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Cronaca

OMICIDIO DEL PROCURATORE CAPO DI TORINO BRUNO CACCIA: ARRESTATO L'ASSASSINO

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Tempo di lettura 2 minutiDopo 32 anni la svolta. Il presunto killer è un 64enne, originario della Calabria, che faceva il panettiere in periferia

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di Angelo Barraco
 
Torino – La Polizia ha arrestato uno dei presunti assassini di Bruno Caccia, procuratore capo di Torino ucciso il 26 giugno 1983. L’uomo arrestato è un torinese di 64 anni, originario della Calabria, che faceva il panettiere in periferia. La procura di Milano ha coordinato l’inchiesta. Ma chi era Bruno Caccia? Era un Magistrato italiano che nel 1941 iniziò il suo servizio presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino prima come uditore, successivamente come sostituto procuratore. Rimase a Torino fino al 1964, in seguito passò ad Aosta come Procuratore della Repubblica. Ma nel 1967 ci fu il suo ritorno a Torino, come sostituto alla Procura Generale e nel 1980 andò a guidare la Procura della Repubblica. Bruno Caccia, in seguito alla nomina di Procuratore della Repubblica, iniziò ad occuparsi di violenza, pestaggi che si verificavano nel corso degli scontri, inoltro avviò indagini sulle Brigate Rosse e sulla ‘ndrangheta in Piemonte. 
 
L’omicidio. Il 26 giugno del 1983 Bruno Caccia decise di andare fuori sede, rientrando a Torino la sera. Inoltre decise anche di lasciare la scorta a riposo, essendo domenica. Tale circostanza facilitò l’azione dei sicari. Erano le 23.30 e Bruno Caccia stava portando il proprio cane a spasso, da solo, quando ad un certo punto viene affiancato da una macchina con a bordo due uomini. Costoro non scendono dall’auto e sparano contro il magistrato ben 14 colpi. 
 
Indagini. Una prima fase investigativa punta l’attenzione sulle Brigate Rosse. Tale collegamento risulta logico poiché erano gli anni di piombo e Caccia aveva avviato inchieste sulle BR. In merito alle Brigate Rosse arriva anche una rivendicazione dell’omicidio, ma tale rivendicazione presto si rivelerà falsa. Inoltre in quel periodo venivano monitorati i Brigatisti in carcere e nessuno di essi parlò dell’omicidio e/o della sua pianificazione. Allora l’attenzione si spostò sui NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari), ma questa pista, come quella delle BR, portò al nulla di fatto. La svolta arrivò dal carcere, precisamente da un boss mafioso della cosca catanese, tale Francesco Miano. L’uomo decise di collaborare e raccolse le confidenze di Domenico Belfiore, uno dei capi della ‘ndrangheta a Torino anch’egli in carcere. Belfiore ammise che la ‘ndrangheta aveva ucciso il magistrato. Nel 1993 Belfiore venne condannato all’ergastolo con l’accusa di essere stato il mandante dell’omicidio del magistrato. Dal giugno scorso si trova agli arresto domiciliari per motivi di salute. 

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