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Editoriali

Strage di Erba, Rosa e Olindo sono innocenti?

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Tempo di lettura 6 minuti Verso la revisione del processo

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di Roberto Ragone

ERBA – E’ la sera dell’11 dicembre 2006, all’incirca 20 minuti dopo le 20, al numero 25 di via Diaz, a Erba, in provincia di Como. La vecchia corte ristrutturata è composta da alcune palazzine, ed è nota come Condominio del Ghiaccio. All’improvviso da una delle finestre si alza una densa colonna di fumo. Due vicini di casa, uno dei quali pompiere volontario, intervengono, ed entrano nella palazzina. L’incendio è al primo piano. A ridosso del primo piano trovano un uomo ferito, Mario Frigerio. Ha la testa nell’appartamento, e il corpo fuori, è prono, e lo trascinano al di fuori dell’appartamento in fiamme.
 
Subito all’interno dell’appartamento brucia il corpo di una donna: è Raffaella Castagna. I soccorritori trascinano anche lei lontano dall’incendio, sul pianerottolo, spegnendo le fiamme che lo avvolgono. Dal piano superiore odono la voce di una donna che ripetutamente e disperatamente chiede aiuto. È Valeria Cherubini, la moglie di Mario Frigerio, il quale, senza poter parlare perché ferito alla gola, indica ai due che un’altra persona si trova di sopra. Le fiamme sono alte, il fumo sempre più denso, e i due devono abbandonare l’impresa. Solo all’arrivo dei Vigili del Fuoco vengono scoperti in totale quattro cadaveri e un ferito grave, Mario Frigerio, che viene trasportato all’ospedale Sant’Anna di Como. Sottoposto a diversi intereventi, si risveglia dall’anestesia dopo due giorni. Raffaella Castagna, la donna il cui corpo era in fiamme, 30 anni, moglie di Azouz Marzouk, è stata colpita al capo con una spranga di ferro, accoltellata dodici volte e poi sgozzata. È morta per la frattura del cranio.
 
La madre di Raffaella, Paola Galli, 60 anni, viene trovata all’interno dell’appartamento, anche lei colpita a sprangate e accoltellata. Il decesso è avvenuto per frattura del cranio. Il piccolo Youssef Marzouk, figlio di Raffaella Castagna e di Azouz Marzouk, due anni e tre mesi è morto dissanguato sul divano, dopo aver ricevuto un’unica coltellata che gli ha reciso la carotide. Al piano di sopra, nel sottotetto, giace il corpo di Valeria Cherubini, 55 anni, moglie di Mario Frigerio. Nonostante la violenta colluttazione con il suo aggressore, ha subito 8 colpi di spranga e 34 coltellate, una delle quali le ha reciso la lingua. All’arrivo dei soccorsi, la donna aveva gridato più volte chiedendo aiuto, e si era trascinata lungo le scale lasciando una impressionante scia di sangue, è morta per asfissia da ossido di carbonio, prima che la morte intervenisse per la gravissime ferite riportate. Morto per asfissia da monossido di carbonio anche il cane di casa.
 
Mario Frigerio, colpito più volte con una spranga e accoltellato, è sopravvissuto grazie ad una malformazione congenita della carotide, che ne ha impedito il dissanguamento.
I rilievi evidenziarono che l’aggressione era stata opera di due persone, una delle quali mancina, armate di spranga e di coltelli a lama lunga e corta. Date le modalità islamiche delle esecuzioni, la prima persona sospettata è il marito di Raffaelle Castagna, Azouz Marzouk, 26 anni, tunisino, pregiudicato per spaccio di droga, da poco uscito dal carcere per indulto.
Le successive indagini dimostrano che Marzouk era all’estero, in Tunisia da alcuni giorni, in visita ai genitori, per un viaggio programmato da tempo. Gli investigatori incominciano a pensare ad una vendetta nei suoi confronti. Nell’appartamento situato sotto a quello della strage abitano due coniugi senza figli, di mezz’età. Lei, Rosa Bazzi, ha 42 anni e lui, Olindo Romano, 44. Rosa lavora come donna delle pulizie, lui è dipendente di una ditta di raccolta e smaltimento rifiuti. È una coppia particolare, che vive in simbiosi. Hanno un camper, con il quale ogni tanto fanno dei piccoli viaggi. Non hanno amici, non hanno parenti, non hanno figli.
 
Il loro regno è la loro casa, insieme, sempre insieme. Il Pubblico Ministero Massimo Astori, li definirà “Un quadrupede”. Una coppia tranquilla, che da sempre soffre la presenza di una famiglia ‘rumorosa’ come quella che abita al piano di sopra, e con cui più volte ha avuto delle liti. Per il 13 dicembre, due giorni dopo l’eccidio, è fissata l’udienza per la causa civile con Raffaella Castagna, che ha denunciato la coppia per ingiurie e lesioni in seguito ad una lite avvenuta il giorno di Capodanno 2005.  Il loro comportamento, per alcune piccole cose, appare sospetto agli inquirenti, come ad esempio il fatto che Rosa, la sera del fatto omicidiario, abbia azionato la lavatrice più tardi del solito, lei che era abituata a farlo sempre non più tardi delle 18, come dimostrano i controlli eseguiti presso l'azienda elettrica. Un'abitudine che aveva da tre anni, costantemente.
 
