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Editoriali

Oltre mare nostrum: la porta del paradiso

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Tempo di lettura 4 minutiIn Italia l’immigrazione tiene il banco da ormai diversi mesi e ognuno dice la sua…

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di Emanuel Galea


“Cosa cerchi?”, domandava Casanova. “Cerco un attimo che valga una vita”. Profonda riflessione! Ognuno di noi ha la vita che gli ha riservato il destino e rincorre il paradiso che sogna. La porta per il Paradiso in provincia di Hunan, in Cina, affascina molti, sfidando la estenuante prova dei 99 tornanti per poi affrontare a pieni polmoni la salita di 999 scalini. Consapevoli dell’immane fatica, l’affrontano ugualmente perché sanno di essere ripagati, una volta arrivati in cima, dallo spettacolo della natura che gli offre il monte Tianmen.

Tutt’altra Porta del Paradiso attende il turista in visita allo splendido Duomo di Santa Maria a Firenze.
Al fianco di questo vi si trova il Battistero di San Giovanni. E’ un insieme d’opere d’arte e le tre porte sono dei veri capolavori, soprattutto una,  conosciuta come  “la porta del paradiso”. La porta apre su  una vasta  dimensione del tempo, oltrepassa lo  spazio  e si perde nei grandi  volumi. Il turista acculturato è soddisfatto e torna a casa graziato.
 
Un’altra porta ed un altro paradiso rincorre un certo turismo di massa, secondo un’indagine presentata al Premio Italia a Tavola  svoltosi a Firenze. Dice l’indagine che  il 75% dei turisti stranieri che scelgono l’Italia come destinazione turistica, secondo una ricerca sugli arrivi da 11 Paesi, tra i quali Usa, Cina, Messico e India, vedono nella penisola oltre il Mare Nostrum, la porta per un altro paradiso e cioè il parco divertimenti Gardaland, con tre milioni di turisti l’anno e la cucina italiana, che sia in trattoria o da uno chef stellato o alla visita di una cantina. Gli Uffizi di Firenze, i Musei vaticani e il Colosseo vengono dopo. La vita è troppo breve per sprecarla a realizzare i sogni degli altri, scriveva Oscar Wilde e la gioventù africana questo lo ha ben capito e sembra decidere di realizzare i sogni propri.  Anche nei loro sogni c’è  la porta del paradiso oltre Mare Nostrum. Passata quella porta “troveranno ad accoglierli  il nuovo klondike, ricco di pagliuzze d’oro ,  lavoro facile ben retribuito, benessere, facili opportunità e, perché no, tanto svago, divertimento e tanti di quegli  “altri diritti”. Sono bene informati  seguendo certe  reti televisive italiane  ed incoraggiati da “agenzie” che lucrano sul loro migrare.
 
In Italia l’immigrazione tiene il banco da ormai diversi mesi e ognuno dice la sua. Il buonismo ad oltranza non manca e voci come quella di Saviano oppure di Manconi pretendono di imporsi su ogni ragionevole argomentazione. Per fortuna c’è  sempre una voce equilibrata come quella del Foglietto che scrive: “Mettete da parte la fuffa e concentratevi sulla ciccia”. Mi sento di condividere in pieno quanto ha scritto Claudio Cerasa il 5/7/2017.
 
Chi sono questi giovani che attraversano il mediterraneo per venire in Italia? Da dove vengono? Cosa cercano? Cosa lasciano dietro di loro? Ha ragione il Foglietto, se non si conosce la ciccia,  si rischia di raccontare fuffa.Il continente africano è formato da 54 nazioni. Una trentina di queste hanno livelli di vita , più o meno, paragonabili a quelli occidentali. L’agricoltura è una dei settori economici  dell’Africa e impiega il 60% degli africani. Purtroppo le istituzioni finanziarie controllate dall'ONU non sono state impiegate per lo sviluppo e per questo non hanno dato i risultati sperati. Ci sono tante fattorie di piccola e media dimensione ma ci sono anche fattorie di larga dimensione molto spesso molto vaste, produttrici di  caffè, cotone, cacao, tè e gomma. Ultimamente si è visto un aumento nella produzione dei fiori.


Prima domanda: perché il giovane africano preferisce venire a raccogliere i pomodori in Italia e non contribuire a casa propria ad aumentare le produzioni locali? La produzione africana di minerali e petroli rappresenta la coefficiente più alta di ritorno finanziario per il paese. Il Continente africano è ricco di giacimenti
d’oro, rame, in grande quantità. Poi si trovano depositi di ferro,bauxite, carbone, titanio e ancora oro e rame, tutti ancora da sfruttare.
 
Seconda domanda. Le istituzioni internazionali cosa stanno facendo, oltre distribuire contraccettivi,  per consegnare tutta questa ricchezza agli africani, sottraendola da mani colonizzatrici? Quanti altri anni dovremo aspettare per sentire il giovane africano gridare: L’Africa è nostra, difendiamola!  Il Sud Africa è ricco di aziende con rilevanza mondiale. La  South African Brewery (SAB) è attualmente il primo produttore mondiale di birra, proprietaria di molti marchi in Europa Asia e le Americhe (in Italia controlla la Peroni). Mondi è un altro gruppo tra i più importanti produttori mondiali di cellulosa, carta patinata per riviste e imballaggi in carta. Anche in Africa esiste il settore finanziario e  certe valute come  il rand sudafricano è riconosciuto internazionalmente. Il settore terziario, parliamo in primo luogo del turismo, sarebbe in espansione se non fosse per l’instabilità di certe zone.
 
Terza domanda: Perché il giovane africano anziché lasciarsi abbagliare dal miraggio di un paradiso oltre Mare Nostrum non focalizza le sue aspirazioni verso queste realtà del paese proprio?  Tentiamo noi una risposta  per il giovane africano. Siamo convinti che finché la maggior parte delle risorse minerarie, petrolio e materie prime non verranno sottratte alle grandi multinazionali estere, continuerà il mal contento per lo sfruttamento della forza lavoro indigena che a sua volta sfocia in forme violente di rivolta e guerriglia tra mafie locali  che poi, la nostra stampa ci descrive come teatri di guerra. E’ compito delle istituzioni internazionali provvedere a tutto ciò. Per l’amore dell’Africa auguriamo di  potere salutare  il giorno quando  la bella gioventù africana anziché fuggire, rimarrà  in campo decisa d’appropriarsi delle  conquiste sociali, politiche ed economiche che a lei  spettano di diritto.Se Macron può nazionalizzare i cantieri acquistati da Fincantieri con l’obiettivo, secondo  il  ministro dell’economia francese Bruno le Maire, di difendere gli interessi strategici del paese, non si capisce  perché le nazioni africane non possono nazionalizzare , per le stesse ragioni, le risorse minerarie, petrolio e materie prime detenute dalle  grandi multinazionali estere. Le tante sbandierate istituzioni internazionali se la sentono di sostenere, eventualmente, gli africani  in questa loro legittima rivendicazione? Anziché abbandonare la loro terra, scappando, questo dovrebbe essere l’obiettivo dei tanti migranti.

 

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