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Sekiro: Shadows Die Twice, un’impresa titanica

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Sekiro: Shadows Die Twice, l’ultimo videogame sviluppato da From Software per Pc, Xbox One e PS4, non delude le aspettative e si presenta come un titolo estremamente difficile, fatto per chi ha pazienza e soprattutto voglia di imparare dai propri errori. In un mix esplosivo fra dinamiche simili alla saga di Dark Souls insieme a componenti presenti nel primo originale Tenchu per Psx (sviluppato anche da From Software nel 1998). In questa nuova avventura la software house in partnership con Activision abbandona il mondo medioevale/fantasy dei Souls per abbracciare il Giappone feudale. Il titolo infatti è ambientato nel periodo Sengoku, un’epoca di crisi e molteplici conflitti interni che caratterizzarono il paese del Sol Levante tra la metà del XV secolo e l’inizio del XVII secolo. In Sekiro: Shadows die Twice il giocatore impersona il Lupo, uno shinobi dotato di straordinarie capacità al quale è stato affidato l’onere, e l’onore, di proteggere l’Erede Divino, un giovane dal retaggio nobile nel cui sangue scorre un potere immenso capace, almeno così si dice, di sconfiggere addirittura la morte. Quando i comandanti del clan Ashina, una delle famiglie più influenti del periodo, iniziano a intravedere la possibilità che il loro dominio, ottenuto pochi anni prima attraverso un sanguinoso conflitto, venga messo in discussione dall’autorità del governo centrale, decidono di rapire l’Erede Divino per tentare di sfruttare il suo potere a loro vantaggio. Il protagonista, nel prologo-tutorial del gioco, tenta invano di salvarlo, finendo per perdere il proprio braccio sinistro. In suo soccorso arriva però un misterioso scultore, il quale non solo gli salva la vita, ma installa una protesi meccanica al posto dell’arto mozzato consentendo al Lupo, anche conosciuto come Sekiro, di tornare a combattere e di rimettersi sulle tracce del suo giovane Signore. Da questi eventi ha inizio l’avventura del Lupo, un’avventura difficile, che richiederà impegno e pazienza, che farà perdere le staffe per via della sua accentuata difficoltà, ma che sa anche regalare grandissime emozioni quando si riesce a superare un boss che sembrava impossibile da battere. La formula utilizzata da Sekiro è crudele ma in realtà non è nulla di nuovo. Il titolo di From Software e Activision infatti rispolvera la formula con cui, nei lontani anni 80 e 90 si giocava ai videogame, ossia: muori e riprova finché non ci riesci. Non ci sono scorciatoie o trucchetti che tengano, se si vuole arrivare alla fine del gioco servirà infatti pazienza, sangue freddo, nervi d’acciaio e soprattutto una grande, anzi grandissima dose di buona volontà. Insomma, in Sekiro chi si ferma è perduto. La produzione, visto l’altissimo livello di sfida e soprattutto visto il tipo di gioco, non è un titolo adatto a tutti, è molto probabile infatti che i casual gamer si arrendano quasi subito. Questo videogame, invece, è una vera e propria sfida per giocatori “duri”, per chi si vuole mettere in gioco e soprattutto per chi vuole riscoprire la bellezza di giocare in single player per portare a compimento un’impresa titanica, ma assolutamente non impossibile. La nostra esperienza con Sekiro, per ottenere il finale migliore ci ha tenuto impegnati per una sessantina di ore, ma se si vuole scoprire ognuno dei 4 epiloghi, ogni volta che si porterà a termine il gioco verrà proposta un’avventura nuovo +, dove potenziamenti e bonus ottenuti rimarranno attivi, ma i nemici saranno molto più forti e in alcuni casi introdurranno delle novità. Insomma, se si vuole completare Sekiro al cento per cento sono necessarie (per un giocatore medio) una gran dose di pazienza e moltissime ore di gioco.

