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Redazione Lazio

Quando la morte ci sfiora

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Tempo di lettura 4 minuti Siamo il Paese delle polemiche. È stata aperta un’inchiesta per disastro colposo, contro ignoti.

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di Roberto Ragone

Sentiamo il fetore della morte ormai su tutti i fronti. Dalla Siria, da Aleppo, dalle guerre spietate che si combattono ormai non si sa più in nome di chi e che cosa, purchè si combattano. Fiumi incalcolabili di denaro scorrono sul sangue di chi si trova in mezzo ai fuochi, non importa se donne, uomini, bambini, soldati, terroristi, bianchi, neri, alimentando colonne di disperati che a piedi affrontano trasferimenti biblici, nel tentativo di arrivare poi in Occidente, innescando una serie di problemi. Il puzzo della morte ci arriva perfino dal televisore, e ce ne siamo quasi assuefatti, tanto da non sentirlo più. Proviamo pietà per quei bambini, a cui è negata la vita, a cui è negata anche l’infanzia. Proviamo pietà e raccapriccio per quegli adolescenti mandati ad uccidere con una cintura esplosiva attorno al petto, in nome non di un dio perverso, ma di una religione che non sa più essa stessa cosa sia. Proviamo pietà e dolore, tuttavia sono morti lontani, anche se ci scandalizza ciò che comunque riusciamo ad intuire, cioè che le guerre non risolvono nulla, perché non le vince nessuno, lasciano solo mucchi di cadaveri e filari di tombe. Le guerre non le vince nessuno, soprattutto chi le combatte. Le guerre le vincono quelli che vendono armi, che accolgono fiumi di denaro sporco, in accordo con i governi dei vari Paesi che le propiziano e le sobillano, sfruttando criminali come quelli di Boko Haram, pessima pubblicità per un Islam che si vuole accreditare in Occidente. Boko Haram sembra che voglia dire ‘La cultura occidentale è peccato’, e tutti siamo al corrente del rapimento delle 260 ragazze del liceo, vendute come schiave a pochi dollari, o costrette a sposare i soldati di questo esercito di assassini. Morte, dicevamo, ma comunque lontana da noi.

 

Tutto cambia quando la morte arriva vicino a noi, in casa nostra, e ci tocca nelle cose che credevamo più protette, come un paese di montagna in cui andare d’estate per una gita, a godere il fresco dell’altitudine, a vivere un’atmosfera tranquilla, serena, al profumo di un piatto caratteristico, conosciuto in tutto il mondo, come l’Amatriciana. 265 morti, 365 feriti, quasi mille scosse, da quando è incominciato tutto, e ne abbiamo sentite anche noi, che ne siamo lontani. Il letto che si muove, il lampadario che dondola, alle 4,34 di quella notte maledetta, e il panico si è diffuso anche molto lontano. In un attimo sono stati rasi al suolo interi paesi e piccole frazioni di gente civile e pacifica, lontana dai clamori delle guerre siriane, e che comunque in un attimo hanno dovuto affrontare una situazione molto simile a quella, con amici e parenti sotto le macerie, e la fuga in cui hanno potuto salvare solo la vita e perdere tutto. Casa, beni, lavoro, amici, persone care, figli, nipoti, genitori. Famiglie smembrate, un passato cancellato da pochi secondi di ira sotterranea di una terra che non è mai stata avara di sommovimenti tellurici, anzi. Piangiamo ancora l’Aquila, per cui si sono spese promesse che non hanno trovato mai riscontro nella realtà. Oggi, come allora, assistiamo a comportamenti che ci sono già noti: volontari, che non ringrazieremo mai abbastanza, insieme a coloro che sono preposti ai soccorsi, Vigili del Fuoco, Polizia, Carabinieri, Protezione Civile, gruppi cinofili, donatori di sangue, e tutti coloro che dall’inizio hanno inteso mettersi a disposizione senza risparmio. La ferita è ancora fresca, e per ora non rimargina. Un giorno, forse, lo farà, ma la cicatrice rimarrà dentro di noi, per quanto spettatori privilegiati, non toccati, per ora, da simili eventi. L’Italia è quasi tutta a rischio geologico, e ci auguriamo che la terra, saziata la sua sete, non torni a tremare, almeno per qualche millennio. Ma la ferita sanguina, e fa male. Oggi vediamo in televisione giornalisti che intervistano chiunque. Per carità, fanno il loro mestiere, a volte ingrato, perché bisogna dare qualcosa al pubblico. Ma a volte si sente una nota stonata nelle interviste sul campo, in quelle ai disgraziati protagonisti del terrore – i quali non hanno altro da rispondere che le stesse cose, tutti quanti, mentre chi porge loro il microfono spera in un pianto dirotto che dia più sapore all’intervista – e soprattutto alle interviste in studio. Psicologi, geologi, politici, polemici, bisognava fare di più, bisognava costruire in un altro modo, perché i soldi c’erano, perché non sono stati utilizzati, eccetera eccetera eccetera…

