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Redazione
Aver sparato alle spalle del rapinatore gli è costata non solo una condanna penale ma anche una condanna al risarcimento del danno in favore dei familiari del rapinatore ucciso. La vicenda presa in esame dalla quarta sezione penale della Corte di Cassazione (sentenza n. 31001/2015) riguarda il caso di una barista che aveva reagito a un tentativo di rapina a mano armata.
La vicenda. Due uomini si erano introdotti in un bar dove si trovava la titolare insieme a sua figlia.La prima, minacciata con una pistola da uno dei rapinatori si era difesa utilizzando una mazza per lavare il pavimento ed era fuggita all'esterno del locale. La seconda invece era scappata attraverso una porta interna che portava al piano superiore per chiamare in aiuto il fratello e veniva inseguita dall'altro rapinatore. Il fratello dopo aver visto che sua sorella era inseguita da un uomo armato si era scagliato contro l'aggressore riuscendo alla fine a disarmarlo. Il rapinatore però tentava di riavvicinarsi per riprendersi l'arma e in un susseguirsi continuo di avvicinamento ed allontanamenti era stato esploso un colpo che aveva colpito il rapinatore alla spalla sinistra. Una ferita che poi ne provocava la morte. Dall'autopsia era emerso che la vittima era stata colpita mentre si trovava girata di spalle al tiratore, "con colpo probabilmente esploso dal pianerottolo antistante il bar, con [il rapinatore] che si allontanava in discesa per poi il tiratore gettare l'arma proprio davanti al bar dove è stata rinvenuta".
La sentenza di Appello e il ricorso in Cassazione. Sulla base di tale quadro probatorio la Corte d'Assise di Appello di Caltanissetta, aveva confermato la decisione del GUP con cui l'imputato veniva condannato per omicidio colposo e al risarcimento del danno in favore delle parti civili. Il caso finiva dunque in Cassazione dove l'imputato lamentava il fatto che non gli fosse stata riconosciuta la scriminante della legittima difesa reale dato che il rapinatore si trovava ancora nel luogo della colluttazione e che pertanto il pericolo era persistente. L'imputato lamentava anche il fatto che i giudici di merito non avevano valorizzato correttamente lo stato di sconvolgimento emotivo e di grande concitazione del momento e che non avevano tenuto conto della circostanza che la situazione di pericolo per la sua vita era attuale dato che il rapinatore stava tentando più volte di avvicinarsi con fare minaccioso per riappropriarsi dell'arma. Tutto ciò aveva reso difficile attuare una scelta in modo lucido e razionale perché quando venne esploso il colpo l'atteggiamento del rapinatore era ancora rivolto ad attentare alla sua vita. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso ma in realtà non è entrata nel merito limitandosi a rilevare che non è possibile sottoporre al giudizio di legittimità questioni che si riferiscono a una diversa interpretazione dei fatti. All'esito del giudizio, l'imputato dovrà anche risarcire i familiari del rapinatore ucciso.
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