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Editoriali

SCHETTINO CONCORDIA: QUELL'INDIGESTA PARTECIPAZIONE ALL'UNIVERSITA' LA SAPIENZA

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Tempo di lettura 2 minuti Il Comandante Francesco Schettino, simbolo dell’Itala raffazzona, impreparata e un po’ sbruffona, è stato invitato ad un seminario alla Sapienza

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di Silvio Rossi

La notizia è esplosa dappertutto. Il Comandante Francesco Schettino, simbolo dell’Itala raffazzona, impreparata e un po’ sbruffona, è stato invitato ad un seminario presso l’Università La Sapienza di Roma, per commentare la ricostruzione dell’evento tragico dell’affondamento della Costa Concordia, che proprio in questi giorni sta restituendo gli ultimi macabri resti.

Stiamo parlando di un evento accaduto un mese fa ma di cui, per la stragrande maggioranza dei casi, ne è stata data notizia in maniera imprecisa. Qualcuno ha parlato di “lectio matgistralis”, forse non conoscendone perfettamente il significato, oppure avendo sentito solo parte della notizia senza averne conosciuto i dettagli. Immediatamente si è scatenata la satira. I più conosciuti umoristi del web, da Pinuccio (faccendiere pugliese che fa le finte telefonate ai personaggi famosi) alla Sora Cesira hanno ironizzato sulla presenza di Schettino al seminario, proponendo improbabili professori.

Il ministro all’istruzione Giannini e il rettore della Sapienza Frati hanno condannato l’episodio, giudicando antieducativa la presenza di Schettino e chiedendone spiegazione al professor Vincenzo Mastronardi che lo ha invitato al convegno.

Ma ci chiediamo: è davvero Schettino lo scandalo dell’Università?

Certo, essendo stato condannato in primo grado per la morte di 32 persone, sarebbe stato meglio evitare. Decisamente meglio. Se, così come ha asserito l’organizzatore del seminario, fosse stato proprio il comandante della Concordia a chiedere di partecipare per potersi difendere da ipotetiche accuse, sarebbe stato meglio gettare in pasto alla stampa e ai partecipanti il legale di Schettino che avrebbe dato vita ad una ricostruzione di indirizzo forense.

Allora verrebbe spontaneo chiedersi perché non ci si scandalizza per tutti quei personaggi invitati a vario titolo, non si sa per quali meriti, ai convegni, seminari, lectio magistralis e altro ancora, che non possono certo essere definiti “esperti della materia”? Perché accettare una laurea honoris causa in medicina a un attore, seppur bravo e simpatico, solo perché ipocondriaco? Perché non dire nulla del fatto che nella stessa data, allo stesso evento, è stata chiamata un’attrice, che doveva rappresentare una vittima (ma siamo all’Università o a teatro?), che è stata al centro dell’inchiesta che ha riguardato le raccomandazioni fatte dall’ex Presidente del Consiglio all’allora DG di viale Mazzini, Agostino Saccà?

Nei convegni organizzati dagli atenei italiani si vedono improbabili esperti in ogni settore, soubrette esperte di economia, attori laureati honoris causa in lettere antiche per aver recitato un classico, pseudo esperti chiamati solo per creare un contenzioso con gli scienziati veri.

 

Qualche anno fa agli onori della cronaca erano saliti corsi di laurea non giustificati, con solo due o tre studenti. Oggi, a seguito di una politica di tagli, la maggior parte di questi corsi non esistono più, bisognerebbe a questo punto verificare anche tra i convegni organizzati quanti hanno realmente valore universitario, o sono solo un’occasione per far prendere un cachet a chi probabilmente non ha tutti i titoli per parlare in un contesto così prestigioso.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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