Connect with us

Editoriali

Referendum Atac. Mussolini e Catalano a Officina Stampa. Nicodemi: “Ecco cosa avrei voluto dire a riguardo”

Published

on

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 6 minuti

Di David Nicodemi (*)

Problemi di natura logistica mi hanno impedito di partecipare alla puntata de «Officina Stampa» di giovedì 8 novembre, incentrata, nella seconda parte, sul Referendum consuntivo di domenica prossima (11 novembre) sulla liberalizzazione del servizio di trasporto pubblico di Roma Capitale, promosso dai Radicali, in testa l’ex-consigliere Riccardo Magi, e caldeggiato da buona parte del PD – mah! – e da Forza Italia. Per questa mia débâcle chiedo principalmente scusa alla conduttrice e giornalista Chiara Rai, che ha avuto la sensibilità di invitarmi, alla redazione e ai agli altri ospiti, la consigliera comunale Rachele Mussolini e all’esponente della direzione romana dei Radicali Claudio Catalano. Al quale avrei voluto spiegare come stanno realmente le cose, dato che, a mio avviso, la campagna referendaria portata avanti dai promotori si basa quasi esclusivamente sull’emotività dell’utenza. Ma andiamo per ordine.

PUNTATA OFFICINA STAMPA 8/11/2018 RACHELE MUSSOLINI E CLAUDIO CATALANO SU REFERENDUM ATAC

 Un Referendum demagogico

Occorre subito chiarire che il 95% degli italiani si sono espressi contro la liberalizzazione della gestione dei servizi pubblici essenziali (acqua, trasporti etc.), abrogando, con il Referendum dell’11 giugno 2011, l’articolo 23bis del Decreto Legge 112/2008 convertito con la Legge 113 del 6 agosto 2008. Ma di cosa parliamo allora? A fronte di questa pragmatica analisi e considerata la gestione partitocratica di Atac – che vedremo a breve -, chiedere la liberalizzazione dei trasporto romano, enfatizzando il malfunzionamento aziendale, oltre ad apparire come un puro e semplice attacco all’attuale amministrazione, con la quale spesso sono entrato in conflitto, sia chiaro, «sembra», riprendendo le dichiarazioni del vicesegretario nazionale del SLM-Fast Confsal Antonio Prontestì, «possa nascondere qualche interesse diverso da quello che è contenuto nei dettami costituzionali». Pertanto, chiedo agli elettori di votare secondo coscienza, lasciando a casa l’ideologia e le simpatie partitiche: c’è in ballo il futuro di Atac, patrimonio dei romani.

Ce lo chiede l’Europa 

È Una delle tante favole raccontate dai promotori del referendum, e sostenitori del SI. Sfatiamo il mito, nessuna grande città europea ha messo a gara il trasporto pubblico, ci ha provato soltanto Londra, sulla scia delle esternalizzazioni/privatizzazioni delle ferrovie di thatcheriana memoria, ma entrambi i casi sono risultati un fallimento, al punto da costringere le istituzioni inglesi a tornare sui propri passi. Questo perché il complesso reticolato normativo attualmente in vigore, che disciplinano il settore, consente alle autorità competenti l’affidamento – senza alcun limite – dei servizi di TPL in house alle società a rilevanza pubblica, aggiudicando tramite contestuale procedura ad evidenza pubblica almeno il 10% del servizio a soggetti diversi da quelli che operano, come si evince dall’articolo 5 paragrafo 2 del Regolamento (CE) 1370/2007. Nel DL 50/2017, che recepisce la menzionata direttiva europea, stabilisce una decurtazione fino al 15% dei corrispettivi del Fondo Nazionale dei Trasporti ai «contratti di servizio non affidati con procedure ad evidenza pubblica (in house).

Roma liberalizzata

Nel corso della trasmissione il signor Catalano afferma, correggendo la Mussolini dicendo, che RomaTpl scarl opera dal 2010. Niente di più inesatto e forviante: amnesia o mera dimenticanza? In realtà, la normativa di riforma del TPL, avviata nel 1997 con il Decreto Legislativo 422 e la Legge Regionale 30/98 di attuazione imponeva, tra le altre cose, la fine del monopolio con l’introduzione di regole di concorrenzialità, utile ad ottenere servizi qualitativamente migliori a costi più bassi per i cittadini. In quest’ambito, sul finire del 1999, in occasione del grande Giubileo del 2000, il Comune di Roma decise di affidare le “linee J” a una società temporanea d’imprese di Sita, Cipar, APM, Transdev, denominata inizialmente Tevere TPL, antesignana di RomaTPL Scarl. Che successivamente si aggiudica il 20% delle linee di superficie, messo a gara dal Campidoglio, nel rispetto del citato Regolamento europeo 1370/2007. Con la gara del 2010 e ulteriori estensioni del contratto di servizio, prorogato sino al 2020, al consorzio RomaTPL Scarl sono stati affidati attualmente 30milioni di chilometri l’anno, pari al 30% delle linee. Percentuale superiore a quanto indicato dalla Direttiva europea.

Le liberalizzazioni funzionano?