Il nuovo gioiello di From Software è un titolo action in terza persona, e come tale lascia dietro di sé praticamente tutta la componente ruolistica che caratterizzava i vari Dark Souls e Bloodborne, prima su tutte quella riguardante la creazione e lo sviluppo del personaggio tramite numerose caratteristiche. In Sekiro: Shadows die Twice il giocatore controlla un protagonista ben definito, dotato di una propria personalità e di due sole caratteristiche base, ovvero Vitalità e Forza d’Attacco. Dalla prima dipendono la salute del protagonista e la postura, ovvero la capacità di mantenere l’equilibrio nonostante i colpi avversari, mentre la seconda ha, come facilmente intuibile, un impatto sulla quantità di danni inferta dal protagonista con la sua katana, unica arma principale presente nel gioco. A questa si affiancano poi gli “Strumenti Prostetici”, ossia alcuni speciali gadget che possono essere installati dallo scultore nel braccio meccanico del protagonista dopo essere stati raccolti nel mondo gioco, e che gli conferiscono la capacità di usare un rampino, di lanciare shuriken, di colpire i nemici con una potente ascia a molla, di sfruttare una lancia per trafiggere i nemici o per eliminare le armature più rudimentali, di lanciare getti infuocati e molto altro ancora. In totale nel gioco sono presenti 10 strumenti prostetici differenti, alternabili liberamente e che possono essere potenziati consumando risorse e Sen, la valuta presente nel gioco. Andando avanti nella storia il giocatore ha poi la possibilità di utilizzare svariate abilità, utili sia in fase difensiva che in fase offensiva, il cui sviluppo e utilizzo è in questo caso leggermente più articolato. Nel gioco esistono diversi tipi di arti di combattimento, di arti marziali shinobi, di abilità latenti e di tecniche Ninjustu, che si differenziano tra loro per modalità di utilizzo e metodo di apprendimento. In generale tutte le capacità possono essere sbloccate in due modi: o superando punti specifici della trama o consumando i punti abilità accumulati raccogliendo esperienza fino a quel momento, a patto di aver già raccolto il tomo relativo alla quella specifica tipologia di arte. Le abilità latenti e le arti marziali shinobi, una volta apprese, entrano subito a far parte del ventaglio di capacità in possesso del protagonista, offrendogli dei vantaggi passivi o la possibilità di eseguire mosse in specifiche situazioni. Le arti di combattimento e le tecniche Ninjutsu, che permettono al giocatore di eseguire attacchi speciali o di perfezionare le sue doti stealth, invece devono essere inserite nello slot dedicato presente nel menù ed è possibile tenerne attiva solo una per volta. Insomma, come gli appassionati dei Souls avranno notato, il tipo di gioco è leggermente diverso da quanto visto negli altri titoli di From Software. Strumenti e abilità rivestono un ruolo fondamentale all’interno di quelli che sono, di fatto, i veri tratti distintivi di Sekiro: Shadows die Twice, ovvero il sistema di movimento e il combattimento. Il protagonista infatti è dotato di capacità atletiche particolari che gli permettono di saltare, di scivolare, di appendersi alle sporgenze e di raggiungere punti apparentemente fuori dalla sua portata sfruttando il rampino installato nella sua protesi shinobi. Lupo però essendo un ninja ha la capacità di nascondere la sua presenza agli avversari muovendosi in posizione accucciata, usando ripari, camminando sotto il pavimento delle tipiche case giapponesi o scomparendo nell’erba alta e nell’acqua. Sfruttando tutte queste tecniche il protagonista può facilmente evitare gli scontri, ridurre le distanze che lo separano dai suoi obiettivi o coglierli di sorpresa con un colpo mortale. Il lupo può sfruttare le sue abilità anche per tendere imboscate, attirare i nemici in determinate zone e colpirli dove non desta sospetto, e proprio in questo (assieme alla pioggia di sangue in stile Tenchu quando si elimina un nemico) sta la genialità del titolo. In ogni caso, è bene sottolineare che finire il gioco senza dover combattere è impossibile, in Sekiro: Shadows die Twice si deve ricorrere alla katana tanto, sia contro i nemici semplici che pattugliano le aree di gioco, sia contro nemici speciali e boss. A caratterizzare le diverse tipologie di avversari, oltre al livello di difficoltà degli scontri, spicca la gestione delle caratteristiche principali degli stessi, che ricalcano quelle del protagonista. Ogni personaggio è infatti dotato di una certa quantità di salute e di postura. La prima può essere danneggiata portando a segno i colpi mentre la seconda diminuisce ogni volta che il personaggio para, vede un suo attacco che viene deviato o subisce una contromossa. Quando la postura, la cui velocità di recupero dipende anche dalla salute e dalla capacità del giocatore di rimanere in guardia, arriva a zero, il personaggio può essere sbilanciato, esponendosi ad un colpo mortale capace di causare la morte istantanea dello stesso, almeno quando si tratta di nemici base. Generali, boss intermedi e boss principali invece dispongono di più barre della vitalità, il che richiede al giocatore di mettere al tappeto più volte questi specifici avversari, i quali però spesso lo ricompensano con oggetti fondamentali per proseguire, come nuove tecniche o con “Grani di Rosario” utili per aumentare la vitalità e “Ricordi” che fanno crescere la forza di attacco del Lupo. In Sekiro: Shadows Die Twice viene inserita la meccanica del Colpo Mortale (presente anch’essa in Tenchu) per eliminare gli avversari in un colpo solo. C’è la possibilità di sorprendere i nemici alle spalle o da dietro ed eliminarli facilmente, ma per quanto riguarda gli avversari più forti e nei combattimenti sarà possibile sferrare un colpo mortale a patto di rompere la postura del nemico. Questo comporta non dare tregua al nemico, poiché l’indicatore si svuota a velocità variabile a seconda di chi si ha di fronte, e al tempo stesso giocare d’astuzia perché la postura è strettamente legata alla salute: meno se ne ha, più lento sarà il suo ripristino. Ecco quindi che torna quel concetto di pazienza e dedizione alla base non solo del gioco ma dell’intera filosofia su cui è costruito. Il problema è che la ferocia con cui sono stati programmati questi boss secondari li rende a volte al pari dei boss primari e soprattutto una prova alla quale non ci si sente mai pronti, persino quando si pensa di essere progrediti a sufficienza.

