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di Silvio Rossi
Salvini è un politico navigato, e sapeva bene, al momento della presentazione del referendum per l’abrogazione della legge Fornero, che la Corte Costituzionale non avrebbe mai accolto la sua proposta. Non avrebbe potuto farlo, per due ragioni che non avrebbero potuto essere trascurate neanche chiudendo entrambi gli occhi.
La proposta della lega era inammissibile perché la legge non prevede la possibilità di presentare referendum su temi finanziari o di bilancio, e la spesa pensionistica ha un impatto notevole su quest’argomento. Inoltre non è possibile abrogare una legge se la sua cancellazione provocherebbe in automatico un ammanco di bilancio. Che nel caso di cancellazione della Fornero sarebbe pari a circa venti miliardi di euro, una cifra che corrisponde a un’intera finanziaria.
Salvini sapeva che il referendum non si sarebbe fatto, e allora perché ha portato avanti fino alla fine la proposta? Per cercare di cancellare le norme sulla pensione? Oppure per ottenere un facile consenso (la legge Fornero è forse la più odiata degli ultimi anni). Una mossa propagandistica per schierarsi dalla parte dei difensori del popolo?
Se veramente avesse voluto far modificare i tempi e le modalità per raggiungere il trattamento pensionistico avrebbe dovuto fare qualche proposta al governo, trattare, collaborare nel trovare le adeguate coperture economiche, e votare la nuova eventuale proposta di modifica migliorativa.
Ma tutto ciò costa, se non altro politicamente, perché si dovrebbe rinunciare ad assumere le posizioni di quelli sempre arrabbiati, di quelli che non fanno inciuci. È più facile mandare una proposta a schiantarsi contro un muro per poi urlare che è morta la democrazia, condita con un termine riciclato dai primordi delle manifestazioni grilline. Però, a queste azioni, viene da chiederci: a chi servono?
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