Connect with us

Editoriali

Si scrive accoglienza, si legge bivacco indecoroso: intanto Minniti e Gentiloni sono soddisfatti

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 4 minuti
image_pdfimage_print

Si scrive immigrazione e si legge speculazione, come si scrive accoglienza e si legge bivacchi indecorosi o si scrive integrazione e si legge utopia. Li possiamo trovare infreddoliti fuori dai supermercati, pronti ad aiutare le signore a scaricare la spesa in macchina sperando di avere in cambio un segno di riconoscenza, 50 centesimi, un euro. Altri si radunano nelle stazioni ferroviarie. Qui si riparano meglio finché, su segnalazione di qualcuno zelante, non vengono cacciati via dalle forze dell’ordine, costretti a ritirarsi nei parchi, nei giardini ed i più fortunati in alloggi fatiscenti, da lungo dismessi e abbandonati. Si sta parlando dell’immigrazione clandestina perché per quelli aventi diritto lo Stato, che siamo sempre noi, procura alloggio, vitto e una diaria per piccole spese.

Tutta l’accoglienza si ferma qui. Vitto e alloggio per i regolari e bivacchi per i clandestini

Per meglio rendere l’idea di cosa s’intende per “bivaccare” Wikipedia dà questa definizione: “In castelli e abbazie erano aperti alle armate di feudatari e principi durante le loro marce. Le masse popolari che, incitate dall’entusiasmo religioso, accorsero alle Crociate in Medio Oriente, erano più una folla disordinata che un esercito e tutti, a parte i cavalieri più importanti e i principi con il loro immediato seguito, bivaccavano sul terreno come le selvagge tribù nomadi che erravano le pianure dell’Asia”. Soffermiamoci su questa informazione. “Le masse popolari bivaccavano sul terreno come le selvagge tribù nomadi che erravano le pianure dell’Asia”. Tutto questo non fa venire in mente i tanti accampamenti indecorosi e degradanti degli immigrati seminati per tutta la penisola? Stessi accampamenti sbandierati come punto di diamante dell’accoglienza? E’ proprio vero che alla vergogna non c’è limite e la spudoratezza è stata elevata al rango di virtù.

Per la sinistra ideologizzata, questa massa che bivacca su prati, nei parchi e giardini si chiama accoglienza

I politici si trincerano dietro le parole del pontefice, invece Papa Bergoglio, a riguardo dell’immigrazione ha detto ben altra cosa. Nel Messaggio mondiale della Pace, il Papa auspicava la “capacità di avere uno sguardo contemplativo, capace di guidare il discernimento dei responsabili della cosa pubblica, così da spingere le politiche di accoglienza fino al massimo dei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso”. Integrare, spiegava il Papa in quell’occasione: “significa permettere a rifugiati e migranti di partecipare pienamente alla vita della società che li accoglie, in una dinamica di arricchimento reciproco e di feconda collaborazione nella promozione dello sviluppo umano integrale delle comunità locali.” Come si fa a confondere “l’arricchimento” e “la partecipazione alla vita della società” con la politica di scaricare masse di esseri umani, nell’abbandono e nel degrado? A meno che non ci sia qualche speculazione sotto, andare a recuperare gli immigrati dai campi di smistamento in Libia, portarli in aero in Italia per poi gettarli nei ghetti della disperazione, è puro sadismo.

Può uno Stato arrivare a tanto?

Esempi di accampamento, ghetti della disperazione, gironi danteschi dove poveri immigrati, la cui unica loro colpa è di avere creduto ed accettato l’invito del governo italiano, ora errano per il Belpaese dove li troviamo di notte nascosti in giacigli, avvolti nelle buste della spazzatura, loro unica protezione contro freddo e pioggia. Li troviamo accampati a Roma al Colosseo, nel più completo degrado nel quartiere del Colle Oppio, nell’incuria a porto di Ripa, sugli argini dell’isola Tiberina, nei parchi e nei giardini. E’ l’umanità ridotta a rifiuto! Squallidi accampamenti a Milano di immigrati afghani e pakistani. Gironi danteschi a Reggio Calabria ed in ogni dove.