Per quanto riguarda il sistema di controllo base nel corso dei combattimenti prevede l’utilizzo del tasto dorsale destro per sferrare gli attacchi, di quello sinistro per parare o deflettere con il giusto tempismo i fendenti dei nemici e l’utilizzo simultaneo dei due tasti per attivare l’arte di combattimento equipaggiata. A questo vanno aggiunte poi la possibilità di effettuare schivate e saltare sfruttando i tasti frontali, due mosse indispensabili per evitare le 3 tipologie di colpi speciali in possesso dei nemici che vengono preannunciate a schermo dalla comparsa di specifici kanji (ideogrammi giapponesi), la capacità di utilizzare gli strumenti prostetici equipaggiati o il rampino, delegati ai due grilletti posteriori, e la possibilità di combinare insieme tutti questi effetti. L’utilizzo di questi strumenti, rampino a parte, non è però illimitato e prevede il consumo di “Emblemi Spiritici”, che possono essere raccolti esplorando, uccidendo nemici o possono essere acquistati pregando presso gli idoli dello scultore, ossia l’equivalente dei falò visti in Dark Souls. Per chi non lo sapesse quando ci si ferma a pregare (a riposare nella saga di Dark Souls) sarà possibile recuperare vitalità, recuperare oggetti curativi e potenziare il personaggio. Inoltre gli idoli fungono da checkpoint e consentono al giocatore di viaggiare da un’area all’altra di quelle scoperte nel mondo di gioco. In Sekiro: Shadows die Twice, come è abitudine nei titoli targati From Software, viene permesso giocatore di utilizzare una vasta gamma di oggetti, equipaggiabili in uno specifico menù rapido che può essere passato in rassegna in qualunque momento tramite la croce direzionale. Tra questi, oltre ai classici consumabili curativi o che incrementano specifiche caratteristiche, sono presenti una borraccia, che nel titolo prende il posto della famosa fiaschetta Estus, che consente al giocatore di recuperare un po’ di salute. Una volta terminati gli usi, come già detto, il giocatore non può fare altro che recarsi presso uno degli idoli dello scultore e ricaricarne il potere, consentendo però ai nemici eliminati nelle varie zone di tornare in vita, proprio come accadeva nei precedenti titoli di From Software. Quando diciamo che Sekiro è un titolo difficile, punitivo e a volte tremendamente irritante, lo diciamo con cognizione di causa. Durante l’avventura, infatti, dopo esser morti non esiste la possibilità di tornare a raccogliere i propri resti in caso di sconfitta. Quando muore, il giocatore perde irrimediabilmente metà dei punti esperienza accumulati fino a quel momento, che però si azzerano ogni volta che si sblocca un punto abilità, e metà dei Sen raccolti. Una punizione severa, ma che si accompagna ad una caratteristica inedita. Come conseguenza dei suoi servigi all’Erede Divino, Lupo ha ottenuto la capacità di risorgere dalla morte, il che significa che non sempre cadere in battaglia equivale al dover ripartire dall’ultimo checkpoint visitato. Sekiro ha infatti la possibilità di sfruttare il potere del Drago che risiede nel suo sangue per rinascere e continuare a combattere, seppur con delle precise limitazioni. Innanzitutto non può risorgere a suo piacimento, ma solo una volta, almeno nelle fasi iniziali. Dopo aver esaurito questo “bonus” la morte è definitiva e si riparte dall’ultimo checkpoint, con tutto ciò che ne consegue. Per ripristinare il potere dopo l’utilizzo è ovviamente sufficiente riposare presso uno degli idoli, ma questa non è l’unica via. Abbattendo nemici e mandando a segno colpi mortali, il protagonista può infatti ripristinare il potere del suo sangue senza dover riposare. Il “rovescio della medaglia” è però rappresentato dal Mal del Drago, un morbo che si diffonde nel mondo di gioco quando il sangue del protagonista entra in “stagnazione” in seguito alle troppe morti consecutive ed egli inizia ad attingere a quello dei vari personaggi o vendor per tornare in vita. Un evento fortunatamente reversibile, ma che ha effetti tangibili sullo sviluppo del gioco, primo su tutti la possibilità di ottenere il cosiddetto “Aiuto Divino”. Il protagonista in caso di morte può infatti ricevere una sorta di “grazia”, che gli consente di rinascere senza alcuna penalità. La possibilità di ottenere questo favore parte da un limite massimo del 30% e diminuisce gradualmente al diffondersi del Mal del Drago, esponendo il giocatore a conseguenze più durature per ogni sconfitta subita. Ovviamente, essendo un titolo single player, differentemente da Dark Souls, il giocatore non potrà ricevere nessuna mano da un amico facendolo entrare nella propria partita. Qui si combatte da soli, si muore da soli e si vince da soli. Inoltre, tale regola è a nostro avviso assolutamente coerente in quanto se si fosse in due contro un boss, danneggiare vita e postura sarebbe un gioco da ragazzi in quanto un giocatore si limiterebbe ad attirare il nemico mentre l’altro lo colpirebbe ripetutamente alle spalle. In Sekiro si è volutamente soli, ma ciò è un bene in quanto da ogni sconfitta si impara qualcosa e a ogni vittoria ci si sente estremamente emozionati e orgogliosi di se stessi.

