Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
Per l’omicidio di Lidia Macchi, la ventenne uccisa con 29 coltellate la notte del 5 gennaio 1987 in provincia di Varese, il procuratore generale Gemma Gualdi ha chiesto l’ergastolo per Stefano Binda, l’uomo arrestato nel 2016 con l’accusa di essere l’autore dell’omicidio.
Mercoledì, nella requisitoria fiume durata quasi 9 ore, l’accusa ha ripercorso tutte le tappe che hanno portato alle prime indagini sull’imputato, e ha riferito anche gli incidenti di percorso legati alla distruzione di importanti referti, come i vetrini contenenti liquido seminale trovato durante l’autopsia sul corpo della ragazza. Quella sera la studentessa di Cl, che abitava a Varese, era andata all’ospedale di Cittiglio per trovare un’amica ricoverata all’ospedale: non tornò mai più a casa. Il suo corpo venne ritrovato due giorni dopo, coperto da alcuni cartoni, in un bosco vicino all’ospedale, luogo frequentato da eroinomani.
Stefano Binda in aula, smagrito e con lunga barba
Il processo ebbe una clamorosa svolta quando anni fa una donna, amica dell’imputato, riconobbe alcune somiglianze tra la grafia di Stefano Binda e quella di una lettera anonima che venne recapitata alla famiglia il giorno del funerale di Lidia, il 10 gennaio di 31 anni fa, e fu pubblicata sui giornali. Da qui perizie grafologiche e merceologiche sui fogli trovati a casa dell’arrestato, e confronti coi testimoni di una vacanza di Cl avvenuta proprio nei giorni dell’omicidio, vacanza su cui si basa l’alibi di Binda.
Omicidio di Lidia Macchi, la svolta dopo 29 anni
L’accusa ha invocato le aggravanti della crudeltà, per la violenza dei colpi inferti, e dei futili motivi: l’imputato, tossicodipendente al momento dei fatti, avrebbe avuto una relazione con la vittima sfociata in un impeto successivo al rapporto sessuale, finito con le coltellate e la morte, avvenuta in una quindicina di minuti. Ora il turno passerà alla parte civile e poi alla difesa. La sentenza è prevista per il prossimo 24 aprile.
Correlati