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Editoriali

Omicidio Giancarlo Siani, dopo 32 anni esistono ancora due categorie di giornalisti: i giornalisti giornalisti e i giornalisti impiegati

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Era il 1979 quando Giancarlo Siani, un giovane napoletano, inizò a credere che il giornalismo potesse essere la sua strada, la sua professione. Osservando la sua città con un occhio analitico Giancarlo scriveva e descriveva la realtà di una città difficile come Napoli alle prese con una crescente criminalità sempre più spietata. Ebbe modo di lavorare come praticante al quotidiano “Il Mattino” e i suoi articoli rivelarono presto il suo talento. Il giornalismo è un mestiere di testimonianza concreta, di descrizione di ciò che accade intorno in ogni dove e avere la fortuna di poterlo esercitare regala una gioia immensa perchè nella vita la comunicazione con il prossimo è una condizione indispensabile che ci lega al presente e ci rende parte integrante di quel breve lasso di tempo di vita concessoci. Un mestiere che a forza d’esser esercitato infonde passione; giorno dopo giorno, articolo dopo articolo; riesce anche a cambiare e sviluppare e migliorare il modo di scrivere e riesce ad impreziosirne l’ampiezza dello spessore con cui si descrive un fatto sempre più pieno di dettagli, il tutto teso ad acquisire una visione d’insieme che non ometta o che tralasci nessum minimo dettaglio cosicchè ciò che si otterrà sarà la piena e completa descrizione della notizia.
Il giornalista che si approccia a questo mestiere parte sempre con una precisa e rigorosa percezione consapevole dell’importanza e della delicatezza dell’argomento o del fatto che andrà a sviluppare. La cronaca nera in primis è da sempre stata terreno pericoloso che comporta l’impiego di una dose non indifferente di attenzione e di riflessione basata sul “come” viene descritto un fatto e come farcirlo di nomi, dettagli e tutto quello che si è scoperto e si è appreso da indagini o testimonianze acquisite”. Per questo Siani stesso aveva le idee chiare: “Essere Giornalista significa farsi amica la paura e continuare sulla propria strada perché raccontando si diventa scomodi a qualcuno. Le parole, mi è sempre stato detto, feriscono più di mille lame, pungolano le coscienze, sono inviti alla riflessione e alla lotta, teoria che diviene prassi quotidiana di esercizio della libertà. Ma le parole possono, anche, se usate in maniera “criminale”, passare dei messaggi sbagliati, costruire luoghi comuni difficili da abbattere, discriminare, incitare all’odio, creare dei “diversi” da sbattere in prima pagina come il male assoluto, rendendo le nostre società sempre meno inclusive, transennate dal fili spinato dell’ignoranza e del razzismo”.  Il suo occhio attento e la sua capacità di saper leggere il presente lo stimolavano ad analizzare il suo ruolo provvisorio di “giornalista abusivo” anche con toni decisi:
“Da sempre sono esistite e continuano a esistere due categorie di giornalisti: i Giornalisti Giornalisti e i giornalisti impiegati. La prima è una categoria così ristretta, così povera, così “abusiva”, senza prospettiva di carriera, che non fa notizia, soprattutto oggi. La seconda, asservita al potere dominante, è il giornalismo carrieristico, quello dello scoop e del gossip, quello dell’esaltazione del mostro e della sua redenzione. Tante volte avere il tesserino, che sia da pubblicista o da professionista, non fa di una persona un giornalista, nel senso che sovente ci si imbatte in pennivendoli sgrammaticati amanti del denaro e della notorietà facile. Essere Giornalista è qualcosa di altro. E’ sentire l’ingiustizia del mondo sulla propria pelle, è schierarsi dalla parte della verità, è denuncia, è ricerca, è curiosità, è approfondimento, è sentirsi troppe volte ahimè spalle al muro, emarginato”. L’artista Vasco Rossi il 23 Settembre del 1985 tenne un concerto a Napoli allo stadio e quella sera fra i suoi ammiratori ci doveva essere anche Giancarlo Siani ma pochi giorni prima a Napoli, per la precisione nella frazione Torre Annunziata, si era compiuto un massacro di numerosi camorristi e certi equilibri erano saltati; Siani ipotizzò e scrisse che il conseguente arresto di un boss rappresentò una sorta di prezzo da pagare per una pace fra clan e questa ipotesi suscitò ire e offese che portarono i capi delle cosche a commissionare l’omicidio del giovane giornalista proprio la sera del concerto. Siani, uscito dalla sede del giornale raggiunse la sua casa con la sua famosa quanto bizzarra vettura Meari e non ebbe neanche il tempo di uscire dalla vettura che fu freddato da numerosi colpi d’arma da fuoco. L’indomani Napoli si risvegliò con la consapevolezza che la criminalità organizzata era stata capace di colpire anche un giovene poco più che ventenne per il lavoro che avrebbe voluto fare e per la passione per la scrittura e per la cronaca del proprio territorio.
Paolino Canzoneri

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