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di Silvio Rossi
Se qualche anno fa la politica era soprattutto riflessione, attesa, meditazione, e un capo di partito difficilmente effettuava la prima mossa, ma preferiva in genere giocare di rimessa, sperando di cogliere gli avversari in fallo, e poterli mettere in difficoltà, al giorno d’oggi la rapidità d’azione è una dote quanto mai apprezzata.
Tutta la campagna di Renzi, dalle primarie alla conquista di Palazzo Chigi, è stata condotta sull’anticipo rispetto ai propri competitor, laddove l’ex sindaco fiorentino riusciva generalmente a prendere in controtempo chi avrebbe voluto elaborare proposte alternative alle sue. Non è da meno l’altro Matteo della politica nazionale, che da via Bellerio ha cercato di capitalizzare immediatamente l’annuncio fatto il giorno prima dal sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che ha dichiarato di non candidarsi per un secondo mandato alla guida di Palazzo Marino.
Non più tardi di 24 ore dopo la pubblicazione della notizia, Salvini ha annunciato che si candiderà a sindaco, aprendo con largo anticipo la campagna per le eventuali primarie del centrodestra. Anche se, provocatoriamente, ha chiesto anche le dimissioni immediate di Pisapia con le elezioni anticipate, sapendo bene che non ci sono i tempi per giungere a tale eventualità, né tantomeno ci sono motivazioni politiche che possano indurre l’attuale primo cittadino a chiudere oggi la propria esperienza amministrativa.
Quali motivazioni hanno fatto annunciare al segretario della Lega una così anticipata scelta per la candidatura cittadina? Perché un politico che “stava studiando” per candidarsi a Palazzo Chigi, ripiega su una soluzione che, agli osservatori, potrebbe avere il sapore del «meglio un uovo oggi che una gallina domani»?
Innanzi tutto, proprio la data delle elezioni, ha influito notevolmente. Il governo, nonostante sembri reggersi sempre sul filo del rasoio, se assorbe senza colpo ferire la fuoriuscita di Lupi e i malesseri in NCD, potrebbe realmente arrivare alla scadenza del 2018, e una politica del continuo attacco con toni forti, cos’ com’è condotta da Salvini, alla lunga, potrebbe risultare controproducente, perché il potenziale elettore potrebbe stancarsi dei ripetuti improperi. La facilità di ottenere la candidatura milanese, inoltre, potrebbe non ripetersi a livello nazionale, dove bisogna in ogni caso riuscire a tener testa a un possibile ritorno dell’immortale Berlusconi. La maggiore forza del centrodestra nel capoluogo lombardo, inoltre, renderebbe più agevole la conquista della città, rispetto a una più rischiosa competizione nazionale, dove le forze di centrodestra sono oggi minoritarie.
Matteo Salvini, quindi, potrebbe cercare di capitalizzare i consensi nella competizione milanese, con la formula del «pochi, maledetti e subito», nella speranza di poter eventualmente ripetere la cavalcata verso la guida della nazione, partendo proprio dalla poltrona meneghina.
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