 

A chi giova tutto questo? Siamo il Paese delle polemiche. È stata aperta un’inchiesta per disastro colposo, contro ignoti. Per carità, un atto dovuto. Ma lasciamo scorrere in silenzio quelle lacrime, in disparte, senza telecamere. Lasciamo che la ferita trovi la sua collocazione, lasciamo che il dolore lasci il posto alla rassegnazione; lasciamo che l’uomo guarisca da solo, perché ne ha le capacità. Lasciamo che chi è sopravvissuto trovi pace nel ricordo di chi non c’è più, senza psicologi e senza che le polemiche sterili e inutili proclamino ad alta voce che quello che è accaduto non doveva accadere. È accaduto, e non si può tornare indietro. I nostri piccoli paesi di montagna sono tutti così, non si possono demolire per ricostruirli con criteri antisismici. Si può certamente, nell’ambito di una mentalità diversa e di un doveroso progresso tecnologico, impostare in altro modo le nuove costruzioni. Ma se un paese è nato quattro o cinquecento anni fa, e le sue costruzioni sopravvivono come sono state fatte, dovremo aspettarci che il prossimo evento disastroso le comprometta. Quello che non bisogna assolutamente fare è litigare sul cadavere, e cercare responsabilità e colpe, che certamente ci sono, ma che ormai è inutile individuare. L’Europa, o meglio l’Unione Europea ci ha promesso solidarietà sotto forma di contributi economici: qualcuno dirà che è un bene che siamo ancora in UE, così potremo avere un aiuto significativo. Bene, l’UE ci restituirà soltanto una parte di ciò che l’Italia ha versato nelle sue casse. Se quel denaro lo avessimo messo da parte, da buon padre di famiglia, ne avremmo a sufficienza per gli interventi necessari, e molto di più. E speriamo anche che i politici non vogliano sfruttare questa triste occasione per tirare un po’ d’acqua ad un mulino che gira sempre più lentamente. 

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Castelli Romani

Frascati, Libri in Osteria: appuntamento giovedì 18 luglio con Antonella Prenner

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Cosa lega Tullia, figlia di Cicerone, Servilia, madre del cesaricida Bruto, e Messalina?

Al di là di essere tre figure della Storia antica di Roma sono le protagoniste di alcuni romanzi della filologa e scrittrice Antonella Prenner, docente di Lingua e letteratura latina all’università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale.

la scrittrice Antonella Prenner

Antonella Prenner ed i suoi romanzi saranno i protagonisti giovedì 18 luglio in piazza dell’Olmo a Frascati, a partire dalle ore 18, del salotto letterario di Emanuela Bruni, Libri in Osteria assieme allo scrittore e giornalista Pino Donghi.
Le loro vite, le loro esperienze e i loro rapporti, spiega Emanuela Bruni “offrono un punto di vista non ufficiale, emotivo, disvelando pieghe e zone d’ombra di una storia sempre scritta dagli uomini e per gli uomini”.
Quindi si avrà la possibilità di cambiare la prospettiva di lettura di una storia che vede queste figure troppo spesso relegate al ruolo di comprimarie pur essendone protagoniste ed attrici principali.
Non mancherà un breve approfondimento sull’ultima fatica di Antonella Prenner “Lucano. Nostalgie di libertà” ove l’autrice descrive l’età di Nerone e di una generazione infelice, che assiste all’esercizio di un potere politico iniquo e impossibile da contrastare perché assoluto, e che vagheggia di tornare a un tempo irripetibile, quando “res publica” romana significava “libertà”.

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Costume e Società

Il magico Maestro della Pizza a Fregene: un tributo di Francesco Tagliente a un pizzaiolo straordinario

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Il Prefetto Francesco Tagliente ha recentemente condiviso sulla sua pagina Facebook una commovente testimonianza, raccontando l’incredibile esperienza culinaria vissuta al ristorante Back Flip Da Moisè di Fregene. Questo racconto non è solo un omaggio a una pizza straordinaria, ma anche un tributo a Michelangelo, il pizzaiolo settantaquattrenne la cui dedizione e passione hanno trasformato un semplice piatto in un’opera d’arte.

Seduto al ristorante con sua moglie Maria Teresa, Tagliente ha descritto la pizza come “la migliore che abbia mangiato negli ultimi cinquant’anni”. Tuttavia, ciò che ha reso questa esperienza davvero speciale è stata la scoperta della storia dell’uomo dietro la pizza. Michelangelo, un ex contadino che si sveglia ogni mattina all’alba per curare il suo orto, dedica le prime ore del giorno alla coltivazione delle piante e alla cura della famiglia. Solo dopo queste attività, si prepara per andare al ristorante e mettere tutto se stesso nella preparazione della pizza.

