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Editoriali

RAUL CASTRO, LA VISITA AL PAPA E LE SPERANZE PER IL FUTURO

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Tempo di lettura 4 minuti Un'intervista col vaticanista Marco Politi, per spiegare cosa cambia nei rapporti con Cuba

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di Silvio Rossi

La visita di Raul Castro a papa Francesco è stato certamente l’evento di politica internazionale più importante di questi giorni. Il viaggio a Roma del presidente cubano è una sorta di ringraziamento, così come ha detto lo stesso Raul, per il lavoro svolto dal pontefice nel solco di un progetto di riconciliazione tra l’isola caraibica e gli stati occidentali, USA in testa. Per analizzare meglio il significato di questo passo, abbiamo cercato di approfondire l’argomento con un illustre collega, firma storica di Messaggero e Repubblica, attualmente vaticanista de Il Fatto Quotidiano, Marco Politi, che ci ha onorato della sua preziosa opinione.


Raul Castro ha ringraziato papa Francesco per il suo ruolo nelle trattative con gli USA. Si può affermare che papa Francesco è per il Sudamerica ciò che Woytjla fu per l'Europa orientale, inteso nel senso di un processo di pacificazione?
Io non farei questo parallelo, perché Woytjla è stato molto attivo nel sostenere le forze che si battevano contro il regime comunista in Polonia, e quindi di riflesso nell’Europa dell’est. La Chiesa Cattolica a Cuba ha invece esercitato un forte ruolo di mediazione, e proprio questo ruolo di mediazione ha permesso di sbloccare la situazione. Il papa, anche Giovanni Paolo II ha sempre sostenuto l’azione del cardinale di Cuba, che si è sempre battuto per i diritti della chiesa, quindi per la presenza della chiesa nella società, e anche per la libertà di espressione dei cittadini, senza però schierarsi.


Quindi diciamo, mentre in Woytjla era più partigiano, a Cuba la chiesa è stata più arbitro?
Diciamo che a Cuba anche Woytila ha preso una posizione differente. Proprio nel 1998, alla fine del suo incontro con Fidel Castro, durante la visita all’Avana lanciò questa parola d’ordine: “Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba”. Quindi Woytjla contemporaneamente chiedeva la fine dell’embargo americano e l’apertura di un processo di democratizzazione del regime cubano. In tutti questi anni la chiesa cattolica ha continuato a lavorare in questa posizione, e ciò ha culminato col ruolo di mediazione di papa Francesco tra Castro e Obama nei mesi passati. Questo da una parte ha terminato positivamente un lavoro, ma si apre una pagina nuova, perché il regime cubano nel momento in cui si apre sia alla democratizzazione, sia anche all’economia privata, ha bisogno di non essere travolto dall’economia privata, e di mantenere quelle che sono state le conquiste sociali della sanità e dell’istruzione, che lo stesso Giovanni Paolo II aveva riconosciuto. L’incontro di domenica, quindi, non è solo un ringraziamento per il passato, ma cerca nella chiesa un alleato per il futuro.


La dichiarazione di Castro, durante l’incontro con Renzi, quando ha detto: “Se papa Francesco continua così, tornerò a pregare”, è l’elemento che si può ricordare di questo incontro?
Sì, certamente è una frase che dimostra quanto papa Francesco riesca personalmente a influire sulle persone, e quanto forte sia l’impressione che lui lascia sulle persone. In questo senso Raul Castro è stato veramente a cuore aperto durante la conferenza stampa, perché finora aveva sempre sottolineato l’identità di vedute tra la dottrina sociale della Chiesa e le preoccupazioni sociali del regime cubano, qui invece è andato sul personale, e questo è lo specchio di come Francesco riesca a colpire anche gli agnostici e gli atei. Proprio con quello che Raul Castro ha detto molto bene in due parole: “la sua saggezza e la sua modestia”, quindi da un lato un intelletto acuto, e dall’altro una grande umiltà.


Quando venne Fidel Castro nel 1996, chiese al papa di andare a Cuba, e ci volle più di un anno per organizzarla, ora in tre mesi si dovrebbe concretizzare la visita di Bergoglio a Cuba. Sono veramente cambiati i tempi da allora?
Sì. Allora Fidel Castro venendo a Roma, incontrando il papa e invitandolo, chiuse un lungo periodo di ideologizzazione del regime cubano, per cui la Chiesa era tollerata, ma sostanzialmente i militanti e i dirigenti del Partito Comunista Cubano dovevano essere atei. La mossa di Fidel coincideva col fatto che, essendo caduta l’Unione Sovietica, ed essendo la Russia concentrata sui problemi della propria economia, e non potendo quindi aiutare Cuba, Fidel Castro si era reso conto che doveva guardare all’Europa, e quindi anche alla Chiesa Cattolica per rientrare nel concerto internazionale.


Con quella visita è iniziato il cambiamento anche di Fidel Castro persona, oltre che di Cuba? Prima della visita, era comunque un personaggio più inquietante, e l’incontro col Papa l’ha restituito più umano?
È cambiato il passo del regime cubano, però tenga presente che Fidel Castro in America Latina non è stato visto come una persona inquietante, in fondo ha sempre colpito, in qualche modo, anche persone che non erano d’accordo con lui. Non dobbiamo dimenticare che prima della rivoluzione cubana, L’Avana era un grande bordello, proprio nel senso vero della parola, era veramente un regime corrotto e anche moralmente drammatico. Però certamente, nel momento in cui si chiude la lunga fase filosovietica, e Cuba deve camminare con le gambe proprie, Fidel capisce che papa Woytjla, crollata l’Unione Sovietica, diventa anche una voce e un allarme contro il neoliberismo selvaggio, cioè contro un capitalismo radicale, che non ha più una preoccupazione per il bene comune, per una giustizia sociale.


Forse l’ha capita più Castro di molti regnanti occidentali.
Varo, e infatti il vero momento di svolta è stato il contatto proprio fisico tra i due, perché Fidel Castro teneva spesso per mano Giovanni Paolo II, è nata una vera simpatia, allora il papa era già vecchio, aveva bisogno di essere sostenuto, e Fidel Castro lo teneva per mano. Ricordo che il Papa in volo disse a noi giornalisti: “voglio sentire la sua verità”. Tutti e due si sono raccontati la loro verità, e lì è nato un rapporto personale molto forte. Nel caso di Raul Castro c’è stata un’accelerazione, perché lui è arrivato al potere proprio con la decisione del Partito Comunista di aprire una nuova fase economica.


Raul Castro è una figura più moderata del fratello, o il cambio è dovuto solamente a un cambiamento della situazione internazionale?
No, possiamo dire che era una figura di secondo piano, lui oggi agisce dietro la necessità di una spinta storica, per tanti anni è stato all’ombra del fratello, e non ha mai preso iniziative personali. Oggi è sotto a una necessità storica che Cuba faccia una transazione, e quando è arrivato al potere il suo primo discorso faceva intravvedere che sarebbe incominciato un nuovo corso.

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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