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Editoriali

OMS: più dannosa che inutile?

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Su di un ‘giornalone’ di oggi, sopra la foto di Xi Jin Ping, appare in prima pagina un richiamo all’articolo pubblicato più avanti, che recita: “Cara OMS, meglio che sparisci, sei più dannosa che inutile”. Abbiamo già scritto quattro settimane fa, invocando a gran voce la distribuzione di mascherine a tutta la popolazione. Quattro settimane fa era già troppo tardi. Lo stato di emergenza infatti – vox clamantis in deserto – era stato proclamato il primo di febbraio, non su Topolino, ma sulla Gazzetta Ufficiale. E, cosa al di là di ogni calcolo di gravità e di inettitudine, era stato bellamente ignorato dagli organi competenti – meglio definirli ‘incompetenti’ – sperando che tutto passasse come una semplice influenza, solo un po’ più fastidiosa. Tutto per non allarmare la popolazione, che sarebbe stata presa dal panico, con le conseguenze del caso: corsa ai supermercati, incetta di beni mangerecci, sparizione di prodotti essenziali dai negozi. Insomma, tutto ciò che poi si è puntualmente verificato. Ma non bisognava ‘creare il panico’. Noi giornalisti, infatti, eravamo stati diffidati dal comunicare dati a proposito della incipiente pandemia, pena una denunzia per ‘procurato allarme’.

A tutto ciò ha fatto da corollario, anche in fase avanzata di contagi, la direttiva dell’OMS, che intimava di fare il famigerato tampone soltanto ai sintomatici: il che, come ha riconosciuto in una intervista uno dei tanti medici in prima linea, è risultato essere un grosso errore. La Corea del Sud si è salvata proprio facendo tamponi a tappeto, senza bisogno di chiudere tutte le attività, così da non dover affrontare, una volta finito il flagello, anche la ripresa di una economia distrutta. Come invece succederà da noi. Almeno, in una cosa abbiamo il primato, quello delle morti e dei contagi. Siamo arrivati primi, e l’America ci sta rincorrendo. Avevamo visto giusto: la distribuzione di mascherine a tutta la popolazione, e i conseguenti tamponi, ci avrebbero fatto ridurre di molto il numero dei decessi.

Una parola sulle mascherine. A tutti sarebbero bastate quelle chirurgiche, allo scopo di non spargere nell’aria le goccioline – che qualche buontempone ha preferito, chissà perché, definire ‘droplet’, adoperando un termine inglese, forse più eufonico; ma anche ‘goccioline’ è bello, simpatico. Evoca le canzoni degli anni ’50, ‘Come pioveva’, ad esempio, perché no? – le goccioline, dicevamo, derivanti dal nostro respiro e non solo dai nostri starnuti e colpi di tosse, per i quali ci è stato raccomandato, con grande senso del grottesco, di farli ‘nel gomito’, non avendo a portata di mano un fazzolettino di carta monouso da smaltire immediatamente. Nessuno però ci ha detto cosa fare dell’indumento contaminato, una volta adoperato per questa poco igienica operazione: tagliare la manica? Smaltirlo come rifiuto tossico o sanitario? Bruciarlo nel locale crematorio? La cosa più ridicola è che questa pseudoraccomandazione è stata diffusa anche per televisione, con la complicità di anchor men e women. Insomma, di mascherine la OMS non ne voleva sentir parlare.

Ma se tutti avessimo avuto la mascherina, sottolineo, chirurgica, quella che blocca le gocce in uscita e che comunque non è adatta per gli operatori sanitari, medici, infermieri e 118, nessuno di noi avrebbe rischiato di infettare nessuno. Quanto poi alla ‘distanza sociale’ di un metro, è stato dimostrato che le goccioline, e i relativi virus, arrivano ben più in là, restando nell’aria per un tempo indefinito, secondo l’ambiente. All’OMS, quindi, possiamo ben attribuire la colpa di non aver voluto adottare le mascherine immediatamente, giustificando la scelta, come per i tamponi, perché ci si trovava di fronte ad un ‘caso di Sanità Pubblica’. E forse l’OMS, nei suoi rappresentanti, temeva di far spendere troppo per la salute dei cittadini! Infatti, la sua direttiva successiva è stata quella di smettere di fare i tamponi a tappeto, e di farli solo ai sintomatici. Molto intelligente. I morti quotidiani testimoniano della lungimiranza di questa scelta, mentre, ripeto, la Corea del Sud non ha modificato il suo stile di vita, infischiandosene della ‘privacy’ dei cittadini, e badando al sodo, con gente per le strade, niente o quasi contagi, ed economia senza conseguenze. Tutto il nostro contrario. Il nostro ‘generoso’ governo offre alle partite IVA un contributo di 600 euro, con tanta burocrazia; che, se arriveranno, sarà forse ‘entro’ il mese di aprile: ma forse no, e forse non arriveranno proprio, data la proverbiale ‘manina corta’ del nostro Ministero delle Finanze – quando devono erogare.