È il quesito cardine che avrei voluto sottoporre all’esponente radicale, che, quasi certamente, avrebbe tirato fuori varie scartoffie con l’intento di rispondermi. Lavoro inutile, credetemi. All’estero si stanno affrettando a rinazionalizzare il servizio pubblico dei trasporti e in Italia le cose non sono andate meglio. Eclatante l’esempio della città di Genova, dove il TPL era stato affidato, con gara a doppio oggetto, a una società privata. Che nell’arco di poco tempo, non avendo ricevuto le necessarie copertura dal Comune, ha mollato la presa e lasciato tutti a piedi. E vogliamo parlare della stessa RomaTPL, la quale pur gestendo linee periferiche, con una velocità commerciale superiore a quelle in mano all’Atac, offre all’utenza un servizio qualitativamente e quantitativamente insoddisfacente. Poco edificante è, inoltre, il trattamento che il consorzio riserva al personale, e qui servirebbero altri due o tre capitoli aggiuntivi: mi limito soltanto a dire che quelle madri e quei padri di famiglia aspettano giorni, mesi prima di vedere lo stipendio, una condizione disumana.

PD bipolare

A eccezione della “cordata” legata al consigliere regionale Eugenio Patanè, comunque ragguardevole, l’intero Partito Democratico è salito sul carro del SI, facendo da spalla ai Radicali. O viceversa. Una contraddizione nella contraddizione: da un lato disconosce il Referendum del 2011 che aveva ampiamente sostenuto, dall’altra ammette, implicitamente, il proprio fallimento nell’Amministrazione di Roma Capitale. Il centrosinistra ha governato la città per circa 18 anni, al netto della parentesi di Alemanno, non ce lo dimentichiamo: un periodo lunghissimo, nel quale il trasporto pubblico ha subito cambiamenti sostanziali in meglio e in peggio. E che qualcosa sia andato storto, soprattutto dopo la creazione della nuova Atac, nata nel 2010 dalle ceneri di Trambus e MetRo, lo dice il buco di 1miliardo e 300 milioni di euro, che di certo non può essere ascrivibile all’attuale compagine amministrativa. Ma da qui a rinnegare il proprio passato, ce ne vuole. La schizofrenia aumenta se si pensa che alla Regione Lazio il PD, azionista di maggioranza del Presidente Zingaretti, è stato uno degli autori del risanamento della Cotral, ovvero dell’azienda di trasporto interamente pubblica – Operazione che ha fatto già risparmiare 35milioni di euro alla Regione sui costi di gestione della Compagnia -. Certo, piccolo inciso, occorre ammettere che il risanamento è stato un bagno di sangue, data la gestione privatistica, binomio inquietante, sono, infatti, numerosi i contenziosi aperti a tal proposito dai lavoratori. Fermo restando tale aspetto, estremamente delicato, insieme all’ATM di Milano, Cotral è un altro esempio fulgido di azienda pubblica applicata ai trasporti. E allora, sulla base di queste considerazione, perché dopo aver votato contro il Referendum sulle liberalizzazioni del 2011, gestito i trasporti pubblici di Roma e risanato Cotral, ora il PD è schierato in favore delle esternalizzazioni/demolizione della stessa Atac? Per opportunismo politico? Perché Cotral sarà ceduta soggetti privati? Cosa nasconde questa viscerale voglia di esternalizzare?

Caos Atac

Lo spezzatino promosso dai Radicali ci riporta indietro di oltre cento anni, al caos tariffario e gestionale antecedente alla riforma del sindaco Nathan, dove le imprese private, che gestivano i servizi tramviari, avevano assunto una posizione monopolistica, date risorse in loro possesso, riuscendo a dettare legge sulle politiche del trasporto e piegando, altresì, ai propri voleri il Comune. A parte questo c’è da dire che il debito di Atac, come detto, è figlio di una politica di gestione e pianificazione distorta, deriva da un uso scriteriato della politica e di quei dirigenti cooptati dalla politica che hanno trasformato l’azienda in un bancomat, in una sorta di machettificio, fatta salva l’esperienza di Rettighieri. Lo dicono le carte giudiziarie. E ora, quella stessa politica, che ha gravi responsabilità, chiede lo smembramento di Atac e, di conseguenza, la precarizzazione degli autoferrotranvieri romani – che sono gli unici a guidare oltre sei ore di fila -, facendo leva sull’emotività degli utenti. Ma più di tutte pesa l’inadeguatezza dei finanziamenti: il fatto che, ancora oggi, la Regione Lazio percepisce, in seguito alla Conferenza Stato/Regione del 1996, solo 176 milioni di euro, pari a circa 11% dal Fondo Nazionale TPL, a fronte del 17% concesso alla Lombardia. Una cifra nettamente insufficiente per garantire il trasporto ai cittadini del Lazio e di Roma che con Atac, l’azienda più grande d’Italia, serve un territorio vastissimo rispetto alle altre società pubbliche italiane ed ha un costo gestionale che supera abbondantemente i 300 milioni di euro; pesa la tariffazione clandestina, nessuno ne parla, che si è mangiata, lo dicono le carte in Procura, circa 700milioni di euro; pesa la destituzione del fiorente polo turistico di Atac, rappresentato da Trambus Open, un’eccellenza nel settore e, pesa, infine, l’esternalizzazione dei chilometri con maggiore velocità commerciale, mantenendo a sé le linee più lente. Al riguardo, dagli studi scientifici ed economici, emerge che con una velocità commerciale media sotto i 17 Km/h la società di trasporto, di qualunque natura sia, non riesce a coprire i costi di gestione. Questi sono soltanto alcuni esempi che hanno contribuito al dissesto finanziario di Atac che, messa alla strette, è stata costretta a economizzare sulle manutenzioni. È importante che il governo faccia la sua parte nel piano di risanamento messo in cantiere dall’Amministrazione Comunale con il concordato preventivo, e configgere, all’occorrenza, la sacca di potere che da anni tira le fila da via Prenestina.

(*) blogger, cronista e
responsabile Ufficio Stampa Fast-Confsal