Connect with us

Editoriali

QUELLI CHE BALLANO SULLE MACERIE

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 4 minuti
image_pdfimage_print

di Federico Altea

Tutti coloro che, stufi e delusi dalla politica, se ne disinteressano, probabilmente sbagliano. Montanelli insegnò a turarsi il naso ed a votare il “meno peggio”. Eppure accade che la realtà sia, per la cittadinanza, di una rassegnata disperazione, nonostante le penne dorate dei grandi quotidiani come quella del Ferruccio nazionale che il 19 maggio sul Corriere esalta (senza esporsi al patriottismo, per carità!) l’Italia e soprattutto gli italiani.

Per chi a cagione di fortunate contingenze anagrafiche ha potuto infiammarsi gli animi in gioventù militando in un partito, oggi, salvo l’eccezione dei 5 Stelle, è difficile immaginare che voglia ancora applicarsi in politica senza ottenere un tornaconto personale. Così come non si applica in politica il giovane che voglia agire per qualche senso di amor di patria o di territorio. Lo si capisce guardando alle azioni dei partiti del rimborso elettorale e delle segreterie factotum che si occupano di gestire i danari ottenuti illegittimamente in spregio del referendum del ’95 e di nominare i parlamentari della Repubblica nei listini bloccati. Anche a livello locale le medesime questioni si ripropongono, non per un posto al vertice di un istituto bancario … s’intende, ma comunque per un favore a destra ed uno a manca, ed il discorso sostanzialmente non cambia. Chi alimenti ancora nella sua dimensione privata un qualche ideale fa fatica a trovare il coraggio di manifestarlo: chi ad esempio ha oggi l’ardire di raccogliere quella sfida che Pasolini lanciò al ragazzo fascista, quando lo s’implorava di operare come defensor cives di fronte all’imperante dittatura del consumo?  Nel nostro tempo il consumismo prende le pieghe della voracità della vita online e della pochezza dei rapporti interpersonali. Oggi il consumismo prende le fattezze della mala politica e della politica per interesse, del compromesso sempre e comunque.

Quell’ “all’italiana” che ci accompagna sempre, nel bene e nel male e che fa sì che all’estero le persone si sincerino sempre che non le vogliamo fregare, prima di accordarci fiducia, amicizia, e spesso grande stima; perché noi italiani fuori confine diamo il meglio di noi stessi.

Un estratto da una poesia in friulano, tradotta, dove P. si rivolge al ragazzo fascista:  “(…) Tu difendi, conserva, prega: ma ama i poveri: ama la loro diversità… /… Dentro il nostro mondo, di’ / di non essere borghese, ma un santo / un soldato: un santo senza ignoranza, / un soldato senza violenza. / Porta con mani di santo o soldato / l'intimità col Re, Destra divina / che è dentro di noi, nel sonno. / Credi nel borghese cieco di onestà. / anche se è un'illusione, perché / anche i padroni hanno / i loro padroni, e sono figli di padri / che stanno da qualche parte nel mondo. / E' sufficiente che solo il sentimento / della vita sia per tutti uguale: / il resto non importa, giovane con in mano / il Libro senza la Parola. / Hic desinit cantus. Prenditi / tu, sulle spalle, questo fardello. / Io non posso: nessuno
ne capirebbe / lo scandalo (…)”.

Come possiamo difendere, conservare e pregare? Tutto è perduto, tutto è macerie: la sola ombra di onestà della politica è oggi appaltata ad un gruppo di persone che serrano nelle piazzd le loro fila di anarchici e professori d’odio, che bistrattano le istituzioni e la polizia, che usano la violenza contro uno Stato che, hanno ragione loro, è solo più parvenza di istituzione, divorato e logorato dalla corruzione imperante presente in ognuno di noi, in minimi gesti, per arrivare alle più grandi manifestazioni: quel chiudere gli occhi e schierarsi in difesa del politico indifendibile, che a due giorni dalle elezioni vuole uscire dall’euro o che si candida (si veda l’ex zarina Bresso) dopo scandali e scandali in regione in quell’Europa, con lo slogan di cambiarla, perché ormai perfino il Pd è costretto a malincuore ad ammettere che c’è qualcosa che non va, che il parlamento in Europa non conta e che la tecnobancocrazia va abbandonata per
sempre.

