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ROMA, ESCLUSIVA CASO MORO: I TEMPI CHE NON COINCIDONO, L'OMBRA DI UNA DONNA E L'INTERVISTA A GIULIO ANDREOTTI CON PARTI INEDITE REALIZZATA NEL 2008

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Tempo di lettura 7 minuti L'incognita dell'uomo e della donna che parcheggiarono al Renault 4 alle 8 del mattino

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Luca Pagni

Roma, aggiornamenti caso Moro e fatti inediti – Dove ed a che ora è stato assassinato Aldo Moro ? Perché Francesco Cossiga si trovava in via Cetani prima del ritrovamento? Diversi interrogativi riaffiorano e inevitabilmente portano ancora ad accendere i riflettori sul caso Moro. L’artificiere Vito Antonio Raso ha pubblicato il libro “La bomba umana” ed. Seneca, in cui affronta anche il caso Moro, anticipandone il ritrovamento di almeno 2 ore e con  l'avvenuto abbandono della Renault 4 con il cadavere dello statista ben prima della telefonata di Morucci al professor Francesco Tritto, collaboratore di Moro. Telefonata, che venne intercettata verso le 12:13 e nella quale si annunciava l'avvenuta esecuzione del presidente Dc ed il luogo in cui sarebbe stato possibile trovarne il cadavere.

Vito Antonio Raso ricorda che era presso la sede Commiliter quando la volante 23 della Polizia lo prelevò per portarlo in via Cetani. Durante il trasporto non sapeva ancora che lì avrebbe trovato il corpo di Aldo Moro chiuso nel bagagliaio di una Reanault 4 rossa, tra le 10,30 e le 10,45.

L’esperto artificiere ricorda che tra via delle Botteghe Oscure e via Caetani , “la situazione era tranquilla e non c’erano transennamenti o blocchi del traffico che facessero pensare ad un pericolo bomba. Il Commissario Federico Vito si trovava già sul posto ed era solo in una strada ancora deserta. C’era da controllare la Renault 4 perché era stata ricevuta una telefonata anonima e si riteneva che dentro potesse esserci una bomba. Dei bossoli esplosi erano posti sul tappetino anteriore sia dal lato guidatore che passeggero – continua la precisa descrizione – mentre giravo attorno alla macchina si avvicinò una ragazza alta, magra, capelli scuri e vestita in un modo che definirei “alternativo” che mi chiese a bruciapelo: “ ‘E’ vero che in quella macchina c’è il cadavere di Aldo Moro?’”.

Come faceva la ragazza a sapere che Aldo Moro era proprio in quella macchina ?

Vito Antonio Raso continua… “Cercai di mantenere la calma per evitare di mandarla a quel paese anche perché, conoscendo bene il bagagliaio e sapendo che Moro era di statura non certo piccola, non avrei mai pensato che sarebbe potuto entrare in quel piccolo spazio. Ma tant’è. Su L’Unità si parlò anche di una testimone che avrebbe visto un uomo ed una donna che parcheggiavano la Renault 4 verso le 8 del mattino.”

A proposito, dubbi e interrogativi sui nominativi di Valerio Morucci ed Adriana Faranda

Vito Antonio Raso continua a rivelare particolari della sua ispezione alla Renault 4

“Mentre ispezionavo l’auto mi avvicinarono il capo della Digos romana Domenico Spinella, il comandante del nucleo investigativo dei Carabinieri Colonnello Cornacchia, ed il Ministro Cossiga. Quando aprii lo sportello posteriore destro ed uscii dalla macchina. Il gruppetto di personaggi assieme a Cossiga era in fondo alla strada e io gli feci cenno di avvicinarsi. Quando furono abbastanza vicini, parlando a voce bassa per non farmi ascoltare da orecchie indiscrete dissi: “Ministro, dentro quell’auto c’è il cadavere di Aldo Moro”. Restarono impassibili. Nessun segno di sgomento o stupore, nè lui e neppure gli altri funzionari che gli erano accanto. Come se già sapessero”.

Curiosamente, secondo il racconto, erano da poco passate le 11,30 mentre le immagini ufficiali che sono collocate ben oltre le 13.30,infatti le prime riprese della tv privata Gbr furono girate intorno alle ore 14, alla prima identificazione del corpo fatta proprio da Raso.

