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di Silvio Rossi
Roma – Erano anni che non andavo in Piazza Navona. Una volta era quasi un “obbligo” per un romano fare un giro tra le bancarelle della Befana, perché a differenza di quanto avviene in tutti i centri dell’Italia settentrionale e di gran parte d’Europa, il mercatino ricavato in ciò che resta dello Stadio di Domiziano, è destinato non al Natale, ma alla vecchietta che cavalcando una scopa, arriva nelle case dei bambini che abitano all’ombra del cupolone.
Non c’era più gusto a fare il giro a cercare le palle dell’albero lavorate, le statuine particolari del presepe, un oggetto artigianale. Ci s’imbatteva più facilmente in cineserie, in stand puzzolenti di porchetta o di kebab, in bancarelle che nulla avevano a che fare con le feste natalizie.
Quest’anno il primo municipio, con un provvedimento ideato da Jacopo Emiliani Pescetelli, giovane assessore al commercio, aveva provato a restituire al mercato parte del fascino che aveva negli anni passati. Seguendo una richiesta della sovrintendenza, che aveva suggerito una diminuzione della superfice adibita alle attività di vendita, che obbligava a una riduzione delle licenze distribuibili. Emiliani ha deciso di interpretare questa norma fissando dei criteri da rispettare per gli stand, escludendo quelli che vendevano oggetti che con le festività natalizie non c’entravano nulla.
Sarebbe potuto diventare la festa di piazza che molti bambini di tanti anni fa ricordavano, la festa dei prodotti artigianali, della qualità, del buon gusto. Ma il tentativo di qualificare la piazza trova contrari chi vuole puntare solamente sulla quantità, che ha posto come elemento non derogabile la concessione di 115 licenze, come lo scorso anno (il municipio ne aveva previste 72).
Una volta pubblicato il bando, e assegnate le licenze, l’ufficio del commercio del Municipio non ha visto nessuno presentarsi per il ritiro delle stesse. Una compattezza che fa pensare. Perché la scelta dei commercianti non sembra libera. Non è credibile che tutti, ma proprio tutti i titolari delle licenze preferiscono rinunciare ai guadagni del periodo più redditizio dell’anno. Si comprende più facilmente questo comportamento se i presidenti delle due associazioni che hanno armato la protesta sono Mario e Alfiero Tredicine, il primo dell’Associazione Commercianti di Piazza Navona, e il secondo dell’Apre Confesercenti di Roma. I fratelli Mario e Alfiero, zii del consigliere comunale Giordano, il più tenace oppositore delle delibere sull’organizzazione della piazza, fanno parte della famiglia di origine abruzzese che ha una posizione di predominio nel commercio ambulante capitolino, in particolare per quanto riguarda i camion bar che stazionano nei pressi dei principali monumenti romani.
Una quindicina delle licenze della piazza sono direttamente collegate alla famiglia (otto postazioni sono di Tania Donatella Tredicine), almeno altrettante sono di persone a loro collegate. Troppe le concessioni collegate tra loro per far pensare che gli altri commercianti siano liberi di poter aprire senza la loro “autorizzazione”.
L’assessore comunale al Commercio, Marta Leonori, ha espresso la sua solidarietà al collega del Municipio, appoggio che è stato fornito anche dalla Presidente del I Municipio, Sabrina Alfonsi, dal Commissario del PD romano, Matteo Orfini, e da molti esponenti del centrosinistra romano. Ha affermato che, in assenza delle bancarelle, riempiranno la piazza di giochi per i minori, di feste per restituire lo spirito gioioso tenuto in ostaggio dalla serrata dei commercianti.
Il 19 dicembre ci sarà la sentenza del Tar sul ricorso contro le regole organizzative. In attesa che il prossimo anno un nuovo bando possa avvicinarci alle regole europee per il commercio sul suolo pubblico.
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