Perchè proprio quella sera Rosa ha cambiato orario? E' una domanda legittima, ma il motivo può anche essere irrilevante. Rosa e Olindo hanno un alibi: la sera dell’incendio sono stati al Mc Donald’s a Como, e hanno ancora lo scontrino. Il quale dimostra però che sono stati al fast food due ore dopo la strage, e quindi in tempo per compierla. Il loro torto è quello di averlo mostrato senza che fosse loro richiesto, quasi a voler presentare un alibi non necessario. L’attenzione delle indagini si concentra su di loro, e ogni ragione è buona per sospettare del loro comportamento, anche quando Rosa, intercettata, dice al marito: “Adesso sì che possiamo dormire.” Successivamente vengono trovate piccole tracce di sangue femminile sugli indumenti dei Romano e una macchiolina di sangue del signor Frigerio sul tappetino della loro auto. Ciò che non viene trovato non viene considerato, cioè indumenti insanguinati, armi del delitto, e grandi qualtità di sangue di cinque vittime. Si sa che gli accoltellamenti, e soprattutto gli sgozzamenti ne producono in quantità incontrollabile, soprattutto sulle scarpe degli assassini, nè vengono considerate le dichiarazioni di due testimoni oculari che riferiscono di aver visto fuggire due persone di colore, forse tre, dal terrazzino del primo piano dopo l'incendio. Nè si considera che Olindo non può aver ucciso la Cherubini, che ancora gridava aiuto all'accorrere dei primi soccorritori, e che è stata trovata con la lingua recisa da una coltellata, quindi uccisa da qualcuno che era al piano di sopra mentre sotto si apprestavano le prime cure alle vittime e si cercava di spegnere l'incendio. Nè si considera che nessuno ha visto Rosa e Olindo nella corte, in quella circostanza. I coniugi vengono messi sotto torchio.
 
La loro unica paura è quella di non poter più vivere l'uno per l'altra, come sempre; il loro rapporto viene definito di 'succubanza reciproca'. Basta che un investigatore prospetti a Olindo la possibilità d'essere divisi per sempre per farlo crollare, e decidere di addossarsi la responsabilità della strage, con la promessa di pochi anni di carcere e la possibilità di tener fuori Rosa. Ma Rosa non è d'accordo a rimanere fuori, e il 10 gennaio 2007 Rosa e Olindo confessano. All’inizio lui cerca di scagionarla, dicendo di ‘aver fatto tutto da solo’, ma Rosa confessa anche lei. “Il bambino l’ho fatto io” dice al PM “La mamma l’ho fatta io e glie ne ho date tantissime, anche alla Raffaella.” Il PM le chiede: “Di coltellate?”  “Sì, di coltellate.” Il 29 gennaio 2008 inizia il processo. Rosa Bazzi e Olindo Romano vengono condannati all’ergastolo, con isolamento diurno per tre anni. La loro unica mira è che non li si separi, e chiedono una cella matrimoniale.
 
L’appello presso il Tribunale di Brescia conferma la sentenza, come la Cassazione. Mario Frigerio, il supertestimone, colui che aveva sempre accusato Olindo di essere lui quello che lo aveva colpito la sera dell’11 dicembre 2006, è morto il 16 settembre del 2014, otto anni dopo la strage. Il camper e la casa dei Romano sono stati venduti all’asta, per risarcire le vittime. La casa, dopo che le prime due sedute erano andate deserte, è stata venduta per 69mila euro. Attualmente sono detenuti in due carceri diverse, lui a Opera, lei a Bollate, e si vedono tre volte al mese per due ore. Sono passati dieci anni, e Olindo spera in un permesso premio. «Continuo a vedere Rosa tre volte al mese e questa è la cosa più importante. Spero che prima o poi io e Rosa possiamo avere i permessi premio così potremmo vederci tranquillamente e in santa pace come facevamo prima. Sarebbe bello avere un permesso premio da soli con Rosa per farci un giro in camper e fermarci a mangiare una pizza lungo il lago. Il problema è che il camper ce l’hanno venduto. Chissà se il magistrato di sorveglianza ci darà l’ok. Mi ricordo il giorno della strage e fino a sera è stato un giorno normale: lavoro, casa, Rosa, McDonald’s… È da dieci anni che dura questo incubo, ma aspettiamo fiduciosi la revisione del processo. Sono innocente». In fondo alla lettera l’ennesima dichiarazione d’amore per la moglie: «Quello tra me e Rosa è un amore che nessuno può dividere».
 
Olindo e Rosa, quasi si svegliassero da un brutto sogno, una volta in carcere hanno provato a ritrattare, ma non sono stati creduti. Ora si apre uno spiraglio, nell’interminabilità della loro detenzione, la possibilità di una revisione del processo. Gli avvocati di Olindo e Rosa, Nico D’Ascola, Fabio Schembri e Luisa Bordeaux, intervenuti nella loro difesa sei mesi dopo l’arresto, dopo il difensore d’ufficio, hanno presentato un’istanza per riesaminare alcuni reperti la cui amplificazione era stata negata ai tempi del processo, e che consistono in: alcune ciocche di di capelli, un accendino, un mazzo di chiavi, due giubbetti, alcuni margini ungueali, un cellulare, una tenda, una macchia di sangue mai analizzata ed altri reperti. In merito a questa istanza, rimbalzata più volte da Como a Brescia, abbiamo parlato con uno degli avvocati della difesa, l’avvocato Fabio Schembri. 

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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