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Prescrizione, sistema carcerario e dotazioni Polizia Penitenziaria: il grande flop del ministro Bonafede. Il Presidente del SIPPE tira le somme

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“Non si può dire che in carcere non ci sono soggetti innocenti, perché in Italia il nostro ordinamento giuridico prevede la presunzione di non colpevolezza fino a condanna passata in giudicato e i dati ci dicono che ci sono delle persone, che comunque a seguito di un provvedimento di custodia cautelare, stanno in carcere.”

Questo un primo commento del presidente nazionale del Sindacato di Polizia Penitenziaria – SIPPE – Alessandro De Pasquale riguardo la recente affermazione del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che gli innocenti non vanno in carcere.

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Il Presidente del Sindacato di Polizia Penitenziaria – SIPPE – Alessandro De Pasquale ospite a Officina Stampa del 30/01/2020

“Il problema è un altro – ha detto De Pasquale – che forse in Italia si utilizza molto frequentemente la custodia cautelare in carcere”

E la ricetta per cercare di risolvere il problema del sovraffollamento che affligge il sistema carcerario italiano, secondo De Pasquale, potrebbe essere quello di una apposita Legge che intervenga proprio sulla custodia cautelare in carcere quindi che stabilisca che “in carcere si entra solo o da condannati oppure quando realmente ci sono dei gravi indizi di colpevolezza, ma per reati di un certo spessore”.

“Nella mia esperienza professionale – ha detto il Presidente del SIPPE – vedo quasi giornalmente l’ingresso di soggetti che vengono arrestati per dei reati che potrebbero tranquillamente prevedere altri sistemi alternativi alla custodia cautelare in carcere”.

De Pasquale ha quindi evidenziato il fatto che questi soggetti vengono messi in carcere dove restano per qualche giorno per poi uscire di nuovo. Una pratica questa che va ad appesantire il sistema carcerario “perché comunque, – ha detto De Pasquale – la polizia penitenziaria deve comunque attivare tutte le procedure, perché molti di questi soggetti sono per esempio una prima accoglienza, ovvero persone che non sono mai entrate in carcere e quindi l’ambiente detentivo potrebbe creargli uno scompenso, un trauma da un punto di vista psicologico e quindi si deve attivare il protocollo di prima accoglienza. Protocollo di prima accoglienza – ha spiegato De Pasquale – significa che tutti gli operatori devono intervenire, poi magari dopo due giorni escono. Per questo il Ministro non può fare questa affermazione, probabilmente lui si riferiva a quei soggetti che sono stati condannati con sentenza passata in giudicato e poi magari dopo diversi anni sono risultati innocenti”.

Prescrizione e rischio processi ad libitum

Riguardo la prescrizione De Pasquale ritiene sia una norma giusta in quanto permette agli operatori della Giustizia di “lavorare bene e nei tempi previsti dalla Legge” quindi togliendo questa norma, come previsto dalla riforma voluta dal Ministro Bonafede, il rischio è quello che venga a mancare la necessità di stabilire dei tempi per concludere un giudizio con l’effetto di allungare ad libitum i vari procedimenti.

“Dunque la prescrizione deve esserci – ha ribadito De Pasquale – possiamo discutere sui tempi, ma non eliminarla completamente. Il Ministro deve assumere personale. Nella relazione al Parlamento ha detto assumeremo personale. L’ha detto il Ministro Bonafede così come lo hanno detto tutti i suoi predecessori. Quando tu mi dici che vuoi rimodernare la dotazione della polizia penitenziaria – evidenzia De Pasquale – non mi hai detto assolutamente niente”.

Il Presidente del SIPPE punta quindi il dito sul fatto che il Ministro Bonafede ha avuto la possibilità di non far entrare negli istituti penitenziari i cellulari, attraverso una norma che sarebbe stata un forte deterrente. “Il suo collega di partito, perché il Movimento 5 Stelle ormai è un partito – ha puntualizzato De Pasquale – il Presidente della Camera – Roberto Fico Ndr. – ha ritenuto invece che questa norma fosse in qualche modo inammissibile e quindi non se ne parla più”.