Cosa accadde ? Perché mai Francesco Cossiga si recò due volte in via Caetani ? Tutto questo lo ha rivelato ieri l’Ansa creando sconcerto tra studiosi, giornalisti, e forse  anche tra i magistrati che hanno da poco deciso di riaprire il caso Moro.

Curiosamente le dichiarazioni più eclatanti sono venute a galla dopo la morte dei Senatori a vita Francesco Cossiga e Giulio Andreotti, che non possono più dire la loro.

Chi ha ucciso Aldo Moro? Chi aveva interesse ad abbandonarlo al suo destino ?

Il Giudice Imposimato documenta  che “L’operazione era stata neutralizzata da un ordine dall’alto”

A questi ed altre domande hanno cercato di rispondere in tanti, tra i quali annoveriamo Sandro Provvisionato e Ferdinando Imposimato (allora Giudice Istruttore) nel libro “Doveva Morire”, edito nel 2008 da Chiarelettere.

Essi provano che il sequestro Moro, partito come azione brigatista con l'appoggio della Raf e l'interesse di Cia, Kgb e Mafia, venne gestito dal Comitato di Crisi presso il Viminale.

Secondo Imposimato tutti prendevano ordini da Licio Gelli (Gran Maestro Venerabile della Loggia Massonica Propaganda due) che contava almeno 52 tesserati nelle strutture di indagine, ed era amico di Francesco Cossiga e Giulio Andreotti.

Tutti questi dopo il rapimento e la strage in via Fani il 16 marzo 1978, vanificarono le opportunità emerse per salvare Moro.

La Polizia giunse alla porta della prigione di via Gradoli 96 per perquisizioni già il 18 marzo 1978 ma all’interno 11 sc. A suonarono il campanello senza irrompere come dall’ordine di perquisire tutti gli appartamenti.

Imposimato denuncia che alla tipografia dove andava Moretti prima dell'assassinio, in via Pio Foà, l’Ucigos giunse il 28 marzo 2008 senza allertare ne la Procura di Roma ne la Digos, così come quando giunsero a via Montalcini 8 subito dopo la strage.

Dal 19 aprile 1978 non venne pedinato Teodoro Spadaccini che gestiva la Renault 4 usata per l'assassinio ed il trasporto di Moro.

Furono bloccati gli ordini di cattura emessi il 24 aprile 1978 contro pezzi da novanta del terrorismo, di cui molti presenti in via Fani per la strage.

Molti documenti scomparvero o vennero manomessi come i documenti e le registrazioni video del processo delle BR a Moro. Andreotti, Zaccagnini e Cossiga sostengono che Moro non abbia mai manifestato timori di sorta, ma tra le carte ritrovate c’è anche un appunto del Sismi diretto al Ministero dell’Interno in cui si accenna alle dichiarazioni di ORESTE LEONARDI ( n. 1926 – m. 1978 a cui Fabrizio Fratangeli nel 2008 ha fatto intitolare un giardino  tra via Casalinuovo, via Adolfo Ravà e via di Grotta Perfetta)

capo scorta di Moro su qualcuno che controllava anche in vacanza i movimenti del Presidente DC. Carmine Pecorelli, vicino ai servizi segreti, alludette sul primo numero di Osservatorio Politico (OP) al possibile sequestro di Moro prima del marzo 1978, e pure la Polizia sapeva che le BR volevano sequestrare a Roma un politico importante.

Sergio Flamigni ne “La tela del ragno. Il delitto Moro” asserisce che esisterebbe, tra le deposizioni dei brigatisti e le indagini peritali, una contraddizione non risolta giacchè Moretti e Maccari hanno detto che Moro fu ucciso nel garage di via Montalcini tra le sei e le sei e trenta ma le perizie stabiliscono che lo statista fu ucciso tra le nove e le dieci di mattina. E' probabile, quindi, che l'ostaggio sia stato portato sulla cesta situata nel bagagliaio della R4 in un'altra prigione situata nella zona del ghetto ebraico, per poi spostarlo dopo le 10 in via Caetani.

Francesco Mazzola descrisse in forma romanzata, ne I giorni del diluvio (Rusconi, 1985), un’operazione per liberare un ostaggio, secondo le modalità suggerite dal commissario Schiavone nella riunione presso lo Stato maggiore della Difesa. Nel romanzo di Mazzola, tuttavia, l’azione falliva perché il prigioniero era stato spostato.