Come ogni produzione From Software che si rispetti, anche in questo caso il level design è un aspetto che è stato curato parecchio. In Sekiro ci sono paesaggi mozzafiato, mappe stupende, visivamente evocative grazie al loro fascino orientale espresso nel miglior modo possibile. Grazie alla mobilità del protagonista, data dall’utilissimo rampino, le aree di gioco acquistano un’ulteriore dimensione, quella verticale, aspetto che le rende ancora più complesse che in passato. Le classiche scorciatoie che collegano le diverse mappe sono sempre presenti, anche se meno d’impatto rispetto ai Dark Souls. Ciò che invece non cambia è la bellezza delle fasi d’esplorazione, durante le quali si apre la caccia dei segreti di ogni mappa: oggetti e altri misteri nascosti in angoli impensabili. Parte del background narrativo è poi tutto da scovare osservando le ambientazioni, che offrono scorci evocativi e pregni del fascino nipponico che qui si unisce al gusto della corruzione palpabile tipica delle produzioni From. Tecnicamente parlando Sekiro si presenta con un’ottima qualità grafica, che però non fa gridare al miracolo se paragonata ad altri titoli recenti. D’altronde il dettaglio grafico non è mai stato il punto di forza della software house e lo si vede in modelli poligonali mai troppo particolareggiati e in alcuni difetti ricorrenti come la telecamera a volte problematica nelle fasi più concitate della battaglia, compenetrazioni poligonali con cui è possibile colpire o essere colpiti attraverso i muri e texture non di altissima qualità. Questi difetti sono comunque sopperiti dall’elevata qualità artistica delle ambientazioni, di cui vi abbiamo appena parlato, e dalle animazioni rese in maniera perfetta. Aspetto, quest’ultimo, fondamentale in un titolo in cui il combattimento è basato principalmente sulla lettura delle mosse del nemico. Ultimo ma non per questo meno importante elemento è il comparto audio. Sekiro riesce a stupire anche per quanto riguarda questo aspetto, infatti, le musiche sono evocative e sempre coerenti con ciò che succede sullo schermo, gli effetti sonoro sono altrettanto incredibili e sentire il clangore delle spade che si colpiscono l’un l’altra durante un duello o il vento che soffia tra gli alberi è davvero da brivido. Il titolo poi, differentemente da quanto visto nelle vecchie produzioni di From Software, è doppiato interamente in un ottimo italiano. Grazie a questa importantissima aggiunta sarà possibile per tutti capire meglio la trama e avere un quadro globale ancora più preciso. Ovviamente il titolo può essere giocato in molte altre lingue come l’inglese e anche in giapponese. Tirando le somme, Activision e From Software con Sekiro: Shadows Die Twice hanno aggiunto alla bellezza di un gameplay e un combat system del tutto rinnovato, la durezza e la difficoltà che hanno da sempre caratterizzato la serie Souls. Lo ripetiamo ancora una volta, questa produzione non è assolutamente adatta a qualsiasi tipo di giocatore in quanto richiede impegno, pazienza, costanza e nervi saldi. Morire, morie e ancora morire non piace a nessuno, proprio per questo motivo è facile scoraggiarsi presto. Se invece si è alla ricerca di una sfida straordinaria, di un titolo appagante, di un videogame che mette alla prova le proprie capacità, Sekiro rappresenta tutto ciò di cui avete bisogno. A nostro avviso un titolo del genere non può mancare in casa di ogni buon giocatore, ma se avete la possibilità di poterlo provare perché siete indecisi sul doverlo acquistare o meno, fatelo, in quanto portare a termine l’avventura del Lupo è una vera e propria impresa.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9

