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di Matteo La Stella
Roma – Una domenica da prima donna quella appena trascorsa dal sindaco Marino, reduce da un'adunata dei suoi fedelissimi in Piazza del Campidoglio, organizzata ad hoc per convincerlo a ritirare le sue dimissioni e ritornare in sella al cavallo dell'amministrazione. Marino non demorde. Così, rinvigorito dalla petizione che nei giorni scorsi aveva registrato oltre 53mila consensi provenienti da tutta Italia, neanche avesse fatto incetta di bibite energetiche e pozioni magiche, il sindaco è sceso in piazza. Ghigno stampato in faccia e microfono alla mano ha accontentato i “suoi”, tra cui alcuni parenti e la sorella Marina, annunciando la temuta inversione di tendenza. “Mi chiedete di ripensarci, io ci penso e non vi deluderò”, ha tuonato soddisfatto il primo cittadino ai circa 2mila presenti sotto la scalinata di Palazzo Senatorio.
Marino show. L'impressione è che il sindaco voglia rimanere in sella non più per Roma, ma per se stesso; per mettersi contro chi gli ha scavato la fossa, Pd in testa. Convinto di non mollare la presa, con le redini ancora tra le mani – inutilizzate durante l'arco del suo mandato, quando, invece di far galoppare l'amministrazione, scorrazzava per le vie dell'Urbe a bordo della sua bicicletta- il sindaco entra in scena intorno alle 13. Questa volta, grazie anche alla promozione dell'evento affidata a Daniele Dezi, esperto di web marketing ed ideatore della petizione pro-Marino, i fedelissimi sfiorano quota 2mila. Tra i cartelli contro Renzi e le tante bandiere- poche quelle Pd- la folla grida scandendo le parole “resisti” e “Daje”, lo slogan con cui lo stesso sindaco si presentò durante il “corteggiamento” alla Città Eterna. Lui è incontenibile, il microfono e l'impianto acustico approntato per l'evento un po' meno, tanto da costringere i presenti ad un religioso silenzio. “Questa piazza mi dà il coraggio e la determinazione di andare avanti. Voi mi chiedete di ripensarci? Ci penso e non vi deluderò”. E ancora, spiega convinto: ”Noi non inseguiamo sogni, noi sogniamo il futuro della nostra città che è la capitale d'Italia. Noi siamo realisti – asserisce citando Che Guevara – e vogliamo l'impossibile”. Un'ovazione travolge "Ignazio Guevara", che, sorridente, si fregia di aver sconfitto il malaffare in due anni, da “Mafia Capitale” a “Parentopoli”, incoscio di essere sempre più vicino alla buca
preparata dai suoi colleghi di Partito.
Nessuno lo vuole. Per cui, in attesa dell'ultimo ghigno del Sindaco-medico, atteso presumibilmente per quando riunirà il Consiglio Comunale in Aula Giulio Cesare per ufficializzare il “dietro front” delle sue dimissioni, non resta che chiedersi cosa abbia intenzione di ottenere, oltre ad un ovvio spargimento di sangue tra le fila del suo Partito.
In casa Pd viene rinnegato da tutti, a cominciare dal titolare, il commissario dem capitolino, che, intervistato da “La Repubblica” guarda alla manifestazione come ad una ridicola riunione, messa in piedi da:”un pugno di persone- mentre -Roma ha 2,5 milioni di abitanti.” “Non mi è sembrata una rivolta popolare. Né mi sembra che Marino sia visto dalla città come un martire- commenta Orfini prima di lanciare un appello al sindaco- spero che non ritiri le dimissioni. Che eviti questo tritacarne al suo partito e preferisca l'amore per la città. Altrimenti vorrà dire che lo sfiduceremo”. Anche il senatore Pd e assessore dimissionario ai Trasporti di Roma Capitale Stefano Esposito sembra essere sulla stessa lunghezza d'onda: “Ignazio Marino? "Un'esperienza chiusa. Per quanto riguarda il Pd non cambia nulla.”
Possibili soluzioni. Dunque, in vista del braccio di ferro che si appresta ad intentare l'ancora amministratore del Campidoglio, sono diverse le carte che gli avversari potrebbero tirare fuori dal mazzo per strappargli la fascia tricolore una volta per tutte. La prima, come preventivato da Orfini, sarebbe quella della mozione di sfiducia. Questa contromisura, come una mano aperta, potrebbe abbattersi violenta sul volto del sindaco. Uno schiaffone “telefonato”, stampato sulla faccia del primo cittadino dal Consiglio Comunale o direttamente dall'alto del Pd. Con i due quinti delle firme dei consiglieri la mozione verrebbe calendarizzata non prima di 10 giorni. In seguito, però, a complicare le cose si presenterebbe la votazione della stessa mozione, difficile da districare poiché i consiglieri di Sel e di lista Civica Marino avrebbero già escluso l'ipotesi di schierarsi al fianco delle destre. Un'immagine surreale, dunque, potrebbe vedere i democratici affiancare le votazioni a quelle dei 5 Stelle, di Forza Italia, della lista Marchini e di Gianni Alemanno, tentando il tutto per tutto pur di raggiungere le 25 adesioni utili a spodestare Marino. Soluzione improbbabile secondo molti consiglieri democratici che, piuttosto, avallerebbero una dimissione in massa. Per far cadere l'amministrazione, però, occorrerebbe la dimissione univoca di 25 consiglieri: il Pd ne conta solo 19, non tutti scontenti, peraltro, del lavoro svolto fino ad oggi dal primo cittadino. Quindi, un altro jolly potrebbe essere quello dell'attesa fino a novembre, proprio quando si approvano i bilanci. Una valida alternativa che sancirebbe la vittoria da parte dei due Matteo (Renzi e Orfini, ndr), portando il Campidoglio al commissariamento ed Ignazio Marino a pedalare verso l'orrizzonte.
La soluzione meno probabile, in ogni caso, resta quella proposta da Marco Miccoli della minoranza Pd, che ha espressamente richiesto ulteriori sei mesi per dimostrare quello che può la giunta.
Il buio, intanto, imperversa sull'Urbe, prossima ad ospitare l'Anno Santo. Una città fantastica, degna di una guida vera, viene invece calpestata ogni giorno dai giochi a rialzo della politica: ripicche, rilanci e contromisure di cui, alla fine, solo i cittadini pagano le conseguenze.
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