“E invece Moro non era stato affatto spostato e venne ucciso nel garage di via Montalcini la mattina del 9 maggio 1978, come mi confermò anche Prospero Gallinari nel 2007 a Reggio Emilia.” Lo rivela Il Giudice Istruttore Ferdinando Imposimato, nel suo recente libro “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia” in cui si testimonia che i militari erano arrivati alla casa vicina a quella dove stava Moro. Hanno avuto l’ordine di fermarsi. “Erano arrivati a venti metri […]. Quindi lo sapevano benissimo [dov’era l’ostaggio]”. Inoltre il poliziotto era rimasto “talmente schifato che si e dimesso dalla polizia”. A questo punto, anche i corpi speciali della polizia avevano deciso di intervenire militarmente nell’appartamento prigione per salvare Aldo Moro, e si stavano preparando in sinergia con i carabinieri di Dalla Chiesa quando l’operazione era stata neutralizzata da un ordine dall’alto, capace di suscitare la reazione disgustata anche degli uomini dei Nocs. E’ un fatto che addolora per la crudeltà dimostrata da chi prese quella decisione, ma conforta perché conferma che i bersaglieri, come Giovanni Ladu, uomini dell’esercito come Oscar Puddu e tutti gli uomini dei gruppi speciali e i loro capi avevano deciso di salvare Moro anche a rischio della propria vita”.

Nel mese di febbraio del 2008 in occasione delle annuali commemorazioni del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro, per i quali sarebbe ricorso il Trentennale della morte il 9 maggio 2008, ho intervistato per Igea News il Sen. Giulio Andreotti.

 

Ripropongo oggi l’intervista integrale, con l’aggiunta di passaggi inediti

 

Moro fu rapito dalle BR per colpire il sistema politico. Che idea si fece all'epoca dei fatti e cosa ne pensa oggi, con il senno del poi ?

 Che vi fosse una realtà complessa dietro l'operazione di cattura e l'assassinio di Aldo fu unanime la convinzione. E certamente il bersaglio era duplice: DC e PCI.

 

Pare che le B.R. studiassero la possibilità di rapire Lei, Giulio Andreotti, Presidente del Consiglio, ma poi abbandonarono l’dea per la sua alta protezione. Cosa pensa di questa ipotesi e come visse la paura di poter subire un attentato alla sua vita?

Moro era l'obiettivo sia come esponente politico sia come personalità di grande fascino intellettuale. Per questo era più al rischio rispetto a tutti noi. Del resto anche dentro la Dc Aldo aveva una posizione molto accentuata.

 

Furono commessi errori nelle ricerche della prigione di Aldo Moro?

Errori no. Purtroppo non avevamo un apparato di sicurezza di grande spicco. Ma sarebbe stato difficile metterlo in piedi, quando già per quello modesto che avevamo vi era l'accusa di Stato di polizia.

 

Cosa fecero realmente lo Stato italiano ed il Vaticano, per liberare Aldo Moro?

 Attivammo tutti i canali possibili (e Mons. Macchi offrì anche un riscatto in danaro).

 

Che ruolo ebbero la P2 e le spie dell'ex Unione Sovietica nel rapimento di Aldo Moro?

Al riguardo vi sono state molte ipotesi e ricerche. Ma nulla di certo emerse.

 

Cosa pensa del coinvolgimento della Massoneria nel rapimento?

 Non ho elementi in proposito. Del resto della Massoneria non è che si conosca molto.

 

Lei personalmente ha dei rimorsi?

No. Tutto quello che si poteva fu attivato.

 

Le conseguenze politiche del rapimento di Moro furono da un lato l’esclusione del P.C.I. da ogni ipotesi

di Governo per gli anni successivi e dall’altro un ridisegno del cosiddetto “regime democristiano”.

Infatti la cosiddetta “DC di Andreotti” rimase partito di Governo fino al 1992, anno di tangentopoli.

Cosa altro ha comportato il rapimento di Aldo Moro ?

 E’ uno schema che non condivido in pieno. Non è mai esistita una “DC di Andreotti”

 

A trenta anni dal rapimento e dall’uccisione di Aldo Moro, sarà tolto il segreto dagli archivi di Stato ?

