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Editoriali

Riforma costituzione: quella "mela avvelenata" Renzi Boschi

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Tempo di lettura 3 minutiIl solo fatto, che a sponsorizzare il Sì alle riforme, il governo stia scomodando il presidente emerito Giorgio Napolitano, la dice lunga

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di Emanuel Galea
Al fine di valutare i potenziali effetti futuri della riforma costituzionale targata Renzi-Boschi sulla democrazia, ci si dovrebbe affidare all’analisi delle modifiche già votate e, attentamente cercare di prevedere l’impatto che avranno sul paese democratico, sul parlamento e sulla libertà dei cittadini. Il solo fatto, che a sponsorizzare il Sì alle riforme, il governo stia scomodando il presidente emerito Giorgio Napolitano, la dice lunga. Non ci si deve scordare che sotto il “regno” di re Giorgio gli italiani si sono visti privare, per ben tre volte, dal sacrosanto diritto di esprimere la loro volontà di scegliere i propri governanti.
Che oggi sia lui a promuovere questa riforma è come  “chiedere all’oste se il vino sia buono”. Gli italiani non comprano a scatola chiusa e gli slogan e i vari annunci come “dopo di me il diluvio” lasciano il tempo che trovano.
 
Se questa riforma dovesse diventare legge, cosa cambierebbe nella Carta? Questo è quanto gli italiani devono sapere prima di poter decidere.

Manca l’informazione. La riforma Renzi-Boschi è di una complessità enorme e certi suoi passaggi difettano di chiarezza. Proporla agli elettori, secretata in un unico pacco, costituisce un’operazione scorretta. Non per niente, proprio i Radicali, stanno raccogliendo le firme per chiedere il suo “spacchettamento”. Il cittadino deve essere consapevole di quello che effettivamente gli si chiede di votare.
 
Quanto saranno disposti a concedere ai cittadini i partiti?
In questo breve excursus, senza alcuna pretesa di esaurire l’argomento, si cercherà di evidenziare i punti più importanti della riforma. La prima rivoluzione della riforma, secondo la modifica all'articolo 117 della Carta, si trova nella composizione ed elezione del nuovo senato che rappresenterebbe le istituzioni territoriali e sarebbe composto da 100 membri, di cui 95 scelti dalle Regioni, 21 sindaci e 5 nominati dal Presidente della Repubblica. L’esclusione della volontà dei cittadini ad esprimere, in queste elezioni, il proprio consenso non può e non deve passare inosservato.
Questi nuovi senatori, non eletti dai cittadini, manterrebbero la funzione legislativa, insieme alla Camera, sui rapporti tra Stato, Unione Europea ed enti territoriali. In poche parole, 100 persone senza consenso popolare avrebbero in mano il destino degli italiani e il loro voto (non rappresentativo) potrebbe influenzare il futuro del paese.
 
I nuovi senatori-senza-consenso-popolare, e chiedo scusa se insisto su questo, manterrebbero la funzione legislativa per le leggi di revisione della Costituzione, che non è cosa da poco, avrebbero valenza i loro voti per le leggi sui referendum popolari.
Questi signori, privi di qualsiasi consenso popolare, in veste di senatori, potrebbero decidere, su richiesta di un terzo di loro, di proporre modifiche su una legge approvata dalla Camera, eletta democraticamente con il voto popolare. Cento, tra ex consiglieri regionali e 15 sindaci, oltre ai 5 scelti dal Presidente, estranei al corpo elettorale, si arrogherebbero quindi, il diritto a proporre modifiche a leggi approvate dalla Camera!
 

Sarebbe la fine della democrazia parlamentare. 
Verrebbe modificato l’art.19 nella nuova formulazione: all’art.80 della Costituzione, aggiungendo: «Le leggi che autorizzano la ratifica dei trattati relativi all'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, sono approvate da entrambe le Camere». Da specificare che la Camera è rappresentativa della volontà popolare mentre nel nuovo Senato l'eleggibilità diretta verrebbe esclusa.
L’insistenza sulla non eleggibilità diretta di questi nuovi “politici” non è casuale.  E’ un vulnus di questo decreto che non può essere taciuto.
 
Si è scritto che nulla spetterebbe a questa nuova categoria di “senatori” per quanto riguarderebbe l’indennità. Il disegno di legge tace però su eventuali rimborsi-spese come l’esperienza insegna lieviterebbero presto e in misura spropositata. Questi verrebbero regolati all’interno di ciascuna Camera.
 
Novità importante e non trascurabile all'articolo 71 della Costituzione sarebbe il numero di firme necessarie per le leggi di iniziativa popolare che salirebbe a 150.000. Le condizioni per il quorum dei referendum abrogativi subirebbero anche questi delle modifiche sostanziali.
 
Altre sostanziali modifiche verrebbero fatte alla elezione dei giudici della Consulta
e altre ancora all’elezione del Presidente della Repubblica.
 
 La proposta originale prevedeva l’abolizione completa del Senato, riforma che avrebbe realmente apportato dei risparmi ai conti dello Stato. La riforma che si sta proponendo, anziché decurtare i costi li aumenterebbe, minando gli equilibri politici e rendendo il nuovo senato un istituzione senza rappresentatività.
 

Considerando infine, che in combinazione con l’attuale legge elettorale Italicum, questa riforma sferrerebbe una inguaribile lacerazione alla democrazia parlamentare, è la famosa mela avvelenata offerta dalla matrigna a Biancaneve.
Niente è perduto fino a ora. Si può ancora rimediare, votando NO al referendum di ottobre.

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