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Editoriali

REFERENDUM: DIVISIONI, POLEMICHE E "MAGGIORANZA SILENZIOSA"

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di Silvio Rossi

Nella consultazione referendaria di domenica scorsa, gli italiani hanno scoperto come, a fronte delle minoranze politicizzate e sempre pronte a lanciare il cuore oltre l’ostacolo, e a volte anche oltre la ragione, c’è sempre una maggioranza silenziosa, che non fa propaganda, non twitta, non polemizza, non lancia strali contro chi la pensa in maniera diversa, ma che determina l’esito delle votazioni.

Che poi la maggioranza degli italiani abbia contribuito al fallimento del quesito referendario, preferendo l’astensione rispetto al voto negativo, sebbene sia stata una scelta duramente avversata dai sostenitori del SI, non è certo una novità. Da venti anni a questa parte, se si escludono i quesiti del giugno 2011 su acqua pubblica e nucleare, sono stati ventiquattro i quesiti che non hanno raggiunto il numero di votanti necessario per essere presi in considerazione. Troppi per non far comprendere ai promotori (che siano comitati cittadini o consigli regionali, come nell’ultimo caso) che lo strumento referendario deve essere utilizzato con parsimonia, con intelligenza, per evitare di gettare alle ortiche la possibilità di influire nelle decisioni con scelte sbagliate nei tempi e nei modi, e che a ogni passo falso, si bruciano risorse che avrebbero potuto essere destinate a iniziative migliori.
L’astensione sulle trivelle, così come quelle passate sulle carriere dei magistrati, sull’ordine dei giornalisti, su alcune norme elettorali, ha fatto comprendere che gli astenuti sono paragonabili ai quarantamila che nell’ottobre 1980 misero all’angolo le minoranze sindacalizzate in Fiat.

Ciò che ci ha lasciato, a pochi giorni dal voto, il referendum, è una spaccatura sempre più aspra tra le opposte fazioni, un’acredine che traspare da parte degli sconfitti, che hanno apostrofato chi non ha votato con ingiurie e accuse non degne di persone civili.
A certi attivisti devono essere ricordate due cose: una minoranza, per quanto rumorosa, per diventare maggioranza, deve raggiungere e superare il cinquanta per cento della forza votante, altrimenti resta minoranza, e soprattutto, che non ci si può permettere di dare lezioni di democrazia agli altri, se si ignora la massima attribuita (forse però non fu veramente lui a dirla) a uno dei padri della democrazia moderna, il francese François-Marie Arouet, che nel Settecento disse: «Non sono d'accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo».