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di Silvio Rossi
In questi giorni è morto uno degli ultimi padri della patria, una di quelle figure storiche cui tutti si inchinano, ricordando la grande statura morale, il rigore che hanno usato nel rapportarsi con la cosa pubblica, il rispetto dell’avversario, pur nella più dura contrapposizione, l’onestà intellettuale, che difficilmente si riesce a riconoscere nei suoi colleghi odierni.
Pietro Ingrao, scomparso all’età di cento anni, partigiano durante la Seconda Guerra Mondiale, parlamentare comunista, appartenente alla corrente di sinistra del partito, viene ricordato, non solo oggi dopo la morte, come esempio da molti politici, non solo appartenenti alla sua linea politica.
Queste figure dalla grande levatura politica e morale, che hanno caratterizzato la rinascita di un paese martoriato dalla guerra, anche se su posizioni opposte, sono ormai scomparse quasi tutte. Il ricordo della contrapposizione tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista che portò alle prime elezioni del 1948, dove l’incertezza sul risultato lasciava intravedere sviluppi non facilmente immaginabili alla vigilia, mitizza i personaggi che hanno vissuto quei giorni epocali.
Ma se sotto il punto di vista umano e di rigore, tutti noi ci inchiniamo alla magnificenza dell’uomo, non si possono tacere gli errori politici di Ingrao. Non tanto sulla posizione filosovietica assunta dopo l’invasione della Cecoslovacchia del 1956, complice la propaganda sovietica, che aveva fatto sembrare Dubcek un pericoloso controrivoluzionario, determinando il voto a favore dell’URSS di tutto l’apparato di Botteghe Oscure (anche se alcuni intellettuali “organici” si sono allontanati dal partito comprendendo l’errore della posizione assunta dalla segreteria).
Il vero grande errore è stato non aver compreso il cambiamento che il mondo ha vissuto nel 1989, quando il colosso comunista è crollato sotto la spinta della Perestrojka, dimostrando a tutto il mondo che non sarebbe più stato possibile ingannare le popolazioni, mantenendo in piedi una dittatura mascherata da “governo del popolo”. Quando Achille Occhetto rinnovò la sinistra italiana, assumendo decisioni coraggiose, Ingrao ha preferito chiudersi nella nostalgia di un mondo che si sarebbe voluto migliore, ma che si è dimostrato non possibile, invece di contribuire a una nuova fase politica, basata su una proposta svincolata dalla vecchie ideologie, che forse, per molti anni, nella sinistra italiana, è rimasta “mozza”.
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