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Cronaca

SIMONETTA CESARONI: IL SILENZIO DI VIA POMA, PARTE 1

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Tempo di lettura 3 minutiSin da subito risulta strano che quella porta era stata chiusa con quattro mandate

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di Angelo Barraco
 
Roma – Il 7 agosto del 1990, in Via Carlo Poma n°2 a Roma, si consuma quello è considerato uno dei delitti più misteriosi nonché irrisolti della cronaca nera nazionale, l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Giovane, bella e con tanta voglia di vivere, che per non pesare sulla famiglia aveva trovato un lavoro -1 luglio 1990 – come segretaria contabile presso gli uffici dell’A.I.A.G (Associazione Italiana Alberghi della Gioventù). Simonetta Cesaroni viene rinvenuta cadavere il 7 agosto 1990 alle ore 23.30, nell’appartamento dell’ufficio dove svolgeva il suo lavoro, in Via Poma n.2. Il suo corpo era supino, gambe e braccia divaricate, era vestita, il suo reggiseno era abbassato sui capezzoli, indossava calzini bianchi, aveva inoltre un corpetto che poggiava sul suo ventre.
 
Sul suo corpo si sono contate ben 29 coltellate. Il cadavere fu ritrovato da Paola Cesaroni, dal suo ragazzo Antonello Barone, da Salvatore Volponi, datore di lavoro di Simonetta, che fu il primo ad entrare all’interno della stanza,dal figlio di quest'ultimo Luca,Giuseppa De Luca, portiera dello stabile e Mario Vanacore.

Le indagini Sin da subito le indagini si concentrano sull’attività lavorativa di Simonetta ed emerge che dall’ottobre del 1989 aveva lavorato come segretaria contabile alla Reli sas. Volponi aveva proposto alla giovane di lavorare per l’AIAG nel 1990, per due pomeriggi a settimana, il martedì e il giovedì. Gli uffici dell’A.I.A.G. si trovavano in Via Poma n.2, Scala B, terzo piano, interno 7. Quel pomeriggio Simonetta si reca in ufficio per sbrigare alcune pratiche prima delle ferie estive intorno alle 15.45, l’ultimo segnale oggettivo di vita della giovane è rintracciabile alle ore 17.15/17.35, quando chiama una collega dell’A.I.A.G. La giovane disse a Volponi che non era sufficiente che lui si si recasse in ufficio quel giorno, ma erano rimasti che Simonetta l’avrebbe chiamato alle 18.00/18/30, ma quella telefonata non venne mai fatta. La giovane era attesa a casa per le ore 20.00, ma nessuno dei suoi familiari ebbe sue notizie. La sorella e il fidanzato decidono allora di mobilitarsi nelle ricerche –erano le 21.30- provano a chiamare Volponi ma non riescono a rintracciarlo. Si recano allora a casa di Volponi e chiedono i numero degli uffici dell’AIAG, ma lui non aveva il numero e non sapeva l’esatta collocazione della sede. Dopo diverse ricerche riescono a trovare l’indirizzo e lo raggiungono. Si fanno aprire la porta dalla moglie di Vanacore, che non si mostra ben disposta nell’aprire. Sin da subito risulta strano che quella porta era stata chiusa con quattro mandate.

Un caso ancora da risolvere Da quel momento ha inizio una delle vicende giudiziarie più complesse ed intrigate della storia italiana, che ha visto sfilare nelle aule di Tribunale numerosi protagonisti, accusati di essere di essere colpevoli e poi assolti. Tanti i dubbi, tanti i misteri ma ancora, a distanza di tanti anni, l’assassino di Simonetta Cesaroni non ha un volto e un nome. Un punto cardine su cui si è mosso tutto il processo è stato il morso sul seno sinistro che presentava una forma a goccia, precisamente nel capezzolo. Bisogna partire dal presupposto che la dentatura di ogni essere umano presenta delle caratteristiche uniche e tale unicità è da rapportare anche alla morsicatura. Un esempio storico riguarda l’arresto del Serial Killer Ted Bundy, individuato grazie all’analisi di una lesione su un seno che poi, analizzata da un Odontologo Forense, ha portato alla sua identificazione.  Noi de L’Osservatore D’Italia continueremo a parlare del caso di Simonetta Cesaroni, faremo approfondimenti ulteriori, alla luce di quella che è la verità processuale e cercheremo di portare alla luce quella che è una verità giornalistica con il fine ultimo di far luce su questa torbida vicenda che ha macchiato per sempre il volto della Capitale, avvolgendola da una fitta cortina di mistero.