Connect with us

Cultura e Spettacoli

PANPOESIA…QUANDO LA CULTURA SI LEGGE E SI MANGIA: INTERVISTA A GIULIANO BELLONI

Clicca e condividi l'articolo

Tempo di lettura 5 minuti I ricordi: "La prima volta che io vidi le Dolomiti mi misi a piangere. Erano come il nonno me le aveva descritte"

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 5 minuti
image_pdfimage_print

di Chiara Rai

Sapori, colori, bellezza e natura. Per questo e tanti altri motivi abbiamo voluto intervistare lo scrittore e giornalista Giuliano Belloni che ha saputo fondere la bellezza della cultura con la bontà di acqua e farina…

Com'è nata la passione per la scrittura?
Beh, ho 62 anni. Sono laureato in filosofia e svolgo attività di scrittore giornalista. Ma quello che mi definisce meglio potrei dire, agripoeta. La mia famiglia povera e contadina mi ha permesso di farmi studiare. Quasi che vedessero in me realizzati i loro progetti e utilizzassero le mie parole, i miei discorsi come un prolungamento dei loro. Ma chi mi ha dato l'impulso vero è stato mio nonno, Romeo. Mio nonno un ragazzo del 1899, chiamato alla guerra del 15-18, non salendo nulla di armi. Era contadino e cosi slacciò i suoi scarponi e allacciò gli anfibi per scalare dirupi e altezze dell'odio. La sua vita nelle Alpi fu racconto costante ogni volta che io tornavo dalla scuola. Vicino al camino mentre sbraciava la cenere, quasi a ravvivare la sua memoria. Non mi parlò mai della guerra, fu una sorta ante litteram della ..Vita è bella…di Benigni. Mi parlò dei profumi, degli odori, dei colori, della verdezza dell'erba, del candore della neve, dei silenzi, degli uccelli. La prima volta che io vidi le Dolomiti mi misi a piangere. Erano come il nonno me le aveva descritte.
Mi portava d'estate in campagna. E si partiva alla buon'ora, prima dell'alba. Allora con tenera precauzione mi calava, avendo un possente mulo, al lato dentro un grande canestro. Io mi ricoprivo di una coperta e avevl solo gli occhi scoperti per guardare le stelle. Sentivo il clok clok degli zoccoli del mulo. Pensavo che prima o poi le zampe posteriori avrebbero ostacolato quelle anteriori ma non avvenne mai. Anzi ogni mattino quel suono entrava dentro di me, facendone parte. Era il ritmo, la danza del ritmo poetico che timidamente cantava. Era la colonna sonora del mattino. Il primo ritmo poetico che intesi e che ora continua a far parte di me.
Da lui ho appreso che la terra è un luogo ma anche una regola di vita. Il sole, le stagioni, le fasi della luna, la semina, i raccolti, la paura, la speranza, la morte, la rinascita, la pioggia, la siccità, l'attesa, gli alberi, gli animali sono tutti ingredienti di questa Civiltà.
Ma questa civiltà sta scomparendo. È la prima volta che una civiltà scompare senza eserciti schierati e senza spargimento di sangue. Scompare…

Perché questi libri?
Ho voluto col mio primo ljbro di poesia "L'olio nell'insalata" edito da Ihiskos nel 2003 parlare dei mestieri di questa civiltà ormai scomparsi. Mi sono sentito subito un ex. Non avevo più una identità, una definizione e dunque era necessario un secondo libro "Pane e Pomodoro", edito da Ibiskos nel 2005, perché auspicasse un linguaggio tra la natura e l'uomo per cercare un punto di incontro e di intesa.
Che strani titoli per due libri di poesia! Nel primo libro ho immaginato una pagina di vita contadina, quando finita la mietitura del grano ci si riuniva nell'aia a circolo condividendo insalata poco olio e tanto pane.
Nel secondo invece, pane e pomodoro, è la frugalità della vita contadina che ci manda segnali semplici e ordinati per interpretare la natura.