 Ma dove sono questi atti segreti ? E’ una leggenda.

 

Quando il popolo italiano potrà conoscere la realtà vera degli anni di piombo?

 Ma chi ha voglia già oggi può conoscere tutto (o quasi tutto).

 

 

Come scrisse Aldo Moro al Presidente del Senato:

“Muoio, se così deciderà il mio partito, nella pienezza della mia fede cristiana e nell’amore per una famiglia esemplare che io adoro e spero di vigilare dall’altpo dei cieli… Questo bagno di sangue non andrà bene né per Zaccagnini, né per Andreotti, né per la D.C. né per il Paese.

Ciascuno porterà le sue responabilità…Ma nessun responsabile si nasconda dietro l’adempimento di un presunto dovere. Le cose saranno chiare presto.”

 

Per approfondire lo studio del caso Moro, suggeriamo la lettura dei libri: "Un affare di Stato” di Andrea Colombo, "Eseguendo la sentenza" di Giovanni Bianconi, “Abbiamo ucciso Aldo Moro” di Emmanuel Amara,“La foto di Moro” di Marco Belpoliti,“Lettere dal patibolo” di Critica Sociale, “L’affaire Moro” di Leonardo Sciascia, “Moro si poteva salvare” di Folco Accame, “I 55 giorni che cambiarono l’Italia” di Ferdinando Imposimato da poco pubblicato dalle Newton Compton

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Costume e Società

Il magico Maestro della Pizza a Fregene: un tributo di Francesco Tagliente a un pizzaiolo straordinario

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Il Prefetto Francesco Tagliente ha recentemente condiviso sulla sua pagina Facebook una commovente testimonianza, raccontando l’incredibile esperienza culinaria vissuta al ristorante Back Flip Da Moisè di Fregene. Questo racconto non è solo un omaggio a una pizza straordinaria, ma anche un tributo a Michelangelo, il pizzaiolo settantaquattrenne la cui dedizione e passione hanno trasformato un semplice piatto in un’opera d’arte.

Seduto al ristorante con sua moglie Maria Teresa, Tagliente ha descritto la pizza come “la migliore che abbia mangiato negli ultimi cinquant’anni”. Tuttavia, ciò che ha reso questa esperienza davvero speciale è stata la scoperta della storia dell’uomo dietro la pizza. Michelangelo, un ex contadino che si sveglia ogni mattina all’alba per curare il suo orto, dedica le prime ore del giorno alla coltivazione delle piante e alla cura della famiglia. Solo dopo queste attività, si prepara per andare al ristorante e mettere tutto se stesso nella preparazione della pizza.

L’Arte di Michelangelo: Tradizione e Passione

Michelangelo non è solo un pizzaiolo, ma un vero e proprio maestro dell’arte culinaria. La sua vita semplice e laboriosa, fatta di dedizione e umiltà, è un esempio di come l’amore per il proprio lavoro possa trasformare un piatto comune in un’esperienza indimenticabile. La sua capacità di fondere la tradizione contadina con la sapienza artigianale nella preparazione della pizza è un’arte rara e preziosa.

Tagliente ha scritto: “La dedizione e l’umiltà di quest’uomo, che dalla vita contadina riesce a creare una delle migliori pizze che abbia mai assaggiato, mi hanno colpito profondamente. Il suo nome rimane anonimo, ma la sua storia di passione e impegno è qualcosa che merita di essere raccontata.”

L’Umanità di Francesco Tagliente

Il racconto del Prefetto Tagliente non solo mette in luce le straordinarie qualità culinarie di Michelangelo, ma riflette anche le qualità umane dello stesso Tagliente. Conosciuto per la sua sensibilità e il suo impegno sociale, Tagliente ha sempre dimostrato un profondo rispetto per le storie di vita quotidiana e per le persone che con il loro lavoro contribuiscono a rendere speciale ogni momento.

La sua capacità di cogliere e apprezzare la bellezza nascosta nei gesti quotidiani e nelle storie semplici rivela un’anima attenta e sensibile, sempre pronta a riconoscere il valore degli altri. Il tributo a Michelangelo è un’ulteriore testimonianza della sua umanità e del suo desiderio di dare voce a chi, con passione e dedizione, arricchisce la vita di chi lo circonda.

