Ristorazione in Italia, stato di salute del settore e le nuove tendenze dei consumi nel rapporto FIPE 2019

Cambiano i ritmi di vita, i luoghi di consumo, gli stili alimentari, ma una
cosa è certa: la passione degli italiani per il ristorante e la buona cucina
non accenna a tramontare. Al contrario.

Se si guarda ai dati assemblati da Fipe, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, all’interno del rapporto 2019, appena presentato a Roma, infatti, si nota come il settore della ristorazione stia conoscendo una stagione estremamente dinamica.

Il Presidente ed il Direttore Generale di FIPE

Gli italiani infatti non solo investono di più, ma lo fanno in maniera sempre più mirata, andando a ricercare la miglior qualità dei prodotti locali e un servizio attento alla sostenibilità ambientale. Una marcia in più per un comparto che si muove all’interno di un quadro congiunturale niente non semplice, con un 2019 che ha visto il moltiplicarsi di forme di concorrenza sleale nel mondo del cibo. Hanno preso parte alla presentazione, il presidente di Fipe, Lino Enrico Stoppani, il direttore generale, Roberto Calugi, ed il vice direttore generale, Luciano Sbraga.

Il mondo della ristorazione– ha dichiarato il presidente di Fipe, Lino
Enrico Stoppani
è un grande asset della nostra economia e un
patrimonio, anche culturale, del Paese. I dati parlano chiaro: con 46 miliardi
di euro siamo la prima componente del valore aggiunto della filiera
agroalimentare, continuiamo a far crescere l’occupazione e contribuiamo alla
tenuta dei consumi alimentari: negli ultimi 10 anni, nonostante la crisi, gli
italiani hanno speso sempre di più per mangiare fuori casa, riducendo al
contrario la spesa in casa. Merito di un’offerta che cresce in segmentazione
dei formati commerciali, in qualità dell’offerta gastronomica e in
professionalità. I milioni di turisti che arrivano in Italia mettono proprio
bar e ristoranti tra le cose che maggiormente apprezzano del nostro Paese
.”
Questo – ha aggiunto Stoppani – non è un settore dove si vive di
rendita, come dimostra l’altissimo turnover imprenditoriale. I nostri
imprenditori si stanno dimostrando particolarmente attenti ad alcune nuove
tendenze del mercato: sono in prima linea nella lotta allo spreco alimentare e
molto sensibili sia al tema della sostenibilità ambientale che a quello della
valorizzazione dei prodotti del territorio. Su questo punto giova ricordare che
come settore acquistiamo ogni anno 20 miliardi di euro di materie prime alimentari
sia dall’industria che dall’agricoltura
”.

A
colazione e a pranzo, vince il fuori casa

Dall’analisi in dettaglio del rapporto 2019, si scopre che ogni giorno
circa cinque milioni di persone, il 10,8% degli italiani, fanno colazione in
uno dei 148mila bar della penisola. Altrettante sono le persone che ogni giorno
pranzano fuori casa, mentre sono poco meno di 10 milioni (18,5%) gli italiani
che cenano al ristorante almeno due volte a settimana.  Un vero e proprio esercito di consumatori che
nel 2018 ha speso, tra bar e ristoranti, 84,3 miliardi di euro, l’1,7% in più
in termini reali rispetto all’anno precedente e che nel 2019 ha fatto ancora
meglio, arrivando complessivamente a spenderne 86 milioni. La ciliegina sulla
torta di un decennio che ha visto i consumi degli italiani spostarsi al di
fuori delle mura domestiche: tra il 2008 e il 2018, infatti, l’incremento reale
nel mondo della ristorazione è stato del 5,7%, pari a 4,9 miliardi
di euro, a fronte di una riduzione di circa 8,6 miliardi di euro dei consumi alimentari in casa. Una cifra,
quest’ultima, che nel 2019 è salita a 8,9 miliardi di euro. Una performance che
consente al mercato italiano della ristorazione di diventare il terzo più
grande in Europa, dopo quelli di Gran Bretagna e Spagna e che ha ricadute
positive sull’intera economia italiana e in particolare sulla filiera
agroalimentare. Ogni anno, infatti, la ristorazione acquista prodotti
alimentari per un totale di 20 miliardi di euro, andando a creare un valore
aggiunto superiore ai 46 miliardi, il 34% del valore complessivo dell’intera
filiera agroalimentare.

