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Editoriali

Strage di Erba: verso la revisione del processo

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Tempo di lettura 11 minuti Prof. Carmelo Lavorino: “Non dico che Rosa e Olindo siano innocenti o colpevoli: dico solo che i reperti vanno sempre analizzati tutti.”

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di Roberto Ragone

 

La sera dell’11 dicembre 2006, attorno alle ore 20, a Erba, in provincia di Como, qualcuno uccise, a sprangate e coltellate, quattro persone,due donne, un uomo e un bambino di due anni e tre mesi,  lasciando per morto un ferito grave, che poi divenne l’unico testimone oculare del fatto criminoso. Per quell’evento omicidiario sono stati condannati, e sono tuttora detenuti, due coniugi, Rosa Bazzi e Olindo Romano, i quali, dopo aver confessato il crimine, pur con una confessione zoppicante e lacunosa, dopo qualche tempo ritrattarono, ma non furono creduti. Nei due gradi di giudizio, però, ci furono quelle che potremmo definire omissioni, nell’esame dei vari reperti rinvenuti sul luogo del delitto, ora in mano ai RIS di Parma e all’Università di Pavia. Per questo motivo, l’avvocato Schembri, coadiuvato dall’avvocato Nico D’Ascola e dall’avvocato Luisa Bordeaux, ha presentato un’istanza di incidente probatorio per esaminare davanti al giudice del tribunale di Corte d’Appello, a Brescia, almeno sette, ma probabilmente di più, reperti relativi alle indagini sull’omicidio, che non furono ammessi all’esame di giudici dei primi due procedimenti.  Il processo a Rosa e Olindo suscitò molto rumore, come tanto chiasso aveva suscitato la strage e la sua efferatezza, e , come accade ormai da diversi anni, i media se ne impadronirono, a caccia di sensazioni, influenzando, come è già stato ampiamente dibattuto, il sentire comune, e di conseguenza anche tutto l’andamento della vicenda. Il popolo della TV si divise fra innocentisti e colpevolisti, e purtroppo fin dall’inizio le indagini furono indirizzate in un’unica direzione. Ora la Corte di Cassazione, accogliendo la richiesta del collegio di difesa, ha ordinato che venga effettuato un esame dei reperti il cui esame, alla luce della confessione resa dai due indagati, non venne ritenuto necessario. L’esame avverrà  in incidente probatorio, e sarà, se positivo per la difesa,  propedeutico ad una richiesta di revisione del processo. Si sono aperte così nuove ipotesi investigative, che si vogliono approfondire, e c’è la possibilità che il processo di secondo grado venga rifatto con altri presupposti, e che i due ora ergastolani possano essere riconosciuti innocenti.  A proposito di questa spinosa vicenda, che, se dimostrata secondo le tesi della difesa, avrebbe tenuto in carcere due innocenti per quasi undici anni, abbiamo voluto chiedere un parere al noto criminologo professor Carmelo Lavorino, già consulente della difesa di numerosi processi di grande rilevanza mediatica, come, ad esempio, fu il caso dell’omicidio di via Poma, a Roma, e titolare del CESCRIN, Centro di Criminologia e Investigazione Criminale.

Professore, innanzitutto grazie per la sua consueta cortesia e disponibilità. Avrà letto sui giornali della probabile revisione del processo a Rosa e Olindo per la strage di Erba. Nonostante lei non se ne sia occupato in prima persona, sappiamo che lei è sempre molto attento a questi avvenimenti di cronaca giudiziaria, e quindi sempre bene informato.  Per questo mi farebbe piacere avere un suo parere sulla vicenda.

Il giorno dopo la strage venni intervistato dal quotidiano ‘La Padania’, dove dichiarai che le modalità omicidiarie, cioè lo sgozzamento tramite coltello e il fracassamento con una sbarra, potevano anche far pensare ad una banda di balordi, di criminali, appartenenti ad una etnia africana ed agenti per “dare una lezione”; questo, perché il modus operandi esecutivo lascia una serie di tracce comportamentali molto importanti.

Detto questo, a mio avviso, contro Rosa Bazzi e Olindo Romano, ci sono soltanto tre elementi, cioè: il riconoscimento tardivo e contraddittorio di Frigerio [l’unico testimone oculare, lasciato per morto ndr], per il quale, a mio avviso, ci possiamo trovare anche di fronte ad una suggestione ed alla psicopatologia della testimonianza, anche perché nel suo riconoscimento vi sono molte contraddizioni. Poi, la macchia sangue rinvenuta sul copritacco della macchina di Olindo; in ultimo, la confessione dei due.