Sei nostalgico?
No. Io vivo questo momento di trapasso e lo amo. Questo secolo in continua trasformazione attende la nostra mano, il nostro ingegno, la nostra opera per definirsi.


Di cosa ti occupi in questo momento?
Collaboro con un giornale on line…Informacibo…che ha funzione di Ansa nel campo agroalimentare. Il mio compito è di narrare storie. Ho individuato in questo mondo agroalimentare una funzione importante. Si gli chef, gli operatori e tutti gli addetti ai lavori, possono assolvere una funzione vicaria di trasferimento ei valori che prima erano di proprietà della civiltà contadina.

Parlaci di profumi, odori, colori, riti, tradizioni, usi…
Chi non ricorda, almeno i più anziani il profumo della domenica mattina? Il lrofumo della cipolla, dell'aglio, dell'olio che entrava nelle camera mentre si restava un pò di più nel letto. Lo ricordo bene. Ma a me quel profumo era caro perché mi anticipava le coccole e le tenerezze che durante la settimana non avevo. Mamma e papà andavano nei campi, perche contadini e poveri.
Dunque quel profumo è una narrazione di una storia. È una narrazione di una emozione. Cibo ed emozione sono intimi. Perche ci sono cibi che si mangiano e ci sono cibi che si guardano, come vere opere d'arte. Se guardo un tramonto, se sento un brano di musica mi emoziono. Come quando vedo i colori composti di un piatto.

Che bello, facci assaporare ancora questo mondo, il nostro mondo

La bellezza è una chiamata. E la chiamata sia essa negativa o positiva esige una risposta. La risposta è che sentiamo dentro di noi parole mute che si sprigionano e che formano una emozione.
Mi ricordo quando mio nonno potava le piante di ulivo scendeva e saliva dalla scala, rimirando la chioma. Dopo negli anni capii il perché. Voleva donare alla chioma il suo concetto di " armonia". Ma poi però un giorno mi venne un dubbio. E se la chioma invece fosse stata che diceva al nonno taglia quel ramo, taglia l'altro…

Che cos’è la cucina per te?
Ci sono 40 milioni di italiani che seguono i programmi agroalimentari. Al di là delle esagerazioni c’è un fondo da analizzare. La cucina è un modo di esprimere le mie emozioni e le mie sensazioni. Possiamo dire la buona cucina ci fa deglutire le emozioni. Il cibo è una descrizione di quello che ra amo, siamo e vorremmo essere.
Ci sono infinità di scuole di cucina. E ora cominciano a nascere in modo esponenziale anche le scuole di panificazione. Sono curioso e quindi ho seguito Ezio Marinato, il maestro Josep Pascual, Rocchi Giorgio, per dirne qualcuno. Decorano il pane come se fossero quadri. Da lì il,passo è breve.

Parlami del tuo libro “Panpoesia”
Insieme con il giornalista nonché editore Giovanni Serra, che spazia dalla carta stampata e web tra Miami, Milano e Roma, e che non disdegna la farina, abbiamo pensato di scrivere poesie sul pane. Quasi in una sorta di ricerca di autori da panificare e di panificatori da pubblicare. Abbiamo un blog che si chiama anch'esso…PANPOESIA…Questo blog ha un mese e mezzo. E in questo mese e mezzo ci sono stati 4500 visitatori

Ma perché sul pane?
Perche intanto è la prima volta che accade . Copertina e pagine di pane. Che si possono mangiare appena lette o alla fine. È la prima volta che il pane diventa una poesia e che la cultura si spezza come il pane. È la prima volta che possiamo dire che la cultura entra nel nostro dna, che circola, che preme e spinge. Possiamo dire che la parola si fa farina, acqua, e lievito di armonia.