Prodotti tracciabili e zero
sprechi

Nonostante la sperimentazione degli chef televisivi abbia raggiunto in
questi anni livelli record, ciò che attira in maniera sempre più marcata i
consumatori all’interno dei ristoranti è la tradizione. Il 50% degli
intervistati da Fipe, infatti, cerca e trova nei locali che frequenta un’ampia
offerta di prodotti del territorio, preparati con ricette classiche ma non
solo. Il 90,7% dei clienti confessa di essersi fatto tentare da piatti nuovi e
mai provati, mentre il 60,5% ammette di andare al ristorante anche per affinare
il proprio palato. Tutti, o quasi, concordano, però su un punto: è fondamentale
sapere ciò che si mangia. Il 68,1% dei clienti quando entra al ristorante, per
prima cosa si informa sulla provenienza geografica dei prodotti, il 58,5% sui
valori nutrizionali dei piatti e il 54,5% sull’origine e la storia di una
ricetta. L’altro elemento che incide sulla scelta di un locale è la sua politica
“verde”. Sette consumatori su dieci sostengono infatti che sia importante che i
ristoranti operino in modo sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale.
Il che significa, per il 37,7% degli avventori, che portino avanti politiche
contro lo spreco alimentare dotandosi di doggy bag o rimpiattini, per il
36,7% che utilizzino materie prime provenienti da allevamenti sostenibili,
mentre per il 33,3% che limitino l’uso della plastica. Solo meno di un italiano
su tre rimane totalmente indifferente di fronte a questo tipo di politiche
sostenibili.

Un marchio doc contro la
contraffazione alimentare

Quello della contraffazione alimentare dei prodotti
italiani è un problema che si sta estendendo sempre più e che ormai non vede
coinvolti solo i prodotti italiani. Sempre più numerosi sono infatti i casi di
plagio all’estero dei marchi dei principali ristoranti e delle pasticcerie
italiane più note. Per questo è stato creato il marchio di riconoscimento
“ospitalità italiana”, attraverso il quale il nostro Paese certifica che si
tratta di ristoranti che utilizzano prodotti italiani e si ispirano ad
autentiche ricette italiane con una forte enfasi sulle cucine del territorio.
La presenza è diffusa ovunque, dall’Europa all’Oceania: il Paese con il maggior
numero di ristoranti certificati sono gli Stati Uniti d’America e la prima
città è New York. In totale, sugli oltre 60mila ristoranti “all’italiana”
presenti nel mondo, solo 2.200 hanno ottenuto questo importante riconoscimento.

Donne, giovani e stranieri. sempre più occupati nella ristorazione

Secondo l’ultimo censimento disponibile, sono 336mila le imprese della
ristorazione attualmente attive. Sono 112.441 quelle gestite da donne che
scelgono in un caso su due di aprire un ristorante. 56.606 imprese sono, invece,
gestite da giovani sotto i 35. Sono infine 45mila le imprese che hanno soci o
titolari stranieri. Nel mondo della ristorazione l’occupazione rimane stabile
rispetto allo scorso anno (1,2 milioni di dipendenti di cui il 52% donne) ma
sul lungo periodo mostra un’impennata notevole, soprattutto rispetto agli altri
settori dell’economia nazionale. Negli ultimi 10 anni fa, infatti, i posti di
lavoro, misurati in unità di lavoro standard, in bar e ristoranti sono
cresciuti del 20%, a fronte di un calo dell’occupazione totale del 3,4%.

Luci e ombre

Esistono alcune criticità strutturali nel mercato della ristorazione e
alcuni fenomeni recenti. Da un lato il settore soffre ancora di un elevato
tasso di mortalità imprenditoriale: dopo un anno chiude il 25% dei ristoranti;
dopo 3 anni abbassa le serrande quasi un locale su due, mentre dopo 5 anni le
chiusure interessano il 57% di bar e ristoranti. Un dato che fa il paio con la
bassa produttività di questo settore: il valore aggiunto per unità di lavoro è
di 38.700 euro, il 41% più basso rispetto al dato
complessivo dell’intera economia. Nel corso degli ultimi 10 anni il valore
aggiunto per ora lavorata è sceso di 9 punti percentuali. La novità risiede
invece nelle piaghe dell’abusivismo commerciale e della concorrenza sleale. Nei
centri storici, nel corso degli ultimi 10 anni, si è impennato il numero di
paninoteche, kebab e (finti) da asporto di ogni genere (+54,7%), mentre sono
diminuiti i bar (-0,5%). Il pubblico esercizio deve fare i conti con una
concorrenza ormai fuori controllo. Crescono soprattutto le attività senza
spazi, senza personale, senza servizi soprattutto nei centri storici delle
città più grandi.

Questo – continua il Presidente Stoppani – dipende da una
molteplicità di fattori: i costi di locazione sono diventati insostenibili,
il servizio richiede personale e il personale costa, gli oneri di gestione, a
cominciare dalla Tari, sono sempre più pesanti. La scorciatoia è fatta da
attività senza servizio, senza spazi e con personale ridotto all’osso, ed è
favorita da politiche poco lungimiranti delle amministrazioni locali che
consentono a tutti di fare tutto senza il rispetto del principio “stesso
mercato, stesse regole” che per noi è alla base di una buona e sana
concorrenza
. La disparità di condizioni non genera soltanto concorrenza
sleale, ma finisce per impoverire il mercato stesso, la sicurezza dei
consumatori e la qualità delle nostre città
”.