L’Arte di Michelangelo: Tradizione e Passione

Michelangelo non è solo un pizzaiolo, ma un vero e proprio maestro dell’arte culinaria. La sua vita semplice e laboriosa, fatta di dedizione e umiltà, è un esempio di come l’amore per il proprio lavoro possa trasformare un piatto comune in un’esperienza indimenticabile. La sua capacità di fondere la tradizione contadina con la sapienza artigianale nella preparazione della pizza è un’arte rara e preziosa.

Tagliente ha scritto: “La dedizione e l’umiltà di quest’uomo, che dalla vita contadina riesce a creare una delle migliori pizze che abbia mai assaggiato, mi hanno colpito profondamente. Il suo nome rimane anonimo, ma la sua storia di passione e impegno è qualcosa che merita di essere raccontata.”

L’Umanità di Francesco Tagliente

Il racconto del Prefetto Tagliente non solo mette in luce le straordinarie qualità culinarie di Michelangelo, ma riflette anche le qualità umane dello stesso Tagliente. Conosciuto per la sua sensibilità e il suo impegno sociale, Tagliente ha sempre dimostrato un profondo rispetto per le storie di vita quotidiana e per le persone che con il loro lavoro contribuiscono a rendere speciale ogni momento.

La sua capacità di cogliere e apprezzare la bellezza nascosta nei gesti quotidiani e nelle storie semplici rivela un’anima attenta e sensibile, sempre pronta a riconoscere il valore degli altri. Il tributo a Michelangelo è un’ulteriore testimonianza della sua umanità e del suo desiderio di dare voce a chi, con passione e dedizione, arricchisce la vita di chi lo circonda.

Un Esempio di Vita

La storia di Michelangelo, come raccontata da Tagliente, è un potente promemoria di come la passione e l’impegno possano elevare il lavoro quotidiano a forme d’arte. “La sua pizza è un capolavoro che continuerà a risuonare nei miei ricordi, così come la sua storia di dedizione e umiltà,” ha scritto Tagliente, riconoscendo il valore di un uomo che, nonostante l’età e la fatica, continua a regalare momenti di gioia e piacere attraverso la sua cucina.

Questo tributo non è solo un omaggio a un pizzaiolo straordinario, ma anche un invito a riflettere sull’importanza del lavoro fatto con passione e amore. Grazie, Michelangelo, per averci mostrato che dietro ogni grande piatto c’è una grande storia, fatta di lavoro, passione e amore per la semplicità. E grazie, Francesco Tagliente, per aver condiviso con noi questa storia ispiratrice, ricordandoci di apprezzare le piccole grandi cose della vita.

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Roma

Roma, maxi-rissa metro Barberini. Riccardi (Udc): “Occorrono misure decisive”

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Dopo l’ennesima maxi-rissa tra bande di borseggiatori che ha portato alla chiusura della stazione metro di piazza Barberini provocando, tra l’altro panico e paura tra i cittadini romani ed i tanti turisti presenti in città, la politica della Capitale non tarda a far sentire la sua voce.
“Questa ennesima manifestazione di violenza e illegalità non può più essere tollerata. Richiamo con forza il Governo ad un intervento deciso e definitivo. È inaccettabile che i borseggiatori, anche se catturati, possano tornare ad operare impuniti a causa di leggi troppo permissive, che li rimettono in libertà quasi immediatamente.
L’Italia è diventata lo zimbello del mondo a causa di questa situazione insostenibile.
È necessario adottare misure più severe e immediate per garantire la sicurezza dei cittadini e dei turisti. Proponiamo una revisione delle leggi esistenti per introdurre pene più dure e certe per i borseggiatori, rafforzare la presenza delle forze dell’ordine nei punti critici della città e migliorare la sorveglianza con l’uso di tecnologie avanzate”
.

il commissario romano UdC, Roberto Riccardi

A dichiararlo con decisione è Roberto Riccardi, commissario romano dell’UdC.
Da sempre attento ai problemi sulla sicurezza Riccardi fa notare con estrema chiarezza che tali situazioni non fanno altro che portare un’immagine della capitale sempre meno sicura agli occhi dei molti turisti che sono, per la capitale, una fonte di ricchezza economica oltre che di prestigio.
La fermata della Metro A Barberini a Roma è stata teatro di una maxi-rissa tra bande di borseggiatori sudamericani, che ha richiesto l’intervento delle forze dell’ordine e il blocco della stazione per circa 40 minuti. La violenza è scoppiata a seguito di una serie di furti e scippi ai danni dei passeggeri.
Riccardi ha poi concluso: “Non possiamo permettere che episodi come quello avvenuto alla Metro Barberini si ripetano. È ora di passare dalle parole ai fatti, con azioni concrete che ripristinino l’ordine e la sicurezza nelle nostre città. I cittadini hanno il diritto di vivere in un Paese sicuro e il dovere del Governo è garantirlo”.
Molti cittadini ci scrivono ogni giorno preoccupati da questa escalation di violenza e di insicurezza ma soprattutto preoccupati per la poca attenzione che il governo cittadino e quello nazionale stanno avendo nei riguardi di questa situazione ormai alla deriva.

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