ROMA, CITTA' METROPOLITANA: SINDACI E PROVINCIA ADDIO! ECCO COME STANNO I FATTI….

di Chiara Rai

Roma – Non ci stiamo rendendo conto di quello che sta succedendo. Parlo dello statuto speciale della capitale d’Italia: la città metropolitana di Roma. In questi giorni molti giornali e agenzie stampa stanno dando delle notizie assolutamente inesatte: non è vero che la Città Metropolitana di Roma può al massimo estendersi ai territori di Roma capitale e ai Comuni della provincia confinanti con esso e, per tale estensione, è richiesto il consenso sia di Roma capitale che del singolo Comune. Non è vero. Per legge, qualora passi defi tutti Comuni della Provincia di Roma saranno assorbiti dalla Città metropolitana di Roma. A confermare questa notizia è il Presidente del Consiglio delle Autonomie Locali del Lazio Donato Robilotta, il quale evidenzia il fatto che l’obbligatorietà d’ingresso nella città metropolitana prevede una procedura molto complicata in uscita per i Comuni che hanno intenzione di opporsi. Per questo motivo stamattina Robilotta ha scritto una lettera al Governatore della Regione Lazio Nicola Zingaretti e al sindaco di Roma Ignazio Marino per chiedere un consiglio regionale straordinario dove siano convocati con la massima urgenza tutti i sindaci dei Comuni della Provincia di Roma che in questo processo così rivoluzionario e delicato, non hanno voce in capitolo.

Ma sentiamo Robilotta che su questo tema ha le idee chiarissime e capisce questo processo “anticostituzionale” che sta per colpire i piccoli Comuni della provincia romana: “Il testo del disegno di legge Del Rio in merito a “disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni dei comuni”, approvato con urgenza dalla commissione Affari Costituzionali e dal due dicembre all’attenzione dell’Aula della Camera dei Deputati, provocherà solo caos e aumento dei costi. La razionalizzazione degli enti non c’entra assolutamente niente – asserisce il presidente Cal – perché l’unico obiettivo del disegno di legge è quello di colpire la rappresentanza del territorio e quindi cancellare con un tratto di penna migliaia di amministratori locali, come è scritto nella relazione di accompagno, che ormai percepiscono pochi spiccioli di rimborso mentre fanno un servizio importante e utile per i cittadini, e mentre migliaia di enti di livello intermedio inutili e dannosi sia a livello nazionale che locale continuano a restare in piedi.
Tanto che la Corte dei conti ha stimato il risparmio in circa 80 milioni di euro ma con preoccupazione per il caos istituzionale che può farli invece aumentare. Le Province sono enti di area vasta, secondo il ddl, ma vengono trasformate in enti di secondo livello e svuotate di competenze, che passano in gran parte alle Regioni. Fa sorridere poi il comma 4 dell’art.15 che prevede un aumento di fondi alle Regioni che chiudono i loro enti e agenzie per trasferire quelle competenze alle province, quando tutti sappiamo che le Regioni non glie le hanno trasferite quando erano enti a elezione diretta figuriamoci adesso. Tanto per parlare della Regione Lazio non solo non ha mai portato a termine la delega sull’urbanistica ma nella scorsa legislatura si è ripresa la gestione del turismo e come le altre Regioni ha già chiesto al Ministero del lavoro di riprendersi i centri per l’impiego e la delega alla formazione. In questo modo le Province diventano enti inutile e si porrà un problema di coesione territoriale per una realtà come la nostra fatta di piccolissimi comuni e la Regione diventerà una provincia. Quanto alla istituzione della città Metropolitana di Roma-Capitale è grave che ora coincida con tutto il territorio dell’intera provincia di Roma contrastando così con la norma costituzionale che prevede che Roma con gli attuai confini sia la Capitale e che impone a tutti i comuni di farne parte ledendo così l’autonomia di ogni comune. Non ha senso considerare tutto il territorio della Provincia di Roma area metropolitana quando su 121 comuni oltre Roma solo 7 sono sopra i 50 mila abitanti, 22 sino a 15 mila e ben 91 comuni sotto i 15 mila abitanti con 60 sotto i cinquemila. Ecco perché credo che la città Metropolitana di Roma capitale debba coincidere con gli attuali confini del comune caso mai allargato a Fiumicino e Ciampino”.