 

Ecco un assaggio di poesia di Giuliano Belloni

 

Questo mattino
è cosi fragrante
si spezza come il pane
non voglio perderne
nemmeno una mollica

 

È un mattino
che odora di pera matura
stordisce
e mi sbrotola tra le mani…

 

Lievita il giorno
come il pane
questa mattina ho visto
una nidiata di colori jn fila
per lavarsi nella rugiada
del mattino

 

Continua a leggere
Commenta l'articolo

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Cronaca

Martina Franca, torna l’appuntamento con la fotografia d’arte di Marcello Nitti

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print

Ritornata anche questa estate in Valle d’Itria, ricca di iniziative culturali come il suo famoso Festival, l’attesa mostra fotografica di Marcello Nitti, che, continuando nella sua indagine espressiva, espone una serie di fotografie con titolo “Impressionism love”, ‘amore per l’impressionismo’. L’autore pugliese spiega come questa sua nuova fatica sia “il frutto di una ricerca intesa ad indagare le romantiche possibilità fotografiche di restituire immagini che possano aiutare il sogno. Le fotografie di “Impressionism love” sono il risultato di ricerca, sperimentazione e di affermazione dell’amore nel campo fotografico. Le fotografie sono realizzate in pellicola e senza aiuti digitali con Hasselblad 500 C/M e le foto sono realizzate con pellicole a colori e B/N Kodak”. Il tutto visibile durante questa estate a Martina Franca in Vico IV Agesilao MIlano 7.
 
All’inaugurazione, presente l’autore, ha svolto una rapida introduzione critica il curatore artistico Pio Meledandri ed anche quest’anno, insieme alle foto sono esposte alcune poesie di Barbara Gortan.
 
Per Meledandri “L’esposizione di Martina Franca, che l’Autore ha intitolato “Impressionism love”, è un viaggio interiore alla ricerca dell’Arte. Una dichiarazione d’amore nei confronti dell’impressionismo che gli fa prediligere i soggetti del mondo naturale e guardare all’”attimo luminoso” capace di modificare le fisionomie degli oggetti, creando forme e cromie nuove. La sensibilità e soprattutto la creatività lo portano ad un fantastico gioco di pareidolia così come da bambini riconoscevamo nelle nuvole forme simili a uomini e animali, a draghi, principesse e castelli. …Tutte le immagini assecondano il sentimento romantico dell’Autore la cui narrazione è fantasia, sogno, mistero, emozione e passione, tutti elementi con cui il Romanticismo si è contrapposto alla cultura Illuminista determinando una sua fisionomia nelle arti visive, nella musica, nella letteratura e nel pensiero filosofico”.
 
Nitti ha ringraziato quindi il pubblico che da anni segue questo suo originale percorso fotografico “per il sostegno che mi avete donato nelle mostre precedenti e vi ringrazio per l’entusiasmo che mi infondete a continuare a creare nuove immagini nel mondo magico e sognante che si chiama ‘Fotografia’”.
Privo di virus.www.avast.com

