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Editoriali

Perché Mimmo Lucano è stato condannato a 13 anni e due mesi?

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La condanna di Mimmo Lucano è arrivata a una quantificazione pari al doppio di quella dell’accusa. Alla fine è stato infatti condannato per la commissione di 16 reati e, nel caso in cui si profilino le caratteristiche del reato continuato, ovvero della commissione di diversi reati accomunati da un medesimo disegno criminoso, il calcolo della pena viene effettuato tenendo presente la pena del reato più grave che potrà essere aumentata dal giudice fino al triplo.

In questo caso il reato peggiore contestato è quello di peculato. Questo reato si ricorda consistere nell’appropriazione di denaro o cosa mobile altrui in ragione della propria funzione di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. Secondo gli inquirenti questa tipologia di reato è stata commessa dall’imputato in vari episodi, con l’aggravio del fatto che il danno costituisse una rilevante entità.

Un reato, purtroppo, tra i più diffusi tra coloro che esercitano pubbliche funzioni, tanto da indurre di recente il legislatore ad introdurre pene più severe, con l’emanazione della legge n. 190 del 2012 prima, e della legge n. 69 del 2015 dopo, che hanno fatto passare, infatti, la pena minima da tre a quattro anni e la massima da dieci anni a dieci anni e sei mesi. Quindi si presume che il computo della pena per Mimmo Lucano non sia stato fatto tenendo come base di calcolo il minimo (quattro anni) moltiplicato per tre, ma che sia stata utilizzata una base di calcolo più alta, anche in ragione della natura degli aggravi degli altri reati ad esso ascritti.

Si ricorda che l’accusa aveva chiesto una condanna di 7 anni e 11 mesi, per i reati, tra gli altri, di falso in atto pubblico, abuso d’ufficio e associazione a delinquere e concussione, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Quest’ultimo reato, era il più grave secondo i PM. Per la concussione, infatti, la pena va da sei a dodici anni. Ma il Tribunale ha assolto l’imputato da questo reato, riconoscendo come reato più grave, quindi, quello di peculato.

Tra gli altri reati più gravi, per cui il Lucano è stato dichiarato colpevole sono: abuso d’ufficio, truffa aggravata e associazione a delinquere.

Per i giudici di primo grado, i fatti contestati e posti alla base della condanna scaturiscono da una complessa attività di indagine che ha visto l’ex sindaco di Riace adoperarsi nel combinare matrimoni con il solo fine di far ottenere la cittadinanza a soggetti extracomunitari e per aver messo a disposizione di questi ultimi delle case abbandonate e poi recuperate. Altra accusa era relativa all’affidamento diretto di appalti per la raccolta dei rifiuti alle cooperative Eco-Riace e L’Arcobaleno, per il periodo che va da ottobre 2012 fino all’aprile 2016, senza che fosse stata imbandita una gara d’appalto e senza che le due cooperative fossero iscritte negli albi previsti dalla legge.

Si tratta di una sentenza di primo grado e destinata da ora a raggiungere la Corte di Cassazione. Non sono da escludere colpi di scena per i successivi gradi di giudizio. La pronuncia sulla questione Lucano ha fatto chiaramente molto rumore da un punto di vista politico, nonché mediatico e l’interesse nazionale sulla questione è molto alto perché si sentono tirati in ballo gli ideali contrapposti tra chi si ritiene aperto alle politiche di accoglienza e chi invece preferisce chiudere i confini al prossimo.

In definitiva si può dire che la questione è assai delicata perché da un punto di vista prettamente tecnico-giuridico quello che viene preso in considerazione non è il fine morale dell’operato (suscettibile quindi di una valutazione ideologica) ma la commissione di fatti previsti dalla legge come reato.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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