Il d.d.l. Delrio è entrato il due dicembre alla Camera dei deputati, dove dovrebbe essere approvato, negli auspici del Ministro che lo promuove, nell’arco di pochissimi giorni. Il limite conclusivo dell’approvazione, infatti, è fissato entro il 31 dicembre, pena il possibile crollo dell’impianto per l’abolizione delle province. Numerosi gli emendamenti presentati al disegno di legge che dovrebbe rifondare l’assetto istituzionale: tra i più significativi, i ritocchi alle norme che regoleranno le città metropolitane, gli organi intermedi tra comune e regione che prenderanno il posto delle province.
Ieri mattina, però, primo imbarazzo per il progetto di riforma: la relatrice del Governo, Elena Centemero, si è ufficialmente ritirata dall’incarico, spiegando che “il d.d.l. Delrio non è una vera riforma – ha denunciato la deputata forzista – ma un provvedimento che non abolisce le province, che stabilisce che il sindaco della città metropolitana, sia di diritto, il sindaco del capoluogo, che crea addirittura ‘province ciambella’ per i comuni che non vogliono aderire alle città metropolitane”.
Ciononostante il due dicembre la Commissione bilancio della Camera ha dato il suo nulla osta sul d.d.l., nonostante la Ragioneria generale avesse sostenuto che nel testo ci fossero norme "potenzialmente prive di copertura".

In Commissione si è precipitato il Ministro Delrio e i lavori sono stati sospesi per mezz'ora. Alla fine parere favorevole sul rispetto dell'art. 81 della Costituzione (secondo il quale ogni legge deve essere "coperta" finanziariamente): "La Ragioneria – ha osservato il relatore, Angelo Rughetti, Pd – ha espresso parere solo parzialmente negativo: le misure foriere di impatto negativo sul Patto di stabilità interno riguardano solo singoli comuni e non tutto il comparto".
I territori non ci stanno: "Dopo la Corte dei conti, ora la Ragioneria. Il Governo tenga conto di questa bocciatura", dice il presidente dell'Upi (Unione Province d'Italia) Antonio Saitta.
In Aula, il Ministro degli affari regionali spiega il suo provvedimento: "Possiamo ridare un po' di fiducia nella politica: avevamo promesso che avremmo abolito le province e possiamo mantenere quell'impegno. In questo modo, produrremo semplificazione e risparmi".
Tecnicamente dal 2014 ci saranno per alcuni territori le città metropolitane, mentre le province (fino alla riforma costituzionale) diventeranno "enti leggeri", svuotati di quasi tutte le loro funzioni , resteranno solo le strade, ma immaginiamoci il caos. Scompaiono, così, giunte e consigli provinciali, più i relativi staff: il presidente sarà un sindaco in carica, scelto dall'Assemblea dei primi cittadini. Dunque mettiamo ordine per quanto ci è possibile: In questo nuovo sistema scompare la Giunta provinciale; il presidente è un sindaco in carica eletto, con un sistema di voto ponderato, dall'Assemblea dei primi cittadini; il Consiglio provinciale è costituito dai sindaci dei Comuni con più di 15.000 abitanti e dal presidente delle Unioni di Comuni del territorio con più di 10.000 abitanti. La trasformazione si avvia entro 20 giorni dalla data di proclamazione dei sindaci eletti nelle prossime tornate amministrative con l'elezione del nuovo Presidente e l'insediamento del Consiglio.

Questo significherà un cambiamento rivoluzionario dei rapporti politici e della maniera di fare politica. Il peso e la libertà di azione delle autonomie locali verrà cancellato con un colpo di spugna. Le promesse elettorali, a livello dei piccoli Comuni che non avranno una rappresentanza di peso e quindi poca voce in capitolo, saranno veramente difficili da esaudirsi. C’è una vera e propria crisi della politica e delle istituzioni ma anche un disorientamento della mafia, dello scambio dei voti e compravendita del territorio. Staremo a vedere.