 

Intanto il Ministro Minniti e il presidente Gentiloni si dichiarano soddisfatti

Soddisfatti del lavoro svolto perché i flussi sono diminuiti, tanto vero che stanno andando a prelevarne altri con gli aerei militari. Per l’Europa e la sinistra italiana tenere questa parte dell’umanità nascosta in ghetti li rasserena perché occhio non vede, cuore non duole.

Il buon senso, invece, finalmente arriva dai vescovi africani

Con la voce di Monsignor Ndiaye: “E’ meglio restare poveri nel proprio paese – ha detto – piuttosto che finire torturati nel tentare l’avventura dell’emigrazione”. E poi ha continuato “Cari ragazzi tocca a noi costruire il nostro paese, tocca a noi svilupparlo, nessuno lo farà al posto nostro.” In ultimo, i vescovi, rivolgendosi agli immigrati, hanno dato prova di buon senso, cosa che fino ad ora è mancata ai nostri politici: “Se i nigeriani emigrati clandestinamente, invece di spendere così tanto per il viaggio, avessero investito quelle somme di denaro in maniera creativa in Nigeria, in attività economiche, adesso sarebbero degli imprenditori.” Non è mai troppo tardi. Minniti e Gentiloni ascoltino e imparino dai vescovi africani. La soluzione del problema non si risolve con gli aerei militari. Non si risolve l’emergenza immigrazione tanto meno inviando i nostri militari in Niger, paese che, nell’area, versa nelle condizioni più critiche. Il delta del Niger è caratterizzato da una lunga scia di una crisi di legittimità etno-politica. Dio non voglia che l’Italia debba avere la triste esperienza di Nassiriya per avere condisceso alla politica dell’alleato Macron mentre l’Onu sta a guardare!

Lo sragionamento di Roberto Saviano, poi, la teoria di Luigi Manconi e gli scioperanti dell’ultima ora pro Ius Soli, con l’immigrazione non hanno nulla a che fare

Gli 800mila bambini nati da genitori extra comunitari hanno gli stessi diritti dei bambini di genitori italiani. Lo Stato italiano non gli ha mai negato nulla. In aggiunta hanno la facoltà, al raggiungimento del 18mo anno, di poter scegliere se mantenere la cittadinanza dei genitori oppure optare per quella italiana. La campagna pro Ius Soli è ideologica , violenta e vuole impossessarsi della libertà di scelta, diritto che spetta legittimamente al minore, al raggiungimento della maggior età. Si dà da pensare che si vuole sacrificare un diritto del minore sull’altare del consenso elettorale. Si spera che questa campagna ideologica vada messa in soffitta e al suo posto sia data precedenza all’emergenza “lavoro”.

L’orologio che si affaccia su piazza di Montecitorio ha suonato l’ora tanto attesa dal Paese, dare fine alla serie di governi del presidente

Quattro per la precisione, insediatisi a Montecitorio non per volere del Popolo. L’ora del “tirare a campare” è finita, si torna a casa. Per Gentiloni quell’orologio continuerà a battere solo per lo sbrigo dell’ordinaria amministrazione, dopodiché passerà le chiavi ai nuovi inquilini. Nessun rimpianto, nessuna nostalgia. Chi subentrerà avrà un durissimo compito, raccogliere i cocci, prepararsi per la quadratura del cerchio e rimuovere i residui nascosti sotto i tappeti, lasciati lì dai precedenti governi.

Emanuel Galea

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print


Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

Continua a leggere

Editoriali

La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print


La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

Continua a leggere

Editoriali

Un anno senza Silvio Berlusconi

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura < 1 minuto
image_pdfimage_print

Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

Continua a leggere

SEGUI SU Facebook

I più letti