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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Editoriali

La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Roma, aggressioni e borseggi in metro. Riccardi (UdC): “Linea più dura per garantire la sicurezza pubblica”

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“Ci troviamo ad affrontare un problema che il Governo non può più ignorare: i borseggiatori operano impuniti nelle metropolitane di Roma. Questa situazione è inaccettabile e richiede un intervento deciso e immediato. Ritengo che la sicurezza dei cittadini debba essere una priorità assoluta e che la moderazione non significhi inazione”.
È assai dura la reazione del commissario cittadino di Roma Capitale dell’UdC, il dottor Roberto Riccardi, circa le continue, ripetute aggressioni e borseggi nella Capitale.

Dottor Riccardi secondo Lei dove bisogna intervenire in fretta nella legislazione italiana in tale materia?
I recenti episodi di furto nei mezzi pubblici mettono in luce una legislazione troppo permissiva. La normativa attuale, che prevede l’intervento delle Forze dell’Ordine solo su querela dei borseggiati, è del tutto inefficace. Questo non solo rallenta l’intervento delle autorità, ma spesso disincentiva le vittime a denunciare, sapendo che le conseguenze per i borseggiatori saranno minime o inesistenti.
Le leggi attuali non sono sufficienti per contrastare efficacemente questo fenomeno. È necessario un cambio di rotta deciso.

il commissario cittadino UdC di Roma Capitale, dottor Roberto Riccardi

E cosa può fare in più, in questo frangente, l’organo giudiziario?
Bisogna smettere di essere troppo indulgenti con i delinquenti. Va adottata una linea più dura per garantire la sicurezza pubblica.
Lei rappresenta uno dei partiti di governo nazionale. Esiste una vostra “ricetta” in merito?
Ecco le misure che proponiamo; arresto obbligatorio per i borseggiatori con l’introduzione dell’arresto obbligatorio per chiunque venga colto in flagrante a commettere furti nei mezzi pubblici. Questo deterrente è essenziale per scoraggiare i delinquenti e proteggere i cittadini.
Modifica della normativa vigente; bisogna consentire l’intervento delle Forze dell’Ordine anche in assenza di querela da parte della vittima, permettendo un’azione tempestiva e decisa contro i borseggiatori.
Inasprimento delle pene ed introduzione di sanzioni più severe per i reati di furto, specialmente quando commessi in luoghi pubblici e affollati come le metropolitane.
Campagne di sensibilizzazione informando i cittadini sui loro diritti e sull’importanza di denunciare ogni atto di borseggio, contribuendo così a creare una comunità più sicura e coesa.
Ma Lei crede che con tali misure si possa mettere un argine alla questione che preoccupa non solo i romani ma le decine di migliaia di turisti che ogni giorno arrivano nella capitale?
Non possiamo più permetterci di essere indulgenti. Dobbiamo agire con fermezza per garantire la sicurezza di tutti i nostri cittadini.
Le Forze dell’Ordine devono essere messe nelle condizioni di poter agire senza ritardi e senza ostacoli burocratici.
Dobbiamo essere determinati nello spuntare le armi dei buonisti ed a ripristinare la legalità nelle nostre strade e nelle nostre metropolitane. Solo con un intervento deciso e risoluto potremo garantire una Roma più sicura e vivibile per tutti.

Risposte chiare e concrete quelle del commissario cittadino UdC di Roma Capitale Roberto Riccardi.
Ci auguriamo che questa volta la politica affronti davvero con tale determinazione questa assenza di sicurezza per i romani e per le migliaia di turisti che si apprestano a giungere nella Capitale per l’imminente apertura, il 24 dicembre 2024, dell’Anno Giubilare.

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