Continua a leggere

Cultura e Spettacoli

Tivoli, al via il festival della cultura giapponese

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print

Nei giorni 4,5 e 6 luglio si svolgerà a Tivoli la Prima Edizione del Festival della Cultura Giapponese, nell’ambito del rapporto di gemellaggio che lega Tivoli alla città giapponese di Yugawara.
Questo appuntamento si inserisce nel complesso dei rapporti istituzionali che collegano le due comunità e vuole rappresentare anche un ponte tra due culture millenarie che sembrano distanti e che invece hanno molti punti di contatto.
All’iniziativa hanno dato il proprio Patrocinio Gratuito i Comuni di Tivoli e di Guidonia Montecelio, L’Istituto Va-Ve, Villae Tivoli, la Fondazione Italia-Giappone, la DMO di Tivoli e Valle dell’Aniene Terre di Otium e la Presidenza del Consiglio Regionale del Lazio che ha erogato anche un contributo finanziario a sostegno dell’iniziativa.
Numerosi sono stati gli sponsor privati del territorio che hanno voluto supportare l’evento.
Il Comitato promotore del Festival è composto dall’Associazione Tivoli Città della Cultura, Tivoli ONLUS, LUIG (Libera Università Igino Giordani) e Agenzia del Viaggiatore-CTS.
Il programma allegato è ampio e denso di eventi ed è finalizzato a far conoscere alcuni aspetti della cultura giapponese con l’intento di rafforzare i rapporti anche dal punto di vista istituzionale e degli scambi commerciali.
Una delegazione della Città di Yugawara sarà ospite della nostra Città negli stessi giorni in cui si svolgerà il Festival e visiterà molti luoghi e strutture sia di Tivoli sia di Guidonia Montecelio.
Il Sindaco di Tivoli accoglierà la Delegazione il 4 luglio presso Palazzo San Bernardino per i saluti e lo scambio dei doni
istituzionali.
Particolarmente significativo ed evocativo sarà l’evento del 6 luglio, alle ore 17,00, presso le Scuderie Estensi.
In quell’occasione si celebrerà il primo Raid aereo Roma-Tokyo del 1920 e si commemorerà la figura dell’Ufficiale Pilota Arturo Ferrarin che compì la trasvolata. Per l’occasione, il giorno 5 luglio alle ore 9,30, il 60° Stormo dell’Aeronautica Militare di stanza presso l’Aeroporto di Guidonia Montecelio, sorvolerà la Città di Tivoli per omaggiare la memoria del
pilota italiano, la sua impresa, la Delegazione giapponese e la città di Tivoli.
A Yugawara è presente uno dei più grandi biscottifici del Giappone intitolato alla città di Tivoli, così come un grande Centro Commerciale, inaugurato nel 2017, dove insiste un’ampia zona in cui è possibile trovare prodotti alimentari italiani, in particolare di Tivoli e della Valle dell’Aniene.

Continua a leggere

Castelli Romani

Frascati, Libri in Osteria: Angelo Polimeno Bottai presenta il libro “Mussolini io ti fermo”

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 6 minuti
image_pdfimage_print

“O lo battezzate o ve lo riprendete. Io una bestia non l’allatto!”
Sono queste le parole che la balia frascatana Teresa rivolge ai genitori del piccolo Giuseppe Bottai contenute nel libro “Mussolini io ti fermo” che il nipote, Angelo Polimeno Bottai, presenta oggi nel salotto letterario di Emanuela Bruni, Libri in Osteria.
Sono l’incipit a questa serata che racconta, attraverso le pagine del libro, la storia e la vita di una delle figure che hanno rappresentato il ventennio fascista.

