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Poveri ma belli, Belle ma povere e Poveri milionari: l’Italia tra reale, virtuale e governo Conte

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Poveri ma belli, Belle ma povere e Poveri milionari è la famosa trilogia di film di Dino Risi, tre film di successo del 1957/1959. E oggi ci si domanda chi sono i belli, le belle e i milionari?

I poveri si riconoscono a vista. Non si trovano certamente a Courmayeur come non si trovano a prendere il sole sulle coperte di costosi yacht al largo di Viareggio e tantomeno a bordo di lussuose Ferrari, Lamborghini o Bentley parcheggiate nelle vie della Versilia e non si vedono come alcuni personaggi a pranzo al ristorante “Il Porto” o da “Gattuso” oppure da “Dolce & Gabbana”, sorseggiando champagne e assaporando ostriche e delizie affini. L’Italia dei poveri va cercata altrove ed è un’esclusiva per pochi in quanto l’argomento pare non interessare a nessuno.

In quale veste di questi tre scenari egregiamente proposti da Dino Risi si presenta oggi l’Italia?

C’è un Italia reale che si trova nelle periferie, c’è un’Italia virtuale largamente promossa dai mass media, c’è poi l’Italia del governo Conte, l’Italia del “Tutto va bene madama la marchesa” prostrata e con il cappello in mano, rassegnata nell’atrio dei palazzi della Ue.

Andando a ritroso si può sintetizzare lo scenario attuale in tre quadri, un canovaccio lacerato e sbiadito:

L’Italia di Conte

L’Italia di Conte, generazione del “Faccio tutto mi”, belli ed eleganti, che si atteggiano a Muse dell’alto Olimpo, veri dei che tutto conoscono, a tutti assistono dall’alto del loro sapere, ma che poi in effetti sono poveri di progetti, barcollano nel buio, sconvolgendo strutture, imprese ed il poco che di rassicurante che ancora si può rinvenire dopo la crisi. E’ l’Italia dei saputelli, dei presuntuosi e degli improvvisati.

L’Italia dei mass media

Subito dopo viene l’Italia virtuale massicciamente rappresentata dai mass media e dalla “Raccomandati ed Associati” club di privilegiati che si affacciano a turno nei vari talk show che assillano le serate televisive del popolo italiano, ansiosi di dire la loro sui vari argomenti. Sparano percentuali a piacere e alzano polvere e polveroni per colmare il non detto, per coprire il vuoto che creano ogni volta che si affacciano al pubblico.
Ahinoi, sono fortemente reclamizzati, usano il linguaggio dei giovani, sposano lo slogan “green deal” di Ursula von Der Leyen, si dichiarano gretini e gretine, celebrano in piazza i Fridays for Future, si fanno sentire e per questo, e non solo per questo, risultano vincenti.

Come si dice, fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Questa Italia virtuale rappresenta i valori che cadono e cadendo fanno tanto rumore.

L’Italia dei “poveri milionari”

Questa Italia è come un fiume carsico. Cammina e trascina con se una parte del Paese che conta. E’ l’Italia della corruzione, dell’evasione. Se è vero come asseriva durante il primo governo Conte il vicepremier nonché ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro Luigi Di Maio, che l’evasione era arrivata alla cifra astronomica di euro 300 miliardi, quasi il 16% del prodotto interno lordo ma anche se fosse di soli 100 miliardi di euro come aveva corretto allora la Commissione del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), nulla cambia e non c’è da stare allegri.

Solamente, come al solito, vige la legge “forti con i deboli e deboli con i forti”. Il governo Conte 2 ha preso di mira i piccoli imprenditori, i consumatori ed i pensionati. Il conto delle tasse in Italia per i giganti del web e della sharing economy, Amazon e Google, inerente al 2018 ammontano ad appena 14 milioni di euro. Le tasse pagate da Facebook non sono pervenute, però si sa che per il 2017 il colosso web avrebbe pagato la vergognosa cifra di 120 mila euro.

Quale lotta, a quali evasori? Si cercano quelli sconosciuti ma guai a nominare gli intoccabili

Lo scorso 9 luglio il Tribunale di Roma ha decretato che “I gestori di slot machine sono obbligati, al pari dei concessionari, a versare la quota della tassa di euro 500 milioni prevista dalla legge di stabilità 2015 per la filiera degli apparecchi da gioco”. Attualmente all’appello mancano circa 110 milioni di euro. Chi è che s’incarica di recuperarli?

Alla fine è il caso di dire, c’è l’Italia dei poveri, che poi siano belli o brutti poco importa. Quello che si sa di certo è che la loro povertà è brutta che più brutta non si può. Pochi sanno bene dove vivono, quanti sono, come campano, di che cosa vivono.

I politici si ricordano di loro solamente durante i comizi elettorali. Parlano dei poveri con voce rotta e qualche lacrima d’occasione.

La sceneggiata convince e il deputato di turno guadagna consensi

Si promette di tutto: lavoro, casa, sussidi, asili nido, buoni da spendere a piacere, felicità, benessere e giù con le promesse, tanto promettere non costa nulla.

Una volta eletto però, che nessuno si azzardi ad avvicinare quel politico, prima ed innanzi tutto deve sistemare la sua situazione, poi quella dei suoi cari, degli amici e degli amici degli amici. Ci si deve rassegnare, Montecitorio non è più lo stesso. A Montecitorio la voce della periferia non riesce ad arrivare, non arrivano le frequenze dei quartieri dell’ombra, le periferie sono rimaste sole e da tutti dimenticate.

”È inutile chiamare, non risponderà nessuno – Soli, mangiando un panino in due – Soli, il mondo chiuso fuori con il suo casino”. Caro Adriano, le tue sono parole profetiche, sono frasi d’amore per la bella. Non fa niente, il povero della periferia se ne appropria per gridare la sua solitudine, il suo abbandono, sperando che qualcuno lo ascolti.

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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