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Editoriali

Pd, rimpasto di idee, proposte e giri di poltrone. Ecco la ricetta: un pizzico di Martina, un cucchiaio di Zingaretti, una misura di Delrio, un grammo di Calenda ed un pugno di Renzi

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Per alcuni, la politica è l’arte del compromesso, per altri è l’arte del possibile e per qualcun altro è l’arte del contratto. Per la sinistra, invece, è una ricetta per un eterno rimpasto di idee, proposte e giri di poltrone.

Alla festa del Left Wing echeggiava l’eco della famosa frase del ciclista Gino Bartali

“L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”. A pronunciare la frase, questa volta è stato Matteo Orfini, presidente del PD: “Stracciamo lo statuto del Pd, sciogliamolo e rifondiamolo. Non serve cambiare nome. Mettiamo insieme un pezzo di Paese che non condivide le politiche di questo governo. Dobbiamo costruire una risposta dopo la sconfitta che sia all’altezza della sfida”.

Non si può dire che in casa PD regni il sereno

Nicola Zingaretti, dopo l’uscita infelice di Orfini, in uno sfogo con il giornalista , si è sentito dire : “Pur di non far vincere me preferiscono far chiudere il Partito democratico”.

Tra cene andate a monte e i soliti digiuni stagionali di Giacchetti , a via del Nazzareno si allontana sempre di più il sereno.

Maurizio Martina, segretario reggente PD scommette tutto sulla manifestazione di fine mese e la conferenza programmatica di Milano. I maligni insinuano che, come sempre è accaduto, la conferenza programmatica partorirà la solita ricetta Fricandeau con un pizzico di Martina, un cucchiaio di Zingaretti, una misura di Delrio, un grammo di Calenda e un pugno di Renzi, affidando il tutto al solito Caminetto, lasciati cuocere a fuoco lento per poi servire ai loro quaquaraqua.

C’è solo da sperare che mentre tutto questo va avanti, avvenga ciò che è capitato il 3 maggio 2018, durante la direzione Pd. Mentre era in corso la riunione, sotto la sede in via del Nazzareno, un festoso corteo di neocatecumenali americani, a Roma per un raduno col Papa, si è fermato sotto la sede e con chitarre e bonghi hanno intonato l’Allelulia. Alleluja, musica Gospel per funerali di classe.

E’ triste constatare lo stato comatoso in cui versa il partito

Carlo Calenda ci prova ad animare il partito invitando a cena il trio Renzi- Minniti-Gentiloni.

Rumori dietro le quinte danno Delrio in campo per la segreteria del partito e c’è chi dice che la cena proposta da Calenda celi la carta nascosta di Renzi per il Congresso. Sarebbe un ennesimo tentativo per ricompattare la sua ex maggioranza.

Come al solito Renzi non riesce ad allungare lo sguardo oltre le sue sopracciglia. Al partito non manca solo la politica, mancano anche gli uomini. Renzi se la deve vedere con i mezzi uomini che tentano di demolire ogni iniziativa altrui, non prendendo mai direttamente responsabilità oggettive e criticano quelli che prendono le iniziative anziché incoraggiarli. Quello che poi è più risibile è che affacciandosi impetuosamente nei talk show pretendono dai nuovi arrivati cose e metodi che essi stessi non sono stati capaci di attuare durante i nove anni del loro governare.

Hanno trascorso nove anni in accese discussioni sull’eutanasia, altri diritti, convivenze, utero in affitto, matrimoni gay, teoria gender e non solo mentre nelle periferie un tsunami di degrado sommergeva le comunità ed un’ondata di emigrazione allo sbando, incontrollata e abbandonata a se stessa, irrompeva sulla già precaria stabilità di quei “ghetti periferici”, formati da disoccupati e famiglie senza reddito.

Il 5 marzo 2018 il paese , stremato da tanta incuria, ha girato pagina e si è affidato alla trascinante marea di una forza sovranista con una politica machiavellica a grandi doti psicologiche ed intellettive capaci di plasmare la massa, parlare ai cuori e cercare di capire le problematiche della povera gente. Un sentiero irto di mille insidie, perché al suo passaggio calpesta privilegi, raccomandazioni e diritti “acquisiti”.

La scelta era obbligatoria perché solo questi nuovi arrivati potevano essere politici e sovrani. La classe politica in disarmo ed allo sbando oggi cerca nuove ricette per ritornare a contare. Veramente cerca orizzonti molto lontani.

Si faccia avanti il Marco Antonio shakespeariano del momento, magari un Andrea Orlando, per farci sentire le frasi di rito: “ Ascoltatemi amici, romani, concittadini. Il male che l’uomo fa vive oltre di lui. Il bene sovente, rimane sepolto con le sue ossa e sia così (della sinistra ideologizzata)”.

Emanuel Galea

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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