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Editoriali

Rosatellum, Carlassare: “Lo spirito della Costituzione è totalmente travolto”

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Viene da chiedersi a cosa serva avere formalmente una democrazia bicamerale, quando si può saltare a piè pari la discussione in aula, il cui scopo precipuo sarebbe esattamente quello, con il ricatto della fiducia al governo sull’approvazione di articoli di una legge elettorale che è stata elaborata ad arte per favorire certi giochi di potere in seno alla maggioranza e per zittire i cittadini.

Da sempre Renzi e i suoi alleati hanno mirato, piuttosto che al consenso della nazione, a quello dell’aula, tacciando di populismo – divenuto un termine negativo come ‘fascismo’- chi avrebbe invece voluto andare incontro alle reali necessità del paese e dei suoi cittadini: cioè quello che i padri costituzionalisti avevano considerato che dovesse esser presente in una legge elettorale. Ormai questi ultimi, i cittadini, sono solo delle comparse, anzi, dei figuranti, nelle alchimie politiche della Repubblica Italiana, gestita sui generis ormai da troppo tempo da chi ha dimostrato in generale poca serietà e poco rispetto per chi in questa nazione è costretto ancora a vivere (altri sono fuggiti all’estero). Favorendo, al contrario, coloro che nel mondo gestiscono il potere economico, a cui ogni bravo lacchè gentilmente s’inchina, ancorchè proveniente da oltreoceano, nel nome di una globalizzazione e di una Unione Europea che già troppi danni ha fatto alla nostra nazione.

“Ce lo chiede l’Europa” era il lasciapassare per qualsiasi assurdità venisse imposta agli operatori economici italiani, dalla misura delle vongole, alle più recenti erbe aromatiche per cucina, al lardo di Colonnata, secondo l’UE da eliminare perché antigienico. Senza contare, citato a caso fra le altre mille iniziative dirompenti, l’altro assurdo, terribile guasto che si era riusciti inizialmente a scongiurare, e che, uscito dalla porta, è rientrato silenziosamente dalla finestra, cioè la ricerca petrolifera nell’Adriatico entro le dodici miglia, con ‘air bomb’ che distruggeranno l’ambiente marino e causeranno l’ulteriore spiaggiamento di cetacei, una delle ultime specie in estinzione. Senza contare le successive trivellazioni, da cui l’Italia, per i cervellotici meccanismi delle regole di concessione petrolifera – ad usum delfini -, non riceveranno il becco di un quattrino, né una goccia di quel petrolio (peraltro di pessima qualità, e che sarebbe antieconomico estrarre, se non fosse per le più che lusinghiere offerte del nostro governo in tema di concessioni petrolifere, praticamente gratis.

 

E allora viene da chiedersi: cui prodest, se nessuno, in Italia ne ricava profitto?) che è stato falsamente spacciato come una risorsa, in sede, allora, referendaria, dato che il minerale appartiene non a noi Italiani, ma alla compagnia petrolifera che lo estrae. Dulcis in fundo, una riflessione: l’Adriatico è un mare chiuso, che cambia la sua acqua mediamente ogni cento anni. Le trivellazioni, inevitabilmente inquinanti, lo distruggeranno per un periodo non lontano da tale termine, in più creando sul fondo una fanghiglia oleosa e puteolente che impedirà ogni e qualsiasi ricrescita della flora marina, indispensabile per il nutrimento della relativa fauna. Con buona pace dei pescatori che da quei tratti di mare interessati dallo scempio traggono – ancora per poco – il loro sostentamento; con conseguente disoccupazione e abbandono dei piccoli paesi costieri da parte di chi andrà altrove a cercare il suo sostentamento. Tutto in ossequio alle grandi società che tutto corrompono e acquistano, soprattutto in sede decisionale. Mentre a noi gente comune fanno credere che a breve non si utilizzeranno più carburanti provenienti da giacimenti fossili, e mentre le grandi fabbriche automobilistiche sfornano sempre più auto elettriche. Ma tant’è: questi sono i governanti che hanno in mano il potere. La chiave di tutto sono le elezioni, appuntamento da cui da troppo tempo la nostra nazione latita, ed è quindi intuibile che si possano anche fare ‘carte false’ per mettersi in posizione di vantaggio.