Confessione illogica, strana e contraddittoria. Non vorrei entrare nel merito di questi elementi, perché la confessione può sempre essere spinta, estorta, manipolata; ci può essere una situazione di soggezione psicologica da parte dei due e di terrore della divisione e della fine del loro rapporto, e quindi ogni confessione va vagliata scientificamente sotto il profilo dei riscontri e della logica.

Riconoscimento contraddittorio, incerto e tardivo. La dichiarazione di Frigerio potrebbe anche essere non attendibile, sia perché il riconoscimento può essere frutto di suggestione e spinto abilmente da qualcuno che vedeva in Olindo l’assassino, sia perché all’inizio aveva descritto l’aggressore come una persona di colore olivastro, da solo; poi invece parlò di Olindo, e in seguito parlò di una donna, asserendo che sicuramente quella donna era la moglie di Olindo. Quindi, secondo me, ci potremmo trovare di fronte a una psicopatologia della testimonianza e ad una distorsione della stessa, sfociata nell’autoconvincimento riverberante.

Una sola traccia di sangue in luogo accessibile a chiunque. La macchia di sangue sul copritacco della macchina di Olindo potrebbe essere una contaminazione, volendo fermarci in questo ambito e senza fare i diffidenti e i maliziosi. Vedremo poi cosa è successo.

Mancano troppe tracce che dovevano esserci, e l’assenza di tracce è una traccia. Noi sappiamo che sulla scena del crimine, molto ampia, anche se parzialmente distrutta, non venne trovata alcuna traccia di Olindo e Rosa, così come in casa di Olindo e Rosa non venne trovata alcuna traccia del sangue e/o  biologica delle cinque vittime che, secondo gli investigatori, Olindo e Rosa avrebbero dovuto colpire con due coltelli ed una spranga di ferro con almeno un centinaio di colpi: come mai?

All’interno dell’auto di Olindo non fu rinvenuta alcuna traccia di sangue, né sui sedili, né su alcuna parte, tranne che su quel copritacco, forse una contaminazione o “il destino”, come ho già detto. Nondimeno, ricordo che l’avvocato Schembri trovò duecentottantaquattro contraddizioni nella ricostruzione della scena del crimine fatta dai due coniugi quando si erano autoincolpati. 

 

Accertamenti tecnici non approfonditi. Il problema è che in questo processo, molti reperti relativi alla strage non vennero analizzati perché immediatamente dopo la pista Marzouk -, che si sciolse come neve al sole, perché lui al momento dell’incursione era in Tunisia, in visita ai genitori, e quindi lontano dalla scena del crimine -, gli inquirenti puntarono Olindo e Rosa. Automaticamente tutte le altre piste non vennero seguite e molte tracce non vennero analizzate. E purtroppo sappiamo che molti errori giudiziari avvengono per la c.d. “fretta investigativa unita alla certezza di “averci azzeccato””. Quindi, a prescindere dal fatto che Olindo e Rosa siano colpevoli o innocenti, dato che in definitiva la loro confessione lascia il tempo che trova, la testimonianza di Frigerio a mio avviso potè essere suggestionata, e quella macchia di sangue potrebbe dire poco, avrebbero dovuto  essere analizzati tutti i reperti  trovati sulla scena del crimine.

 

I reperti che ora devono essere analizzati. Giustamente la difesa ha chiesto che molti reperti che non sono stati analizzati debbano essere analizzati, e la Cassazione ha detto sì, che questi reperti siano analizzati. Vediamo un po’, partiamo dal bambino, da Youssef. Su di lui sono stati trovati quattro capelli, di cui, uno castano-nero, uno castano-chiaro lungo dieci centimetri, un altro nero lungo un centimetro e mezzo e un altro ancora: due frontali e due sulla schiena del bimbo. Oltretutto le unghie del bambino non sono mai state analizzate. Per cui potrebbero essere trovate tracce del soggetto ignoto che ha aggredito il bambino. Quindi se la struttura  di questi capelli dovesse essere  riferibile a Rosa Bazzi e Olindo Romano, il problema è loro. Se però i capelli non appartengono a questi due soggetti, c’è da chiedersi come mai almeno tre soggetti abbiano manipolato il bambino, quindi, tracce di soggetti  non riferibili a Rosa, a Olindo  e tanto meno alla piccola vittima. Quindi,  questi reperti che devono essere analizzati: è un quesito che dev’essere sciolto.