Trascinàti come plancton dallo spirito del tempo, questi politicastri hanno ancora la forza di farsi eleggere dai fantasmi degli perai e  da fighetti da villetta in collina che si recano a votare Pd già troppo turbati dalla novità ciarliera di un toscano buffone di corte. Nell’impossibilità ormai appurata di tornare indietro, precipitando in un pozzo e prima di schiantarci, tanto vale farci una risata, certi che le nostre voci rimbomberanno sulla pietra umida e nera, in una splendida solitudine.

Gesti enormi ed estremi come quello inverato da Dominique Venner nella cattedrale di Notre Dame vengono lasciati cadere nello stesso pozzo d’oblio, dal quale ridiamo rassegnati e volgari, antichi cimelii che discendono da fierezza mai conosciuta, che facciamo? Inneggiamo all’alcol dimenticando le vigne: dimenticando chi siamo e la terra dalla quale veniamo, bevendo scadente vino di un supermercato francese.  In un periodo come questo i senzatetto appaiono di una nobiltà d’animo, di una fierezza impenetrabile, loro: uomini senza compromesso, unici e soli.

Personaggi come Mario Adinolfi, fondatore del Pd e cattolico popolare, nella sua figura decadente di grande obeso e fine giocatore di poker americano “hold’em”, appare un rivoluzionario e viene riempito di insulti dall’intellighenzia che lui stesso ha contribuito a radunare sotto la bandiera del piddì. Rivoluzionario, Adinolfi, perché dice che la famiglia è formata da mamma, papà e figli.

Perché prima di impelagarsi in questioni dibattute come fecondazione eterologa, aborto, amniocentesi, è odiato perché del matrimonio condivide la definizione che ne danno tutti i vocabolari, cioè l’istituto giuridico (o, secondo la Chiesa cattolica, sacramento) mediante cui si dà forma legale (e rispettivamente carattere sacro) all’unione fisica e spirituale dell’uomo (marito) e della donna (moglie) che stabiliscono di vivere in comunità di vita al fine di fondare la famiglia. Allora a cosa serve oggi lanciare queste declamatorie righe contro la decadenza, se non  ad accrescere la decadenza stessa? Essere coscienti della caduta ci concederà appigli per risalire? Noi ci gongoliamo nello stare in vestaglia e guardare un bicchiere di liquore, ampollosi nelle nostre discussioni sterili, in ciabatte e davanti ad un camino, pensando che fuori cadono meteoriti.

Sperando che presto uno ci colpisca, per conferirci la dignità di un barbone. Forse però un’alternativa c’è, e va ricercata nelle parole del vecchio Ratzinger, il quale lodava il ritorno alla terra di tanti giovani: la terra che purifica, la terra che santifica. Donare la vita e assaggiare la durezza della natura potrebbe forse renderci più attaccati alle cose, meno farsescamente convinti di valere molto di più di quello che mangiamo e di quello che espletiamo, membri di un circolo ecologico che non dovremmo turbare con i nostri egoismi ed i nostri trastulli, nei quali oggi possiamo inserire, per la sua bassezza, pure la Politica.

E lasciamo i grandi centri urbani alla loro irrecuperabile corruzione.

Continua a leggere
Commenta l'articolo

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print


Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

Continua a leggere

Editoriali

La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print


La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

Continua a leggere

Editoriali

Un anno senza Silvio Berlusconi

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura < 1 minuto
image_pdfimage_print

Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

Continua a leggere

SEGUI SU Facebook

I più letti