Sonoro: 9,5

Gameplay: 9,5

Longevità: 9,5

VOTO FINALE: 9,5

Francesco Pellegrino Lise

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Nobody Wants to Die, il videogame thriller in salsa cyberpunk

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Nobody Wants to Die, titolo sviluppato da Critical Hit Games disponibile su Pc, Xbox e PlayStation, è un’avventura di stampo noir ambientata nella città di New York del 2329. Protagonista dell’avventura è il detective James Karra che si trova a dover indagare su una serie di misteriosi omicidi. Il poliziotto però non è solo, ma dovrà affrontare le indagini assieme alla giovane collega Sara Kai, suo braccio destro nonché personaggio fondamentale nel corso della storia. Fin dai primi passi mossi in questo thriller decisamente molto curato per quanto riguarda l’aspetto grafico, siamo rimasti affascinati dall’atmosfera da detective story in stile Blade Runner, dove però il focus devia totalmente dalle dinamiche di combattimento che ci si aspetterebbe. Nel corso di tutta la durata di Nobody Wants to Die, infatti, non si incontrerà alcuna sequenza di combattimento. Un vero peccato perché a nostro avviso qualche sparatoria avrebbe sicuramente messo più pepe al tutto. Come si può intuire, quindi, i cardini della produzione sono racchiusi tutti in tre elementi: storia, personaggi e ambientazione. A livello narrativo l’avventura ha inizio con il detective James Karra che torna a lavorare in polizia dopo un recente incidente in seguito al quale sembra aver avuto delle conseguenze sulla sua salute psichica. Proprio nel suo giorno di riposo viene incaricato dal suo capo di indagare sul presunto suicidio di uno degli uomini più ricchi di New York, Edward Green. L’uomo si accorgerà ben presto però che il caso affidatogli non è quel che sembra e, in compagnia della sua collega, Sarah, si troverà invischiato in un intrigo politico estremamente pericoloso e complesso.

Fra livelli che si sviluppano in verticale man mano che aumenta il tenore di vita dei cittadini, auto volanti che affollano i cieli ed enormi insegne luminose a fendere l’oscura decadenza di una metropoli in cui piove sempre o quasi, l’ambientazione di Nobody Wants to Die si ispira in maniera palese a Blade Runner ed è ovviamente un peccato che la si possa solo ammirare da lontano. Sono presenti infatti sequenze in cui il protagonista si ritrova a contemplare il profilo della sua New York e il traffico che scorre fra i palazzi, magari mentre si affaccia dallo sportello aperto della sua stessa auto volante. Tuttavia, una volta messo in moto il veicolo, l’atto di viaggiare verso una qualsiasi destinazione viene rappresentato in maniera automatica, senza la possibilità di pilotare il mezzo. Di fatto i momenti in cui viene concesso di esplorare lo scenario sono pochi e limitati, a dimostrazione di come il contorno scenografico dell’avventura sia appunto questo: un semplice sfondo, pensato per arricchire e contestualizzare un gameplay che di fatto si limita all’analisi delle scene del crimine o ai puzzle che concludono un’indagine andando a sommare i vari elementi. A livello di giocabilità, una volta giunti sulla scena del crimine si può azionare un dispositivo in grado di “riavvolgere il tempo” e rivelare elementi da approfondire e visualizzare, ricorrendo anche ad apparecchi come la fotocamera, la lampada UV e il visore a raggi X per ricostruire di volta in volta ciò che è accaduto e chi ha fatto cosa. Questa parte dell’esperienza è piacevole e molto ben coreografata, ma come detto risulta parecchio guidata. L’interfaccia del gioco, infatti, dispensa suggerimenti in continuazione, al punto che la modalità di visualizzazione teoricamente deputata a fornire dei consigli si rivela inutile. Viene detto fino a dove far scorrere il tempo, che strumento utilizzare e quando, rendendo futile persino la ruota di selezione dei dispositivi; e così anche il gameplay stesso di Nobody Wants to Die si rivela semplicemente funzionale alla narrazione e nient’altro.