È stato rinvenuto sul pianerottolo un accendino, che potrebbe essere quello con cui è stato appiccato il fuoco. Su questo accendino dovrebbero trovarsi tracce di DNA, sudore o tessuto epiteliale, e tracce papillari (le impronte digitali) di chi lo ha usato. Queste tracce dovrebbero essere riferibili, quindi, o a Rosa, o a Olindo,  a una delle vittime, o a un soggetto ignoto: in quest’ultimo caso la situazione è a favore di Rosa e Olindo.

È stato anche rinvenuto un mazzo di chiavi, che non si sa a chi appartenga: vediamo, sempre tramite la ricerca del DNA e delle tracce papillari, a chi possa essere riferibile un insieme di tracce del genere. Questo serve proprio a verificare se Rosa e Olindo possano essere esclusi o meno.

Nemmeno sono stati analizzati i giubbotti delle tre vittime, cioè di Valeria Cherubini, di Raffaella Castagna e di Paola Galli, gli adulti. Poiché sono stati colpiti a coltellate, pugnalate, fendenti e con una spranga di ferro, è probabile che ci sia del DNA degli assassini sui loro giubbotti. Può esserci sangue dell’assassino che si è ferito, o tessuto epiteliale, sudore o saliva. Ricordiamo che nel caso del delitto dell’Olgiata, sull’asciugamani che copriva il volto della contessa Alberica Filo della Torre, c’erano una cinquantina di macchie di sangue, di cui quarantotto erano della vittima, e due dell’assassino. Con il passare degli anni sono state analizzate anche le due macchie di sangue residue, e hanno fatto individuare l’assassino nel filippino Manuel. È ovvio che tutti i reperti devono essere analizzati, e bisogna vedere ogni reperto che cosa ci dice, cosa parla, cosa comunica a livello scientifico e criminalistico.

Sono stati rinvenuti dei mozziconi di sigaretta,  che non sono stati analizzati: sappiamo perfettamente che i mozziconi di sigaretta conservano tracce di saliva, e quindi, di DNA, vediamo a chi appartengono.

È stato rinvenuto un cellulare. Non si sa di chi sia, ma presenta certamente tracce di DNA, come al solito, sudore, tessuto epiteliale e saliva, più impronte digitali. In più, guardando il codice IMEI si può vedere a chi è intestato, si possono ricavare altri dati. Naturalmente i tabulati non esistono più, perché vengono cancellati dopo due anni, però il cellulare può parlare ancora.

Sul terrazzino dell’appartamento di Raffaella Castagna è stata rinvenuta una macchia di sangue: vediamo di chi è, e a chiunque appartenga, vittima o altro soggetto, il risultato dev’essere contestualizzato nell’analisi criminale totale.

Le unghie del bambino sono state analizzate in maniera superficiale, così come anche quelle delle altre tre vittime: le unghie delle vittime ci potrebbero dare, come sappiamo perfettamente, le solite tracce merceologiche (tessuti, fibra …), sudore, pelle, DNA  eccetera.

Vi ho elencato gli elementi che la difesa di Olindo e Rosa chiese a suo tempo alla Corte d’Appello di Brescia di analizzare e che la Corte d’Appello di Brescia rifiutò, invece la Procura Generale presso la Cassazione ha dato parere positivo, è stata d’accordo. Qui noi non possiamo dire che Rosa e Olindo sono innocenti o colpevoli: diciamo che questi elementi dovevano essere analizzati a loro tempo, che purtroppo non vennero analizzati  e che, infine, potrebbero raccontare una storia ben diversa dalla sentenza di condanna. Per cui, se tutti questi reperti escludono Rosa e Olindo, e congiuntamente individuano le tracce di una o più persone, a mio avviso il processo di potrebbe riaprire, e si effettuerebbe il processo per revisione.