Emanuela Bruni ed Angelo Polimeno Bottai

C’è un profondo legame tra Frascati e l’autore del libro in quanto la città tuscolana, dice, “è parte stessa della nostra vita, infatti mio nonno venne battezzato nella Cattedrale di San Pietro ed io, molti anni dopo, ricevetti nella stessa Chiesa la Prima Comunione”.
Figura molto controversa, Giuseppe Bottai, viene “raccontato” attraverso una attenta analisi storica proprio per evitare, come dice lo stesso Angelo Polimeno Bottai, che “gli affetti prendessero il sopravvento sulla verità storica … è stata davvero una grossa responsabilità”.
Il quadro che emerge dalle pagine del libro narra un giovane Bottai lontano, nei primi anni della giovinezza, dalla politica ma che poi, vivendo, con la sua famiglia, nello storico quartiere romano Macao, resta colpito dalla presenza e dalla prestanza dei militari.
Siamo a ridosso della Grande Guerra alla quale Giuseppe Bottai prende parte come volontario negli Arditi riuscendo a mettersi in luce per il suo ardimento che lo porterà a ricevere una medaglia d’argento ed una di bronzo al valor militare.
Alla fine della guerra conosce e frequenta Benito Mussolini “rimandone folgorato” – dice l’autore – legandosi a quello che diverrà il “duce” attraverso un “rapporto travagliato con quest’uomo non altissimo di statura ma imponente nel carattere e nel modo di essere”
Un legame che può essere racchiuso nel titolo della rivista che Giuseppe Bottai fonda nel 1922, Critica Fascista, (da ricordare che tra gli abbonati di tale rivista figura Antonio Gramsci) proprio a sancire un atteggiamento molte volte contrario dello stesso Bottai ad alcune scelte che condurranno quella che originariamente vuole essere una rivoluzione che vuole riportare ordine e legalità in un paese, l’Italia, attraversato da molteplici attività anarchico socialiste che portano a terre occupate e centinaia di scioperi, ad una vera e propria dittatura.
“Ci sono due anime nel fascismo: quella che incarna mio nonno, i revisionisti, e quella che fa capo a Roberto Farinacci, gli irriducibili” spiega con estrema chiarezza Angelo Polimeno Bottai precisando che l’intento della “fazione” a cui fa capo il nonno cerca di convincere il Duce a mettere le mani nelle riforme necessarie allo sviluppo del paese per farlo risorgere da quella vittoria dimezzata che è stata la fine del Primo Conflitto Mondiale.
Ed una profonda frattura, spiega ancora, avviene immediatamente dopo la notizia del rapimento del deputato socialista, Giacomo Matteotti, definito da Giuseppe Bottai il “più efferato, inumano e stupido delitto che si potesse commettere verso un uomo di parte avversa e contro l’idea che anima la nostra parte”; una vera e propria condanna che culmina nella frase “bisogna trovare i responsabile anche se fossero nelle alte sfere”.
Questo, ovviamente, come riportano le pagine del libro, pone lo stesso Giuseppe Bottai ai margini del regime che sta nascendo che non è “inviso alle grandi potenze”, spiega Angelo Polimeno Bottai, ma che non pensa minimamente ad una alleanza con la Germania che sta divenendo hitleriana.
Addirittura, spiega, “ci sono liti profonde tra la stampa italiana e quella tedesca” fino al punto che alla cacciata degli ebrei dalla Germania molti di questi addirittura arrivano nel nostro Paese ed è la guerra d’Etiopia, nella quale Giuseppe Bottai si arruola, diventa il “punto di non ritorno” che segna in modo inesorabile l’alleanza italo/tedesca.
Le sanzioni permettono ad Hitler di legare con un patto economico e sodale l’Italia di Mussolini determinando il fatto che, spiega l’autore, “l’innamoramento di Giuseppe Bottai verso il duce si incrina ma rimane una lealtà critica che non determina affatto la rottura del rapporto”.
Ed è in questo momento che la frattura con l’area degli irriducibili di Farinacci raggiunge punti davvero enormi arrivando all’approvazione delle Leggi Razziali.
Lo stesso Roberto Farinacci fa girare la voce che Bottai sia d’origine ebraica per estrometterlo ed il risalto che questa notizia ha a livello internazionale diventa sempre più grande (addirittura si trova in molti giornali francesi e tedeschi).
La scelta di Giuseppe Bottai, divenuto Ministro dell’Educazione, di applicarla in maniera dura diventa, al tempo stesso, “un’angoscia” ed una “responsabilità” necessaria.
La prova di questo suo momento difficile si ritrova nella corrispondenza riportata tra le pagine del libro ove un carteggio con l’allora vicepresidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche d’Italia, l’avvocato Aldo R. Ascoli mostra l’apertura di Bottai verso gli ebrei italiani valuta la possibilità concreta di “concedere particolari benemerenze a famiglie di ebrei in cui qualcuno abbia acquisito meriti particolari, militari o civili”.
“Due parti in commedia” spiega Angelo Polimeno Bottai dimostrando, ancora una volta, il forte attaccamento di Giuseppe Bottai all’origine rivoluzionaria del fascismo di cui resta innamorato.
Le contrapposizioni con Farinacci aumentano esponenzialmente: Bottai redige, durante il mandato che lo vedo governatore della Capitale, i piani per la creazione di EUR 42, l’Esposizione Universale di Roma che si sarebbe tenuta nel 1942 (a ragione si crede che nessuno nei primi anni del ’30 pensasse ad una Guerra Mondiale), ed in antitesi al premio Cremona, Bottai da vita dapprima al premio Bergamo e successivamente manda in stampa la rivista Primato che diviene uno dei capisaldi della cultura italiana del momento.
Sulle pagine del “Primato. Lettere e arti d’Italia” scrivono le firme italiane più eccellenti, da Nicola Abbagnano a Galvano della Volpe, da Walter Binni a Mario Praz, da Dino Buzzati a Vasco Pratolini, passando per Quasimodo, Montale, Ungaretti, Guttuso ed un giovanissimo Eugenio Scalfari ebbe a dire “su il Primato potevo scrivere liberamente mettendo alle corde Farinacci”.
Un’oasi culturale che dimostra la libertà di pensiero di Giuseppe Bottai ed il suo vano tentativo di riportare il fascismo a quegli albori che erano rimasti nel suo animo rivoluzionario.
Oasi che, attraverso poi l’emanazione di quella che divenne la legislazione per la difesa delle opere d’arte italiane fino alla creazione dell’Istituto Centrale del Restauro, porta alla salvezza di un enorme patrimonio artistico del nostro paese grazie anche alla collaborazione di personalità del calibro di Giulio Caio Argan, in chiave e funzione antinazista concretizzandosi anche sul piano prettamente pratico.

