Quel folle alto e biondo

di Silvio Rossi

 

Una frase celebre di uno dei padri degli Stati Uniti, Benjamin Franklin, recita: “Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza”.
Come identificare le misure a bordo degli aerei, introdotte dopo gli attentati dell’11 settembre, se non con l’appellativo che lo scienziato e politico americano ha riservato all’illusoria sensazione di vivere in un bunker inespugnabile? Qual è il giusto livello di sicurezza per garantire che un pazzo non possa a mettere a repentaglio la vita di centocinquanta passeggeri?
E soprattutto, dopo la strage dell’aereo Germanwings, la domanda che bisogna porsi è: “Chi è così convinto di pensare che la follia sia una prerogativa dei terroristi islamici?”. Perché la causa principale per cui tante vite sono state spezzate è proprio la miopia determinata dall’aver focalizzato come pericoloso solamente chi rispettava un cliché ben definito.
Se su un aereo vediamo salire una persona dai chiari tratti somatici mediorientali, vestito così come da tradizione in molti paesi arabi, noi identifichiamo in costui il simulacro del talebano, dello jihadista, dell’hezbollah. Se invece in cabina di pilotaggio c’è un ragazzo biondo, alto, dai chiari lineamenti nordeuropei, in questo caso ci sentiamo rassicurati, affidiamo tranquillamente nelle sue mani le nostre esistenze, e quelle delle persone care.
Virgilio scriveva: “Neanche se avessi cento lingue e cento bocche, e una voce di ferro potrei enumerare tutte le forme dei pazzi, passar in rassegna tutti i nomi assunti dalla pazzia”. Accecati dalla paura del “diverso” che viene dall’est, abbiamo dimenticato tutte le altre forme che la follia può assumere.