Valutiamo il modus operandi della combinazione assassina, chiunque essa sia.  Analizzando ciò che è successo, ci troviamo una vittima colpita con trentaquattro pugnalate e otto sprangate, parlo della Cherubini. La mamma del bambino è stata colpita con otto pugnalate e sprangate, la nonna del bambino con molte pugnalate e sprangate, a differenza del bambino che ha avuto una sola ferita alla gola, così come Frigerio, che è stato preso a colpi di spranga e pugnalate, una alla gola: il risultato è che tutte e cinque le vittime sono state colpite alla gola e le quattro adulte sono state “fracassate” con la spranga. La tecnica di sgozzamento, applicata a tutte e cinque le vittime, ci parla di una tendenza a colpire in quel modo particolare verso il bersaglio speciale e preferito della gola, che può fare parte di tradizioni ataviche, di un’abitudine, di un modus operandi aggressivo di attacco particolare originato da tradizioni particolari. Così come usare la spranga è una maniera punitiva primitiva e bestiale, perché si è ricevuta un’offesa gravissima e la si vuole lavare col “fracassamento altrui”. Constatiamo, inoltre, che i soggetti che hanno commesso questa strage, siano Olindo e Rosa, o altri soggetti ignoti, hanno anche bruciato la casa, sia per eliminare le tracce sia per vendetta come parte finale di un rituale primordiale, quindi questo ci porta anche a delle forme ancestrali ataviche, barbare, di distruzione, che significano: “… io vengo a casa tua, violento o fracasso e uccido tua moglie, uccido tuo figlio, brucio la casa se tu non ci sei e distruggo la tua famiglia e la tua progenie”: ebbene, tutto questo ci potrebbe portare all’interno di un regolamento di conti, o con la sola mamma del bambino, quindi Raffaella Castagna, o nei confronti di Azouz Marzouk. Avremmo quindi come  obiettivo primario della strage proprio la famiglia di Azouz, cioè la suocera, la moglie e il figlio, poi sono intervenuti i coniugi Frigerio (vittime impreviste e danni collaterali), che sono stati eliminati per tacitazione testimoniale, in quanto davano fastidio come testimoni. Il fatto che Frigerio non sia morto è stato “un inconveniente esecutivo”,  in quanto l’uomo aveva una malformazione congenita alla carotide, che lo ha salvato dal dissanguamento

Ora dobbiamo aspettare gli esiti di queste analisi scientifiche. Noi lo abbiamo sempre detto, che la scena del crimine deve essere analizzata sotto tutti gli aspetti, bisogna ipotizzare tutto quello che è possibile, non bisogna tralasciare nulla, e non bisogna prediligere una sola pista, perché se poi questa pista ci fa prediligere alcuni reperti utili solo alla nostra pista, ci fa discriminare l’azione analitico-scientifica, e questo è grave.

 

Cioè, un altro caso, come dice lei, di innamoramento della tesi accusatoria?

 

Sì, però qui c’è stata la maledetta simbiosi diabolica dell’innamoramento del sospetto  e innamoramento  della tesi accusatoria senza elementi totalizzanti. Una pista lasciava ipotizzare, a livello investigativo, che potessero essere stati  Olindo e Rosa, poi, a livello inconscio, il sospetto è stato spinto nei loro confronti ed ha coinvolto l’intero apparato investigativo. Io non dico che sono innocenti. Dico soltanto che tutto dev’essere analizzato. Devono essere effettuate tutte le analisi scientifiche, tutti gli accertamenti tecnici possibili. Se la difesa degli imputati chiede delle verifiche scientifiche, queste devono essere fatte, perché altrimenti  succede quello che è successo a Perugia [omicidio Meredith Kercher ndr.], dove il DNA è stato analizzato in un secondo momento, o all’Olgiata [omicidio Filo della Torre ndr.], dove il sangue è stato analizzato in un secondo momento. Bisogna fare tutto, maledetto  e subito, senza farsi fuorviare da convincimenti o da pregiudizi.

Non sono neanche state considerate le testimonianze di due testimoni oculari, che hanno riferito di aver visto dei soggetti di pelle scura, scendere dal terrazzino della casa di Castagna su via Diaz, e poi allontanarsi in direzione di Piazza del Mercato. In Piazza del Mercato altre persone hanno riferito di aver visto in orario concomitante con quello della strage, due persone di colore, in compagnia di un terzo soggetto di pelle chiara, presumibilmente italiano, viene da pensare che la dinamica degli omicidi sia stata: un ‘palo’, l’italiano, che aspetta di sotto, e i due che vanno di sopra, uccidono tutti quelli che trovano davanti e danno fuoco alla casa. Queste sono, lei giustamente non l’ha voluto dire, ma sono tecniche omicidiarie islamiche, come apprendiamo dai media. Quindi nei confronti di Marzouk.


