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di Daniele Rizzo
Era il 15 dicembre 2011 quando le truppe americane di base in Iraq passarono tutti i poteri in mano alle autorità irachene. All’epoca si credeva che con questa soluzione si risolvessero i gravi conflitti interni che avevano accompagnato lo stato dell’Asia occidentale durante il periodo di “occupazione” americana. Ad oggi vediamo però che la crisi interna al paese non fa che peggiorare a causa dei sempre tesi rapporti tra sciiti e sunniti.
I sunniti, che da anni promuovono movimenti di resistenza armata al governo sciita di Nuri al-Maliki, continuano infatti dal 2006 (anno del primo governo al-Maliki) nella loro opera terroristica che ha trovato poi legami anche con i gruppi armati di Al-Qaida. E proprio di queste ore è la notizia che i miliziani qaedisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) hanno sferrato l’offensiva decisiva nel governatorato di Ninawa, nel nord del paese, dove sulle sponde del fiume Tigri si trovano le città di Ninive e Mossul. E proprio quest’ultima città fa da confine alla provincia di Baiji; posta a metà strada tra Baghdad e Mossul, quella di Baiji è la zona più ricca del paese, quella dove si concentrano le raffinerie di petrolio più grandi. Non è un caso dunque che gli estremisti islamici abbiano attaccato e conquistato l’intera zona, come ha comunicato il presidente del parlamento iracheno Osama Nujayfi. Tra l’altro il fratello di Osama, Athil Al, è il governatore di Mossul, e proprio in seguito agli attacchi ha invitato la popolazione a formare “comitati popolari” per combatte i miliziani jihadisti; l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha invece comunicato che in seguito a queste offensive circa 500 mila civili hanno abbandonato le loro case dando vita ad un grosso esodo verso le altre zone del paese ritenute più sicure.
Anche se effettivamente di zone sicure in Iraq al momento non ci sono. Sabato 7 in tutta Baghdad si sono registrati almeno 60 morti e altrettanti feriti in seguito ad una serie di attacchi bomba che hanno preso di mira soprattutto i quartieri sciiti. Contemporaneamente nell’università di Ramadi, che si trova cento kilometri ad ovest della Capitale, miliziani jihadisti avevano preso in ostaggio circa 600 studenti prima che le forze speciali irachene li avevano costretti al ritiro. Situazione simile a Samarra, dove giovedì scorso sempre le forze ostili al governo avevano occupato per qualche ora la città, prima di ritirarsi lasciando dietro di sé la solita scia di sangue. E ancora lunedì un duplice attentato kamikaze ha causato 30 morti e quasi 200 feriti a Tuz Khurmatu.
La situazione in Iraq rimane dunque tesa; la guerra tra membri delle varie confessioni religiose continua e sempre voler tornare ai livelli critici del 2006/2007, quando migliaia di morti sconvolsero il paese. Non c’è pace nella “terra in mezzo ai fiumi”, e quei territori che furono un tempo la culla della civiltà sono oggi l’emblema dell’abbruttimento della società, dell’irragionevolezza umana, e dell’estremismo religioso.
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