L’ambientazione oscura scelta dal team polacco è di certo la componente meglio riuscita dell’intera produzione perché, al netto delle sue evidentissime ispirazioni, riesce a far emergere una discreta personalità all’interno delle suggestioni cyberpunk grazie ad un retro-futurismo datato ma efficace: l’impatto scenografico prestato da Blade Runner è qui mescolato ad un’estetica anni Quaranta, generando una dose di malinconia mista a tristezza nell’osservare auto volanti e dal design antiquato sfrecciare tra le piogge acide di una notte perenne. La colonna sonora doom jazz accompagna le elucubrazioni di un protagonista costretto a vivere per sempre nonostante la mancanza di stimoli reali, tratteggiando i confini di un universo in cui l’immortalità non è un dono, ma una condanna a vivere con i propri rimorsi. L’Unreal Engine 5 è qui utilizzato per donare un elevato grado di dettaglio ad ambientazioni contenute e ben diverse tra di loro, con un preset “Qualità” che fa sfoggio di un ray tracing corposo e di un’illuminazione efficace, mentre quello “Prestazioni” – che mantiene stabilmente i 60 fps – smorza il colpo d’occhio facendo calare la definizione e riducendo i giochi di luce. Tirando le somme possiamo dire che questo Nobody Wants to Die è nel complesso un’avventura a base narrativa caratterizzata da un’affascinante ambientazione cyberpunk, che attinge a piene mani da alcune opere piuttosto celebri, come il già citato Blade Runner, per raccontare una storia interessante e coinvolgente, costruita interamente sui due protagonisti. È vero: il gameplay si limita all’analisi delle scene del crimine e gli sviluppatori non hanno osato sconfinare, infarcendo anzi le meccaniche investigative di suggerimenti contestuali che rendono l’esperienza parecchio guidata, ma non per questo meno piacevole. Se quello che si cerca è un titolo tranquillo, con un’ambientazione molto suggestiva e che sia privo di una componente action, allora Nobody Wants to Die è il titolo che fa per voi.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5
Sonoro: 8
Gameplay: 7
Longevità: 6,5

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise

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Threads in forte ascesa, superati i 200 milioni di utenti

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Threads, l’ultimo nato fra i social di Meta, ha superato il traguardo dei 200 milioni di utenti. Lo ha affermato con un post online Adam Mosseri, capo di Instagram, sulla cui rete Threads si basa. L’annuncio arriva un giorno dopo che Mark Zuckerberg aveva dichiarato durante una call sugli utili di Meta, che l’app stava per raggiungere i 200 milioni di utenti. In passato, il fondatore di Facebook ha più volte ipotizzato che Threads mira a diventare un social da un miliardo di iscritti. “La mia speranza è che Threads possa ispirare idee che uniscano le persone e che questa straordinaria comunità continui a crescere. Grazie a tutti per aver investito il vostro tempo e fornito feedback che rendono questo posto migliore per tutti” ha scritto Mosseri dal suo profilo su Threads. Come concorrente di X, l’app deve ancora risolvere alcune lacune che la differenziano ancora dal colosso guidato da Elon Musk. Come scrive Engadget, la stessa Meta è conscia del fatto che l’algoritmo che presenta i post in tempo reale di X sia molto più veloce di quello su Threads. “Non siamo ancora abbastanza veloci, e stiamo lavorando attivamente per migliorare” ha proseguito Mosseri. In ogni caso i numeri parlano chiaro, Threads in poco tempo sembra aver conquistato un elevato numero di utenti e sembra che il fenomeno sia destinato a crescere. Riuscirà a diventare la nuova punta di diamante di Meta? Lo scopriremo solo seguendo gli sviluppi e la crescita di questo giovanissimo social media.

F.P.L.

