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BRESCIA – E’ valida la prova del Dna perché “non sono stati violati i principi del contraddittorio e delle ragioni difensive” riguardo la prova regina che ha portato all’ergastolo Massimo Bossetti per il delitto di Yara Gambirasio. “Si deve ribadire quindi ancora una volta e con chiarezza che un’eventuale perizia, chiesta a gran voce dalla difesa e dall’imputato, consentirebbe un mero controllo tecnico sul materiale documentale e sull’operato del Ris”, scrivono i giudici della Corte d’assise d’appello di Brescia confermando il carcere a vita per il muratore di Mapello. I giudici aggiungono che “non vi sono più campioni di materiale genetico in misura idonea a consentire nuove amplificazioni e tipizzazioni” del Dna trovato sul corpo della tredicenne. Ed è per questo che una perizia sarebbe stata un controllo del lavoro dei consulenti dell’accusa e della parte civile.
La Corte d’Assise e d’Appello di Brescia spiega che in ogni caso non sarebbe possibile effettuare un’ulteriore analisi per comparare le tracce trovate su slip e leggings della ragazzina e il Dna di Bossetti perché il campione, utilizzato per fare diversi test, è terminato.
«Quello che è certo, in ogni caso, è che non vi sono più campioni di materiale genetico in misura idonea a consentire nuove amplificazioni e tipizzazione (due tecnici di analisi, ndr) – si legge in un passaggio delle motivazioni -; si deve quindi ribadire ancora una volta e con chiarezza che una eventuale perizia, invocata a gran voce dalla difesa e dallo stesso imputato, non consentirebbe nuove amplificazioni e tipizzazioni, ma sarebbe un mero controllo tecnico sul materiale documentale e sull’operato dei Ris (e, quindi la famosa perizia generica sarebbe necessariamente limitata a una mera verifica documentale circa la correttezza del l’operato del Ris e dei consulenti dell’accusa, pubblica e privata)».
Per i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Brescia poi, il «clamore mediatico» attorno al processo per l’omicidio di Yara Gambirasio «non ha influenzato in alcun modo la regolarità e la serenità» del giudizio. «La difesa si è lamentata del processo e del clamore mediatico – spiegano – che aveva coinvolto la vicenda di Yara; è indubbio, infatti, che il processo per l’omicidio di Yara, oltre a svolgersi nelle aule di giustizia, con le garanzie a cui si è fatto riferimento, si è svolto parallelamente sui media alimentandosi di notizie vere e false, senza peraltro in alcun modo influenzare la regolarità e serenità del processo giudiziario».
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