggiormente commercializzati nella Regione Veneto per stabilire il rischio di trasmissione di vibriosi tramite i crostacei consumati localmente.
Come punto di raccolta dei campioni è stato scelto il Mercato Ittico all’ingrosso di Venezia che, per la sua localizzazione e importanza commerciale, ha permesso di lavorare sulle matrici alimentari più diffusamente distribuite nel territorio del Nord Adriatico.
Nel periodo febbraio 2011 – luglio 2013, con il supporto del Servizio Veterinario dell’ULSS 12 Veneziana, sono stati raccolti 143 campioni dalle specie di crostacei maggiormente consumate in Veneto, quali: gamberetti (Palaemon spp.); gamberi grigi (Crangon crangon); cannocchie (Squilla mantis); scampi (Nephrops norvegicus); granchi (Carcinus aestuarii). Sono stati prelevati 143 campioni dal Mercato Ittico di Venezia, su cui si è studiata la relazione tra la presenza del patogeno e lo stato di conservazione del prodotto, la specie di crostaceo e il luogo del prelievo. Sono stati inclusi campioni da prodotti sia freschi (81) che congelati (62), in modo da valutare quanto il processo di congelamento possa influire sulla presenza della carica batterica e sull’eventuale rischio di vibriosi.

Patogeni e legami con la coservazione dei prodotti. Il gruppo di ricerca ha quindi studiato la relazione tra la presenza del patogeno con lo stato di conservazione del prodotto (refrigerato/congelato); la specie di crostaceo; il luogo del prelievo. È stato studiato inoltre il potenziale patogeno dei ceppi di vibrioni isolati dai crostacei e la relazione genetica tra i ceppi stessi.
Per ogni campione è stata effettuata un’analisi qualitativa e quantitativa, effettuando prove biochimiche e, in parallelo, applicando tecniche molecolari per l’identificazione dei patogeni isolati dal prodotto ittico. In particolare, l’analisi della patogenicità è stata effettuata tramite Real time PCR, valutando nei 180 ceppi di V. parahaemolyticus isolati la presenza dei geni codificanti le due emolisine responsabili di acute gastroenteriti nell’uomo: la thermostable direct haemolysin (TDH) e la TDH-related haemolysin (TRH). Inoltre l’analisi ha compreso lo studio della presenza di geni del sistema di secrezione III, di recente associati alla patogenicità.
L’analisi filogenetica è stata condotta su un totale di 109 ceppi, impiegando la tecnica Multi Locus Sequence Analysis (MLSA).

Risultati. La specie Vibrio patogena per l’uomo maggiormente rappresentata è risultata essere V. parahaemolyticus, che si è osservato seguire un andamento stagionale, raggiungendo i valori più alti nei mesi di settembre e ottobre, nell’area della Laguna di Venezia, fino a raggiungere un valore mediano di 103 MPN/g. Questo andamento è coerente con i dati presenti in letteratura, che riportano una maggior abbondanza delle specie Vibrio nei mesi estivi e autunnali rispetto a quelli invernali.

Patogenicità più alta nei prodotii refrigerati. Per quanto riguarda lo stato di conservazione del prodotto, il prodotto refrigerato ha presentato la più alta positività per V. parahaemolyticus (24%), con una prevalenza del 41% sul totale dei prodotti risultati positivi.
Le specie più contaminate dal patogeno sono risultate essere i gamberi grigi (prevalenza del 58%), seguiti da granchi (48%) e gamberetti (32%). Infine, la zona Nord del Mar Adriatico ha registrato la maggior positività sempre per V. parahaemolyticus (35%).

Questa ricerca costituisce il primo studio in Italia e il secondo in Europa contenente dati sulla presenza nei crostacei di vibrioni patogeni per l’uomo, seppur riferiti a quelli maggiormente consumati nel Veneto. I dati raccolti potranno pertanto essere utilizzati per implementare un sistema di analisi del rischio per monitorare e prevenire a più livelli la diffusione di questi patogeni.
I risultati ottenuti hanno inoltre messo in luce il potenziale rischio di trasmissione di vibriosi nei consumatori abituali di crostacei, soprattutto quando vengano mangiati crudi o poco cotti. Pertanto, è meglio consumare i prodotti ittici dopo un’adeguata cottura per ridurre a zero il rischio di infezione da vibrioni.