Un Esempio di Vita

La storia di Michelangelo, come raccontata da Tagliente, è un potente promemoria di come la passione e l’impegno possano elevare il lavoro quotidiano a forme d’arte. “La sua pizza è un capolavoro che continuerà a risuonare nei miei ricordi, così come la sua storia di dedizione e umiltà,” ha scritto Tagliente, riconoscendo il valore di un uomo che, nonostante l’età e la fatica, continua a regalare momenti di gioia e piacere attraverso la sua cucina.

Questo tributo non è solo un omaggio a un pizzaiolo straordinario, ma anche un invito a riflettere sull’importanza del lavoro fatto con passione e amore. Grazie, Michelangelo, per averci mostrato che dietro ogni grande piatto c’è una grande storia, fatta di lavoro, passione e amore per la semplicità. E grazie, Francesco Tagliente, per aver condiviso con noi questa storia ispiratrice, ricordandoci di apprezzare le piccole grandi cose della vita.

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Roma

Roma, maxi-rissa metro Barberini. Riccardi (Udc): “Occorrono misure decisive”

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Dopo l’ennesima maxi-rissa tra bande di borseggiatori che ha portato alla chiusura della stazione metro di piazza Barberini provocando, tra l’altro panico e paura tra i cittadini romani ed i tanti turisti presenti in città, la politica della Capitale non tarda a far sentire la sua voce.
“Questa ennesima manifestazione di violenza e illegalità non può più essere tollerata. Richiamo con forza il Governo ad un intervento deciso e definitivo. È inaccettabile che i borseggiatori, anche se catturati, possano tornare ad operare impuniti a causa di leggi troppo permissive, che li rimettono in libertà quasi immediatamente.
L’Italia è diventata lo zimbello del mondo a causa di questa situazione insostenibile.
È necessario adottare misure più severe e immediate per garantire la sicurezza dei cittadini e dei turisti. Proponiamo una revisione delle leggi esistenti per introdurre pene più dure e certe per i borseggiatori, rafforzare la presenza delle forze dell’ordine nei punti critici della città e migliorare la sorveglianza con l’uso di tecnologie avanzate”
.

il commissario romano UdC, Roberto Riccardi

A dichiararlo con decisione è Roberto Riccardi, commissario romano dell’UdC.
Da sempre attento ai problemi sulla sicurezza Riccardi fa notare con estrema chiarezza che tali situazioni non fanno altro che portare un’immagine della capitale sempre meno sicura agli occhi dei molti turisti che sono, per la capitale, una fonte di ricchezza economica oltre che di prestigio.
La fermata della Metro A Barberini a Roma è stata teatro di una maxi-rissa tra bande di borseggiatori sudamericani, che ha richiesto l’intervento delle forze dell’ordine e il blocco della stazione per circa 40 minuti. La violenza è scoppiata a seguito di una serie di furti e scippi ai danni dei passeggeri.
Riccardi ha poi concluso: “Non possiamo permettere che episodi come quello avvenuto alla Metro Barberini si ripetano. È ora di passare dalle parole ai fatti, con azioni concrete che ripristinino l’ordine e la sicurezza nelle nostre città. I cittadini hanno il diritto di vivere in un Paese sicuro e il dovere del Governo è garantirlo”.
Molti cittadini ci scrivono ogni giorno preoccupati da questa escalation di violenza e di insicurezza ma soprattutto preoccupati per la poca attenzione che il governo cittadino e quello nazionale stanno avendo nei riguardi di questa situazione ormai alla deriva.

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Cronaca

Roma, metro Barberini: una rissa provoca la chiusura della stazione

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Tragiche le notizie che arrivano in un torrido sabato sera romano.
La stazione metro Barberini viene chiusa per questioni di sicurezza.
All’origine del fatto, avvenuto tra le 19 e le 19,30 una rissa tra nord africani e sudamericani con almeno 15 persone coinvolte. Molti passeggeri spaventati dalla situazione si sono rifugiati nella cabina del conducente fino all’arrivo delle forze di polizia allertate dalla centrale di sicurezza di Atac Metro.
Per ora sono ancora tutti da decifrare i motivi che hanno portato a ciò.

Un’estate romana che sta diventando ogni giorno più bollente.

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