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Luigi’s Mansion 2 HD, il titolo icona del 3DS torna su Switch in alta definizione

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Luigi’s Mansion 2 ritorna, a più di 10 anni dalla sua uscita originale su Nintendo 3DS, in versione rimasterizzata per Nintendo Switch. Questa nuova edizione in alta definizione del piccolo capolavoro del colosso nipponico offre l’opportunità di rivivere una delle avventure più amate del fratello di Mario, con una veste grafica rinnovata e alcune migliorie tecniche. Ma come si comporta questo titolo del 2013 nel panorama videoludico attuale? Analizziamo nel dettaglio questa riedizione per scoprire se il fascino di Cupavalle resiste ancora alla prova del tempo oppure è destinato a soccombere sotto il peso degli anni. Seguendo in modo abbastanza diretto dal primo episodio, uscito su Game Cube nel lontano 2001, Luigi’s Mansion 2 HD (al tempo Luigi’s Mansion 2 o Luigi’s Mansion Dark Moon negli Usa) catapulta i giocatori nuovamente nell’avventura con un incipit decisamente semplice: dopo la vittoria dell’idraulico in verde nel primo capitolo, i fantasmi si sono acquietati e vivono in serenità con gli umani, permettendo al Professor Strambic di continuare i suoi studi con grande efficienza. Un “misterioso intervento esterno”, però, distrugge e frammenta la pietra a forma di luna che teneva sotto controllo gli spiriti, mandandoli in agitazione e costringendo lo scienziato a chiedere il soccorso del miglior acchiappafantasmi in circolazione. Così in men che non si dica quel fifone di Luigi si trova nuovamente impegnato a catturare spettri con aspirapolvere alla mano e gambe tremolanti. Questa volta però non si troverà più in una sola, vasta, magione, ma dovrà spostarsi in differenti aree per recuperare i pezzi del cristallo, scoprire chi si nasconde dietro le quinte e ripristinare tutto alla normalità, assicurandosi che nessuno dei suoi amici sia finito nei guai. Il tutto è possibile grazie al genio di Strambic, che oltre a essere il massimo esperto di fantasmi è anche riuscito a sviluppare una tecnologia chiamata “pixeltrasporto”, in grado di muovere Luigi da una parte all’altra del mondo sfruttando schermi e telecamere come veicolo. Da qui inizia un’avventura tendenzialmente in linea con gli altri episodi, che vede il buon Luigi esplorare ogni angolo delle location da lui visitate alla ricerca di tesori, chiavi, fantasmi e segreti: insomma, tutto il necessario per proseguire di livello in livello e soddisfare le richieste di Strambic. Idealmente la progressione ricorda un po’ quella di un metroidvania, in quanto c’è la libertà di muoversi in aree tutto sommato limitate, da sbloccare di volta in volta, mentre vengono mostrati al tempo stesso tanti passaggi apparentemente inaccessibili, muri misteriosi che sembrano nascondere qualcosa, stanze prive di accesso o sistemi di controllo che sembrano non rispondere alle sollecitazioni di chi gioca.