Il governo britannico, finalmente fuori dalla tagliola europea, ha già stanziato 10.000 (diecimila) sterline per ogni negozio costretto alla temporanea chiusura, più la garanzia presso le banche fino all’80% di un prestito fiduciario. Ma no, noi abbiamo ancora un capo della Protezione Civile che dichiara che ‘non userà la mascherina’, a fronte dell’obbligatorietà dichiarata da Fontana, e questo presumibilmente per una diversa collocazione politica. Bell’esempio! Oggi intanto anche parte del PD è rinsavito, nella persona del governatore Rossi, che ha prescritto, anche lui, l’obbligatorietà della mascherina. Insomma, in questa Italia pasticciona, dove un governo incapace ancor più pasticcione non sa letteralmente che pesci prendere, ed in una Europa nella quale Macron blocca 4 milioni di mascherine dirette in Italia – viva l’Europa! – la burocrazia, il falso buonismo e l’indisciplina la fanno ancora da padroni. Mentre i medici, di famiglia o no, costretti ad affrontare questo male a mani nude, senza le protezioni individuali (leggi mascherine) contano nelle loro file, salvo aggiornamenti, 77 morti; gli infermieri e i volontari del 118 hanno avuto anche loro le loro vittime, mentre i poliziotti hanno UNA mascherina per poliziotto di pattuglia, da lasciare in caserma dopo il turno. I migranti, invece, arrivano già dotati. Bah! Che strano mondo! Un mondo che provvede di mascherine i migranti su di un barcone, e che non ne lascia sprovvisti neanche i nostri cari politici!

Oggi, 6 aprile, alcuni quotidiani hanno titoli che dichiarano che i numeri stanno diminuendo (quelli dei morti, come se 552 in 24 ore siano rose e fiori) e che siamo in fase discendente, avendo raggiunto il picco: di che? Come se domani mattina si potessero riaprire tutti i negozi ed esercizi che sono riusciti a sopravvivere alla loro incapacità, faciloneria, timore del disordine, peracottaggine, presunzione, partitofilia, protagonismo a torto. Eccetera eccetera. Mentre alcuni quotidiani riportano la notizia che il professor Conte – ‘Giuseppi’, detto all’americana – in questo bailamme tragico avrebbe trovato il tempo e il modo di radunare i suoi ‘fedelissimi’, e, in modalità renziana, preparato, approfittando del caos, un suo personale partito. Alla faccia del Cincinnato che voleva apparire! Come diceva un mio conoscente ‘Chi più ce ne ha, più ce ne metta’.

Tutto ciò sotto l’ombra lunga e nera della Merkel che, negandoci la possibilità di emettere i Coronabond – anzi, con la Kommerzbank, Banca Commerciale legata al governo tedesco, che consiglia di vendere i nostri titoli prima che siano classificati ‘spazzatura’ –  ci vuole appioppare i fondi del MES, strangolandoci definitivamente con un debito a vita come la Grecia, per cui saremmo costretti a venderci i gioielli di famiglia che ancora non sono stati preda della rapacità straniera. Un governo italiano degno di questo nome? Direi di no, piuttosto, fino ad ora, complice dell’Unione Europea, da Andreatta e Ciampi in poi, passando per Prodi, Letta, Monti e via così; con un Ministro della Salute che ha una laurea (deo gratias) in Scienze Politiche e un Viceministro, invece, che è un medico di chiara fama, che gli fa evidentemente da balia. I Greci si sono venduti il Pireo e l’aeroporto, fra l’altro. Ci venderemo la fontana di Trevi, come faceva Totò in un suo film anni fa?

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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