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Editoriali

Referendum costituzionale: finalmente è finita

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Tempo di lettura 3 minuti Gli Italiani, dopo la mezzanotte del 3 dicembre, hanno tirato un sospiro di sollievo.

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di Roberto Ragone

 

Finalmente è finita quella che avrebbe dovuto essere soltanto un’operazione che facesse chiarezza sugli scopi e gli effetti di una trasformazione costituzionale, e che invece si è trasformata nella più accesa campagna elettorale che la storia dell’Italia repubblicana ricordi, dal 1948 ad oggi. Le ragioni del SI’ e del NO ci sono state propinate a pranzo, cena, colazione e anche a merenda, dalle tv su qualsiasi canale, anche il più sperduto, e sui giornali, che fossero in edicola o sul web. Il vantaggio per i cittadini è stato che hanno potuto capire chi sta da una parte e chi dall’altra, compresi sportivi, cantanti, attori e uomini di cultura. Certo tutti gli Italiani, dopo la mezzanotte del 3 dicembre, hanno tirato un sospiro di sollievo.

 

Da oggi, anzi da mezzanotte di ieri 3 dicembre in poi, non vedremo più quella brutta ‘maschera’ in TV, divisa in due, bianco e nero, SI’ e NO, bianco – colore della purezza – per il SI’, nero come l’inferno, per il NO. Si può essere per l’una o l’altra parte, ormai non ne potevamo più, e vada come vada. Sui risultati peseranno senza alcun dubbio gli esiti del voto degli Italiani all’estero, calcolati in circa quattro milioni, lira più, lira meno, ma la cifra non è certa, potrebbe essere più alta, nessuno lo sa. La partita, dunque, si gioca su quei voti, ampiamente ‘catturati’ da un Renzi e da una Boschi in trasferta, e bombardati di lettere d’amore dal governo italiano. Mentre meno incisiva appare l’azione del M5S che si è mosso in ritardo, e senz’altro con mezzi economici meno cospicui. Ancora da gestire gli indecisi, molti dei quali, secondo i sondaggisti, decideranno in cabina dove apporre la propria X, semplicemente leggendo quel quesito referendario oggetto di pesanti e reiterati ricorsi – sempre respinti con le più varie motivazioni – e che secondo alcuni sarebbe esposto in maniera ingannevole. Ma tant’è, carta canta e villan dorme: il quesito è stato redatto da Renzi e dai suoi, e ognuno, finchè può, tira l’acqua al suo mulino.

 

Come, per esempio, la scheda per l’elezione dei senatori, mostrata al pubblico in TV tre giorni prima del voto. È già pronto un ricorso, con conseguente prevedibile molto accesa battaglia legale, se i voti degli Italiani all’estero dovessero presentare delle ‘anomalie’, come per esempio una smaccata preponderanza dei SI’.  Alla finestra, le banche mondiali e i grandi investitori, per decidere se appoggiare i propri capitali ancora in Italia o no. In realtà, più che essere ciò che dovrebbe essere, cioè uno svecchiamento delle regole costituzionali, alcune delle quali mostrano i segni del tempo, questa consultazione si è trasformata in ben altro: di fronte, contrapposti, due blocchi: da una parte  l’Unione Europea con i suoi programmi, dall’altra quei ‘populisti’ – così definiti in senso dispregiativo – che ultimamente hanno segnato alcuni punti a loro favore, con la Brexit e l’elezione di Trump. In Francia corre veloce François Villon, tallonato da Marine Le Pen, dando corpo anche nei transalpini ad una tendenza destrorsa che cavalca l’invasione dei rifugiati.  Invasione che rischia di detronizzare perfino la Merkel. Il timore che l’ondata di ricerca di evasione dall’UE si concretizzi in un NO referendario ha certamente innescato un processo che appare per nulla sicuro, cioè le dimissioni del governo Renzi; a meno che la longa manus di Napolitano non abbia già pronto un piano B da presentare ai suoi sodali europei. Secondo i sondaggisti, un’altra delle incognite che pesano sul risultato referendario è la partecipazione dei giovani al voto.

 

Pare infatti che tra i frequentatori dei social network, tra cui sono numerosi attivisti, prevalga il NO. Come pare anche che il nord sia più propenso al SI’, ritenendo che la riforma vada nella direzione giusta per ammodernare il paese; meno propensi al SI’ i meridionali, che si sentono abbandonati da questo governo. Ancora qualche ora, e tutti potremo seguire i risultati degli exit poll e delle proiezioni, magari restando attaccati al piccolo schermo o alla radio tutta la notte, con il solito balletto di su e giù, dei numeri e dei diagrammi, delle opinioni degli opinionisti, mobilitati in gran numero da tutte le emittenti. Sarebbe da dire, una festa repubblicana, ma vedremo in che cosa si trasformerà, se, come sostengono alcuni, in una vittoria dei NO, con la conferma della bontà della creatura dei nostri padri costituenti, o, invece, in quella che alcuni vedono come una svolta autoritaria, collegata al riformando – forse – nuovo Italicum. Insomma, tutto da scoprire, come in un giallo di Edgar Alla Poe, con finale piuttosto ‘noir’.

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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