Luigi questa volta avrà insomma un bel da fare dovendo ripuloire ben cinque magioni infestate nel tentativo di ricomporre la pietra a forma di Luna e domare gli ectoplasmi aiutato dal fido aspirapolvere Poltergust 5000, versione potenziata del modello 3000 comparso in Luigi’s Mansion, e da una torcia multifunzione. Sulla carta per avere la meglio basterebbe “sparaflashare” gli evanescenti invasori per poi pescarli con l’aspirapolvere assecondando i loro movimenti. Nella pratica, però, i dispettosi fantasmi faranno di tutto per vendere cara la melma ricorrendo a trucchetti, armature o alla forza bruta: tutte cose che costringeranno i giocatori a indebolirli, aggirarli o quant’altro prima di poter procedere con la cattura. Su 3DS, come accennato, queste meccaniche soffrivano un poco i limiti del sistema di controllo, ma qui sono una vera goduria e bastano davvero pochi minuti per prenderci la mano e farsi trascinare dalla moltitudine di interazioni escogitata da Next Level Games e Nintendo per spremere fino all’ultima goccia le possibilità del Poltergust 5000 e il pensiero laterale dei giocatori. Il Poltergust 5000 nasce per aspirare i fantasmi, OK, ma nulla vieta di invertire il flusso e/o sfruttarlo per sollevare tappeti, afferrare tende, tovaglie e in generale passare al setaccio le magioni infestate svelandone i vari segreti o espugnandone le ricchezze in modo da potenziare il proprio arsenale. Sempre grazie all’aspirapolvere si può, ad esempio, afferrare oggetti congelati e trasportarli fino alla fiamma più vicina, oppure gonfiare dei palloncini e creare una piccola mongolfiera per raggiungere aree altrimenti inaccessibili; e queste sono solo alcune delle tante interazioni possibili per sfruttare o aggirare i limiti fisici del gioco. La torcia a sua volta non si limita a rendere vulnerabili gli spiriti ma consente di attivare interruttori e meccanismi, mentre l’Arcobaluce – sorta di versione “mariesca” degli ultravioletti – è in grado di svelare porte e oggetti nascosti aggiungendo di fatto una dimensione extra all’avventura, obbligando così il giocatore a prestare particolare attenzione a tubi mancanti, zerbini e persino ai complementi d’arredo apparentemente asimmetrici. Attorno a queste dinamiche gli sviluppatori hanno costruito un sistema di enigmi incredibilmente sofisticato; le missioni inizialmente appaiono circoscritte, ma col procedere del gioco diventano sempre più elaborate facendo “esplodere” il level design delle singole magioni e servendo alcune delle boss fight più creative mai viste in un videogioco Nintendo. Di contro il cuore dell’esperienza resta la caccia, e anche sotto questo aspetto dopo le prime semplici battute è necessario ricorrere all’astuzia e a tutte le opportunità offerte dai propri strumenti, senza contare le occasionali disinfestazioni da ragni, piante carnivore e altre simpatiche creaturine che infestano le aree di gioco.

Se il titolo originale ha proposto una più che discreta esperienza portatile, in questa occasione è opportuno chiedersi se e quanto abbia giovato la transizione a una nuova piattaforma. La risposta è a nostro avviso: decisamente più performante ma meno “peculiare” rispetto alla piccola console portatile della grande N. A livello puramente visivo, nulla da dire: pur non raggiungendo le vette di Luigi’s Mansion 3, questa edizione HD del secondo capitolo risulta comunque molto curata, potendo godere di modelli e texture ricreati da zero e un impatto scenico dovuto al cambio di proporzioni dello schermo decisamente più efficace. Molto bene invece per quello che concerne il lato controlli, che tornano a contemplare l’utilizzo dell’analogico destro (assente su 3DS) per rendere più agile il movimento che su portatile risultava piuttosto sacrificato. Forse il cambiamento più importante che il gioco ha vissuto in positivo. Esplorazione e combattimenti risultano quindi più fluidi e divertenti, così come tutte le prove “speciali” che vedono variare il gameplay. Dove si paga lo scotto è nella trasposizione dell’esperienza “stereoscopica” originale: in particolare basta vedere i boss, comunque tuttora apprezzabili, per cogliere come la messinscena sia frutto di un design collegato allo speciale effetto visivo offerto dallo schermo superiore di Nintendo 3DS, risultando sacrificata, se non quasi banalizzata, quando riprodotta in modo tradizionale. E’ necessario, quando si parla di Luigi’s Mansion 2 HD evidenziare due note sulla longevità e il multigiocatore. Per quanto concerne la durata, il titolo si assesta sui livelli del terzo capitolo, quindi intorno alle 10/15 ore per una partita classica, salendo se si va alla ricerca del completismo, sebbene il tutto possa risultare un po’ allungato per via del continuo “vai e vieni” dovuto alla struttura a missioni. Per quanto riguarda il multigiocatore tocca constatare come il tutto sia in linea con il titolo d’origine, mancando quindi di una modalità storia cooperativa e limitandosi invece alla Torre del Caos in cui collaborare fino a 4 giocatori, in wireless locale o online, per superare le tante e appassionanti sfide proposte. Tirando le somme, poter tornare a giocare a Luigi’s Mansion 2 HD è sempre un piacere, soprattutto perché in termini di level design, struttura degli enigmi e gestione dell’arsenale è sicuramente il capitolo più interessante della serie, persino al netto del terzo. In più il salto in avanti per quanto riguarda il sistema di controllo offerto a suo tempo da 3DS rappresenta una vera benedizione, persino più gradita del passaggio all’alta definizione. Certo, aggiornare anche il sistema dei salvataggi sarebbe stato un gradito cambiamento, ma tutto sommato non possiamo lamentarci. Tuttavia tra gioco base, contenuti extra e tutte le cose da fare per completare il titolo al cento per cento, ci sarà da spassarsela davvero per molte ore.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8,5

Longevità: 8

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise

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