 

Se il PD dovesse perdere la maggioranza politica – quella dei cittadini l’ha già persa da tempo, vedasi il risultato referendario sulla pretesa riforma costituzionale – ci sarebbe una ‘rivoluzione’. Il pericolo adombrato è quello dei ‘populismi’, nuovo termine per squalificare quella parte pur consistente del paese che vorrebbe che i provvedimenti presi in aula fossero a favore della nazione e della sua prosperità. Purtroppo è utopia pensare che, avendo installato i ‘suoi’ nei punti di potere, Renzi – sempre lui sullo sfondo, nonostante le indagini su Banca Etruria, su babbo Renzi e Co, su MPS e un sospetto omicidio – possa arrendersi e cedere così facilmente la poltrona e le sue più che redditizie fondazioni. Oggi, 12 ottobre, la Camera ha approvato sulla fiducia al governo il quinto e ultimo articolo del Rosatellum 2.0, legge elettorale più che opinabile sotto il profilo costituzionale, con 372 Sì, 149 No, e 6 astenuti. Eppure c’è ancora chi, in Italia, parla di ‘paese democratico’, di ‘rispetto della Costituzione’, di ‘Padri Fondatori’, di ‘Costituzione nata dal sacrificio di tanti Italiani, partigiani e non’, e altre amenità consimili, mentre Renzi tira fuori dal cilindro il fatto che ‘anche De Gasperi’ ha fatto ricorso alla fiducia. Come se si potesse fare un paragone fra lui e l’allora segretario della Democrazia Cristiana. Sbandierando, in più, come positivi, i due più grossi e conclamati fallimenti del suo governo, quasi fossero motivo di ripresa economica e culturale, e cioè la ‘Buona scuola’ – che se non se lo dicesse da sola, nessuno chiamerebbe ‘buona’ – e il Jobs Act, che ha causato più danni del tornado in Florida. Oltre ad avere una ‘ministra’ dell’Istruzione che non avrebbe neanche i titoli per un concorso pubblico, una ‘ministra’ della Salute che non ha titoli in campo medico, ma solo una qualunque maturità classica e un robusto legame – peraltro legittimo, fino a prova contraria – con le case farmaceutiche, e una ‘ministra’ della semplificazione che pare abbia copiato alcune parti significative della tesi di laurea – fino a prova contraria. Accusa da cui non risulta che si sia mai difesa.

 

A proposito della fiducia sul Rosatellum e sulla regolarità costituzionale del procedere del governo, abbiamo voluto chiedere un parere alla professoressa Lorenza Carlassare, prima donna ad avere accesso alla Consulta, e autorevole costituzionalista.

Professoressa Carlassare, ci siamo già sentiti in occasione del referendum costituzionale, a proposito del quale lei ha esposto le ragioni del suo dissenso. Oggi vorremmo chiederle cosa ne pensa del fatto che sull’approvazione della nuova legge elettorale sia stata posta la fiducia al governo.
E’ una cosa su cui non vorrei neanche soffermarmi troppo. Ormai penso che la correttezza e l’osservanza dei principi costituzionali sia qualcosa che non possiamo più aspettarci dai nostri politici. Certamente la legge elettorale non appartiene alla maggioranza né al governo. Il governo non dovrebbe entrarci proprio, quindi l’idea della fiducia sarebbe impensabile. L’hanno già fatto altri, e abbiamo sopportato, come stiamo sopportando un’infinità di cose. Non menzioniamo le altre, perché non mi pare che sia necessario.

Cosa ne pensa lei di questa legge elettorale, di questo ‘Rosatellum’?
Penso che non mi piace, e che come al solito il popolo sia obbligato alle scelte che hanno fatto le segreterie dei partiti e i loro vertici. Noi non abbiamo nessuna possibilità di scelta, anche per il fatto che ci sia una sola scheda in cui si deve votare, e che si voti insieme per un candidato in un collegio uninominale e per la lista. Almeno il voto disgiunto sarebbe stato un minimo di riguardo, ma non ci hanno dato nemmeno quello. Penso proprio male, le dico la verità.

Quindi una legge che non ha principi di costituzionalità?
Certamente, non so fino a che punto corrisponda all’idea di chi la Costituzione ha voluto, in quanto lo spirito della Costituzione è totalmente travolto, perché l’idea era quella che il Parlamento rispondesse almeno in parte alle diverse istanze che il Paese esprimeva. Guardi, l’idea dei costituenti era tutta un’altra.

Roberto Ragone

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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