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Stragi di mafia: 'Ndrangheta e Cosa Nostra unite contro lo Stato

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Tempo di lettura 2 minuti Il Gip presso il Tribunale di Reggio Calabria, ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Rocco Santo Filippone e del già detenuto Giuseppe Graviano

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Redazione

 

Al termine dell’indagine denominata “’Ndrangheta stragista”, il Giudice per le indagini preliminari (Gip) presso il Tribunale di Reggio Calabria, ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di due esponenti di vertice della ’Ndrangheta calabrese e di Cosa Nostra. In carcere è finito il 77enne Rocco Santo Filippone mentre Giuseppe Graviano si è visto notificare l’ordinanza direttamente dietro le sbarre, dove già si trova per scontare altre condanne.

 

Entrambi sono accusati di essere i mandanti di tre attentati commessi ai danni di Carabinieri: il primo risale alla notte fra l’1 e il 2 dicembre 1993, dal quale i militari Vincenzo Pasqua e Silvio Riccardo scamparono miracolosamente; nel secondo, portato a termine il 18 gennaio 1994, furono assassinati i Carabinieri Antonino Fava e Giuseppe Garofalo; nel terzo, commesso il 1° febbraio 1994, rimasero gravemente feriti i Carabinieri Bartolomeo Musicò e Salvatore Serra.


Si tratta di attentati simili tra loro, compiuti nella zona periferica di Reggio Calabria con la stessa arma, una pistola mitragliatrice M12, nei confronti di pattuglie impegnate in normali turni di controllo del territorio. Delitti aggravati da premeditazione, finalità di terrorismo ed eversione dell’ordinamento democratico, con lo scopo di agevolare l’attività delle organizzazioni mafiose Cosa Nostra e ’Ndrangheta, che intendevano costringere lo Stato italiano, tra le altre cose, a rendere meno rigorose sia la legislazione che le misure antimafia. L’indagine, svolta dagli investigatori della Squadra mobile reggina, dal Servizio centrale operativo e dal Servizio centrale antiterrorismo della Direzione centrale della Polizia di prevenzione, è stata coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo.

L’investigazione ha messo in evidenza la chiave di lettura dei tre attentati, che non vanno analizzati singolarmente, bensì inseriti in un contesto nazionale, nell’ambito di un progetto criminale la cui ideazione e realizzazione è maturata attraverso l’intesa e la collaborazione tra organizzazioni criminali, che avevano lo scopo di attuare un piano di destabilizzazione del Paese anche per mezzo di attentati terroristici. Gli investigatori hanno evidenziato come i più importanti vertici tra i rappresentanti di ’Ndrangheta e Cosa Nostra, nei quali si dovevano assumere le decisioni operative, anche relative agli attentati ai Carabinieri, si svolsero nella zona di competenza della cosca Filippone, e a tali summit si recarono i rappresentanti di Cosa Nostra, convocati proprio da Rocco Filippone.


È stato dimostrato come pezzi importanti della ’Ndrangheta diedero assicurazione ai Corleonesi, rappresentati da Giuseppe Graviano, di aderire alla strategia terroristica di Cosa Nostra che, dopo le stragi continentali, doveva prendere di mira gli appartenenti alle Forze dell’ordine e, in particolare, i Carabinieri.
I vertici della ’Ndrangheta delegarono ai Filippone l’organizzazione degli attacchi ai Carabinieri in terra calabrese, e furono proprio loro ad individuare nel giovane Giuseppe Calabrò, nipote di Rocco Santo Filippone, l’uomo che doveva materialmente eseguire gli assalti, soprattutto per la sua eccezionale preparazione militare e straordinaria dimestichezza con le armi. La vasta piattaforma investigativa si basa sulle affermazioni di molti collaboratori di giustizia, sia sul versante calabrese che siciliano, attraverso anche l’acquisizione delle dichiarazioni rese nel corso di altri procedimenti penali soprattutto da Gaspare Spatuzza, già capo mandamento di Brancaccio, il quale ha vissuto dall’interno ed in modo completo tutta la vicenda delle stragi del ’93 e del ’94. Dall’indagine è emerso inoltre che l’allora capo indiscusso della mafia siciliana, Salvatore Riina, era stato il promotore della richiesta alla ’Ndrangheta di cooperare alla strategia stragista di Cosa Nostra, con l’individuazione degli obiettivi istituzionali da colpire.
 