Il libro si conclude con i tragici momenti che portarono al famoso 25 luglio 1943 dove una “dittatura” decreta una successione, una piena antitesi al concetto stesso di dittatura.
Giuseppe Bottai è uno di quelli che votarono a favore dell’Ordine del giorno Grandi e per questo, condannato in contumacia, dai tribunali della Repubblica Sociale, dapprima si rifugia in Vaticano fino a giungere poi sotto il falso nome di Andrea Battaglia a combattere vestendo la divisa della Legione Straniera per la liberazione della Provenza dalle truppe naziste.

Due momenti importanti da sottolineare orchestrati da due ex sindaci della città di Frascati: Roberto Eroli e Stefano Di Tommaso.
Quest’ultimo, attento ricercatore, legge una lettera scritta dal Ministro della Cultura Popolare, Alessandro Paolini, ed indirizzato al ministro dell’Educazione Giuseppe Bottai.

Stefano Di Tommaso con in mano la lettera indirizzata da Alessandro Paolini a Giuseppe Bottai

Roberto Eroli invece esorta Angelo Polimeno Bottai a ricercare, tra i diari del nonno Giuseppe, informazioni che possano fare ulteriore luce sul tragico bombardamento effettuato dagli alleati l’8 settembre 1943 della città di Frascati.

nella foto, da sx, Angelo Polimeno Bottai, Roberto Eroli ed Emanuela Bruni

Una serata che ha riportato i tantissimi presenti nei giorni ancora vivi di quel Ventennio Fascista.

Colpisce, e non poco, la frase dell’ultima di copertina del libro nella quale, Angelo Polimeno Bottai, scrive “Nato pochi mesi dopo la sua morte, Giuseppe Bottai purtroppo non l’ho mai incontrato. Un doppio dispetto del destino: come nipote e come giornalista. In questa seconda veste, tuttavia, posso raccontare chi è stato l’uomo che più di tutti ha rappresentato ragione e coscienza del 25 luglio 1943”.

il direttore de “Il Tuscolo” ed amico Fabio Polli con Angelo Polimeno Bottai

Continua a leggere

SEGUI SU Facebook

I più letti