Certo, io su questo sono pienamente d’accordo, ma ora dobbiamo vedere quello che ci vengono a dire le nuove analisi, che avrebbero dovuto essere effettuate immediatamente. Lei sa perfettamente che per quanto riguarda Bossetti io sono colpevolista, anche perché appena dopo il rinvenimento del cadavere della povera Yara Gambirasio, tracciai un profilo che si adattò completamente e immediatamente a Bossetti; però ho sempre detto che la Corte doveva disporre tutte le perizie che la difesa di Bossetti ha chiesto, più altre, perché quando si condanna una persona, la si deve condannare al di là di ogni ragionevole dubbio. Quindi in OGNI PROCESSO devono essere effettuati tutti gli accertamenti tecnici possibili, perché se non sono effettuati, poi ci piangeremo addosso.

Perciò, che cosa abbiamo notato, anche per la questione che lei ha detto, della presenza di  due persone di carnagione scura: essa si va a sovrapporre, a congiungere alla mia ipotesi  di sgozzamento per mano di soggetti adusi a tecniche del genere, e si sposa anche con la prima dichiarazione di Frigerio, che dice di aver visto l’assassino, uno con la carnagione olivastra. Poi piano piano questa carnagione olivastra si è sbiancata, ed è diventata quella di Olindo. Al che gli inquirenti, poiché avevano già una loro idea che potrebbe essere definita anche “ pregiudizio” – che si chiama ‘innamoramento del sospetto’, e diventa poi ‘innamoramento della tesi accusatoria’, un mio cavallo di battaglia, – cos’hanno fatto? Hanno applicato proprio il principio di Schopenauer. Questa è una cosa che ripeto sempre. Schopenauer dice: un’idea svolge nella testa la stessa vita di un organismo; prende e accetta soltanto ciò che le piace e che le conviene per prosperare e progredire, e rifiuta ogni altro elemento ed aspetto non gradito.  E qui è successa la stessa cosa. Poiché queste testimonianze non erano gradite all’ipotesi accusatoria, automaticamente sono andate a escludersi, e questo è quello che noi chiamiamo anche nella logica l’errore genetico. Cioè, andare a prendere soltanto ciò che è conveniente per la tesi in cui si crede, e rifiutare tutte le alternative perché non gradite.

A quanto riferisce l’avvocato Schembri, in questo pare abbia avuto una grossa responsabilità un investigatore dei Carabinieri. Penso che questa condotta sia piuttosto grave, se dimostrata,

Guardi, quando c’è un errore, o una inadeguatezza giudiziaria, è sempre colpa degli investigatori e del loro “metodo e sistema”, proprio perché gli investigatori o hanno tralasciato qualcosa, o si sono fatti fuorviare, o hanno sbagliato, o si sono innamorati del sospetto e della tesi e poi hanno agito in tal senso. Se facciamo una carrellata su tutti gli errori giudiziari italiani, o anche sulle investigazioni andate a finire male, ci accorgiamo che ci sono sempre l’errore investigativo e  l’inadeguatezza investigativa. Che può essere per l’innamoramento del sospetto e della tesi, può essere per non capacità totale di analisi criminale, può essere per pregiudizio, o per altri motivi.

Come sempre, l’analisi del professor Lavorino è lucida, completa, esauriente, metodica, meticolosa. Aspettiamo, a questo punto, che la Corte d’Appello di Brescia ospiti l’incidente probatorio disposto dalla Cassazione, e speriamo, dopo undici anni, che venga fatta luce sui troppi punti oscuri di questo crimine di una rara efferatezza, che, ad un occhio profano, mostra la mano di due o più professionisti dell’assassinio. Non è facile uccidere un altro essere umano, e ancor più difficile farlo in quel modo cruento e selvaggio, brutale, feroce, se non lo si è già fatto altre volte. Specialmente se si è modesti  operai impiegati in una ditta di smaltimento rifiuti, o donna delle pulizie.

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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