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Editoriali

sceneggiata di renzi

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SCENEGGIATA DI RENZI IN PARLAMENTO

DI ROBERTO RAGONE

I sondaggisti sondano, e tante volte, quando non conviene a chi li foraggia,  non comunicano i loro risultati al grande pubblico, cioè a noi. Diciamola tutta: ormai la credibilità del premier è ai minimi storici, ben lontana da quando, da sindaco di Firenze, tuonava contro i ‘rottamandi’ – che poi sono ancora al loro posto. In realtà non aveva alcuna voglia di rottamarli, né ne avrebbe avuto il potere. Però sapeva che così facendo avrebbe demagogicamente attirato le simpatie di tutti, e così è stato – purtroppo. Non sapevamo cosa ci aspettava, a partire da Letta, liquidato con l’ormai famoso “Enrico stai sereno, nessuno vuole il tuo posto” e una pacca sulla spalla. La data fatidica si avvicina, e don Matteo ne fa di tutte per migliorare i risultati dei sondaggi, in vista del 4 dicembre. Se la riforma a molti non è chiara, è chiaro però l’impegno del presidente del consiglio per farla approvare; un impegno mai visto, con frequenti puntate in tutte le reti e in tutti i talk show politici possibili. L’abbiamo visto dalla Gruber, da Giletti, da Bianca Berlinguer; l’abbiamo visto contendere con Travaglio e Zagrebelski, confronti da cui è uscito massacrato, nonostante lui affermi il contrario; lo vediamo quotidianamente da tutte le parti, in particolare dove può mostrare la sua magnanimità, la sua vicinanza a chi è più sfortunato di lui – e magari ha perso la casa nel terremoto – inaugurare cose, annunciarne altre. Annunci, proclami, programmi, stanziamenti, promesse: si sprecano. Bisognava fare qualcosa per rialzare il suo personale indice di credibilità, visto che ormai a tutti appare sospetto tanto impegno per un referendum che alla fine dovrebbe essere espressione libera dei cittadini, e non l’espressione di una volontà distorta a tutti i costi. Alle spalle tuonano i cannoni di Napolitano, con l’artiglieria pesante; sul campo l’impegno di santa Maria Elena Boschi incontra vistose e ripetute gaffes, pietosamente taciute dai giornali-asserviti-al-potere – cioè quasi tutti. Abbiamo già visto Renzi battere il pugno sul tavolo a Bruxelles contro la Merkel & Co., lasciandoli allibiti. “Cosa mai avremo fatto?” avranno pensato, prima di capire che il nostro faceva così per accreditarsi contro i tanti – tutti – cittadini italiani che l’UE la vedono come fumo negli occhi, causa di austerity, suicidi, chiusura e fallimento di piccole e medie imprese, disoccupazione. Cioè proprio ciò per cui la UE ha lavorato, complice Monti e il suo ‘governo tecnico’. Che poi cosa avesse di tecnico non si sa, è stato un ‘governo disastro’. La sceneggiata dell’altro ieri in parlamento rientra nel solito programma di depistaggio. Da sempre, quando si sente minacciato da presso, Renzi depista i giornali, le TV e l’opinione pubblica. Spiace, a volte, dar ragione a Brunetta, ma davvero per mezz’ora il premier ha parlato del nulla. Se andiamo ad analizzare gli argomenti del suo discorso, possiamo rendercene conto. Aria fritta, cose vecchie, scontate, trite e ritrite. Quando Renzi parla di ‘frenetico immobilismo’ pronuncia un ossimoro, una contraddizione in termini: in realtà l’unico frenetico è lui, con la sua propaganda elettorale. E la sua frenesia si dimostra ogni giorno di più parossistica, con l’asserire slogan che dovrebbero accreditare il SI’ al referendum – compresa la scheda elettorale, dichiaratamente di parte. Quando parla dell’Unione, dice cose scontate, niente che non sia già a a conoscenza di tutti, compreso il grande pubblico. Conosciamo già i risultati del vertice di Bratislava, quello nel quale lui si è volutamente tenuto da parte per dimostrare cosa, poi, non s’è capito; e conosciamo anche gli effetti dello shock del referendum inglese – dopo del quale l’economia in UK ha ripreso a volare, con la prospettiva di un ribasso considerevole della tassa sul reddito. Le ‘importanti consultazioni elettorali’, espressione riferita alla sua carissima modifica costituzionale, sono importanti solo per lui, e non per tutta l’Unione. A meno che non vogliamo davvero credere alla tesi del complotto. Nota positiva, secondo lui, l’immaginare il futuro durante il prossimo vertice di marzo a Roma, “Sarà uno spartiacque importantissimo, cruciale, decisivo.” Che poi, a fronte di questo, Renzi ci voglia far credere di essere, proprio lui, quello che sconfiggerà l’attuale ‘paralisi dei leader europei’ e sarà capace di ‘lanciare da Roma una riforma dell’Unione tanto in campo economico, quanto su migranti, sicurezza e cultura’, proprio non ci convince. S’inventa poi i compiti a casa, affidando ai gruppi parlamentari, a cui chiede di ‘volare alto’, una serie di proposte sul futuro dell’Unione, per accompagnare e rinforzare il governo nello ‘sforzo’ di immaginare un percorso ‘inedito per l’Unione’. Non andiamo oltre. Il Bomba ha colpito ancora. Mentre i gruppi parlamentari avranno le mani occupate, a sentir lui, nello stilare proposte e programmi per l’Unione, verso la quale l’Italia dovrà avere una ‘posizione durissima’, il premier avrà già depistato l’attenzione dei media verso un falso scopo, anche solo un commento e una considerazione della posizione ‘forte’ da lui annunciata nei confronti della Merkel, di Schauble, di Schultz e Juncker.  Insomma, Renzi, a parole, vuole mostrare agli Italiani quei muscoli che si vanta di avere, ma che in effetti non possiede. Questo è il motivo per cui Brunetta – ripeto, a volte dispiace dargli ragione, ma quando ce l’ha, ce l’ha – ha reagito in quel modo. E ad essere piccato è stato proprio Renzi, scoperto in fallo e colto nel vivo, con la sua reazione, che tutti possono leggere nei vari tabella pubblicati sui giornali. Non è una novità. Renzi ci ha abituati alla sua parlantina inarrestabile, soprattutto quando va in televisione. Ormai non ci incanta più. Se ne renda conto, e si comporti di conseguenza, per una uscita onorevole e dignitosa dalla vita politica. 

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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