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di Silvio Rossi
La Direzione Aziendale di AMA, la municipalizzata capitolina che gestisce il servizio di raccolta dei rifiuti, ha licenziato trentasette dipendenti, assunti tra il 2008 e il 2009, a chiamata diretta. La decisione è stata presa, dall’AD Daniele Fortini, in accordo col sindaco Marino, dopo le condanne inflitte a Franco Panzironi, ex amministratore delegato della società, e a altri quattro dirigenti.
Non accade frequentemente che, in seguito a un’inchiesta giudiziaria, vengano prese azioni anche nei confronti di terze persone che, pur essendo coinvolti nei fatti contestati, non sono stati indagati direttamente. Si tratta di persone “politicamente vicine” a Panzironi, tra cui la figlia del caposcorta dell’allora sindaco Alemanno, il genero di un ex dirigente dell’azienda, tanto da far connotare l’inchiesta col nome di “parentopoli”.
Persone che hanno beneficiato di un trattamento di favore, sapendo di non meritare il posto di lavoro loro assegnato. Persone che, normalmente nella nostra Italia, non vengono comunque “toccate” dalle inchieste, perché sono solo i beneficiari di un malaffare che ha ben altri protagonisti attivi. Sono i vincitori di una lotteria che non hanno giocato, dove qualcuno ha estratto per loro il biglietto vincente.
Licenziare gli assunti per chiamata diretta, entrati in AMA solo perché figli di, generi di, parenti di, è l’unico sistema per sradicare questo vizio italiano, altrimenti, per un Panzironi che viene condannato, spesso senza neanche scontare un giorno di carcere, ci sono decine di favoriti, che beneficiano di queste pratiche, in attesa che un nuovo esecutore di ordini non riesca anche a promuoverli, sempre per meriti politici, o familiari, a qualche ruolo dirigenziale.
Ciò che però, nella vicenda appare incomprensibile, è il ruolo del sindacato. Alla dichiarazione dei licenziamenti, immediatamente c’è stata l’incomprensibile levata di scudi delle organizzazioni. La difesa dei lavoratori è un conto, ma non si possono porre tutti i lavoratori sullo stesso piano.
Chi “ruba” un posto di lavoro, non può essere assimilato a chi ha studiato, ha passato un concorso pubblico, ha fatto i sacrifici per meritarsi l’incarico. Difendere le persone assunte perché il padre era il caposcorta del sindaco, significa non mettersi dalla parte dei lavoratori, ma dalla parte dei disonesti. Un sindacato deve difendere chi lavora con merito, e chi non riesce a trovare un posto di lavoro, perché qualcun altro ha occupato il suo posto grazie al malaffare. Fare sindacato significa riuscire a distinguere il lavoratore onesto da quello disonesto, altrimenti non si è più credibili neanche quando si difendono i lavoratori onesti.
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