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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Editoriali

La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Roma, aggressioni e borseggi in metro. Riccardi (UdC): “Linea più dura per garantire la sicurezza pubblica”

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“Ci troviamo ad affrontare un problema che il Governo non può più ignorare: i borseggiatori operano impuniti nelle metropolitane di Roma. Questa situazione è inaccettabile e richiede un intervento deciso e immediato. Ritengo che la sicurezza dei cittadini debba essere una priorità assoluta e che la moderazione non significhi inazione”.
È assai dura la reazione del commissario cittadino di Roma Capitale dell’UdC, il dottor Roberto Riccardi, circa le continue, ripetute aggressioni e borseggi nella Capitale.

Dottor Riccardi secondo Lei dove bisogna intervenire in fretta nella legislazione italiana in tale materia?
I recenti episodi di furto nei mezzi pubblici mettono in luce una legislazione troppo permissiva. La normativa attuale, che prevede l’intervento delle Forze dell’Ordine solo su querela dei borseggiati, è del tutto inefficace. Questo non solo rallenta l’intervento delle autorità, ma spesso disincentiva le vittime a denunciare, sapendo che le conseguenze per i borseggiatori saranno minime o inesistenti.
Le leggi attuali non sono sufficienti per contrastare efficacemente questo fenomeno. È necessario un cambio di rotta deciso.

il commissario cittadino UdC di Roma Capitale, dottor Roberto Riccardi

E cosa può fare in più, in questo frangente, l’organo giudiziario?
Bisogna smettere di essere troppo indulgenti con i delinquenti. Va adottata una linea più dura per garantire la sicurezza pubblica.
Lei rappresenta uno dei partiti di governo nazionale. Esiste una vostra “ricetta” in merito?
Ecco le misure che proponiamo; arresto obbligatorio per i borseggiatori con l’introduzione dell’arresto obbligatorio per chiunque venga colto in flagrante a commettere furti nei mezzi pubblici. Questo deterrente è essenziale per scoraggiare i delinquenti e proteggere i cittadini.
Modifica della normativa vigente; bisogna consentire l’intervento delle Forze dell’Ordine anche in assenza di querela da parte della vittima, permettendo un’azione tempestiva e decisa contro i borseggiatori.
Inasprimento delle pene ed introduzione di sanzioni più severe per i reati di furto, specialmente quando commessi in luoghi pubblici e affollati come le metropolitane.
Campagne di sensibilizzazione informando i cittadini sui loro diritti e sull’importanza di denunciare ogni atto di borseggio, contribuendo così a creare una comunità più sicura e coesa.
Ma Lei crede che con tali misure si possa mettere un argine alla questione che preoccupa non solo i romani ma le decine di migliaia di turisti che ogni giorno arrivano nella capitale?
Non possiamo più permetterci di essere indulgenti. Dobbiamo agire con fermezza per garantire la sicurezza di tutti i nostri cittadini.
Le Forze dell’Ordine devono essere messe nelle condizioni di poter agire senza ritardi e senza ostacoli burocratici.
Dobbiamo essere determinati nello spuntare le armi dei buonisti ed a ripristinare la legalità nelle nostre strade e nelle nostre metropolitane. Solo con un intervento deciso e risoluto potremo garantire una Roma più sicura e vivibile per tutti.

Risposte chiare e concrete quelle del commissario cittadino UdC di Roma Capitale Roberto Riccardi.
Ci auguriamo che questa volta la politica affronti davvero con tale determinazione questa assenza di sicurezza per i romani e per le migliaia di turisti che si apprestano a giungere nella Capitale per l’imminente apertura, il 24 dicembre 2024, dell’Anno Giubilare.

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